…Il 19 agosto 1839 nasce
la fotografia e la protagonista non è la macchina fotografica, che verrà
successivamente modificata, ma la LUCE. La "Luce", elemento
cosmico, viene manipolata e così il fotografo diventa un pittore di luce… ed
Enrico Salzano, l’artistache espone in questi
giorni, al Civico 23, lo è!
Laszlo Mholy-Nagy, pittore
e fotografo ungherese del (20 luglio 1895 – 24 novembre 1946) affermava che il
fotografo è un manipolatore di luce e che la fotografia è manipolazione di
luce. Questa asserzione è ben presente nella mente del nostro artista che così
esprime il suo pensiero, all’atto dell’estro creativo: “ho sempre presente
queste parole quando lavoro in camera oscura (questi lavori degli anni ’70, non
sono digitazioni di Photoshop). Durante la performance luminosa, fedelmente
registrata dai fogli emulsionati, una grande sensazione di libertà attraversa
tutto il mio corpo. Tecnicamente la silhouette è una foto che si ottiene
posizionando il soggetto in controluce. L'immagine ottenuta, riproduce
il nero, su un fondo bianco, i contorni esterni della figura o dell'oggetto
fotografato. Variando altri parametri in fase di stampa, come il tempo di
esposizione, la posizione della carta, il movimento del foglio emulsionato, ecc.
successivi fasci luminosi, da me
direzionati sulla carta sensibile, contribuiscono a creare le immagini finali. Quando
non è possibile fotografare il soggetto, perché frutto della fantasia, fotografo
una sagoma precedentemente costruita. La stampa finale, per le variabili che
sono intervenute, risulta un unicum. Sulle stampe finali a volte sono presenti
delle tracce di colore, ottenute con dei pastelli. Generalmente utilizzo
pellicolaII ford HP5, sviluppata in II fosol.Le
mie fonti di ispirazioni sono le metope dei templi, le figure nere sui vasi
attici, le immagini dei manifesti pubblicitari, moderne metope metropolitane o
le immagini che passano in televisione.
Le foto di Enrico
Salzano, un professore di matematica salernitano, prestato alla genialità
artistica, sono di singolare importanza nell’ambito della ricerca
artistica/fotografica campana ed oltre. “La mia è stata una lotta
continua contro la società delle macchine e in particolare contro l’idea
soffocante propria della società della tecnica. L’uomo è stato definitivamente
accantonato, chiuso in una bolla tecnologica da cui non può uscire. Il mio tentativo
di ribellione alle macchine e in particolare alla macchina fotografica, primo
vero robot dell’era moderna, è una testimonianza di come è ancora possibile
liberarsi dalle catene che ci paralizzano”
“(tratto dall’opera “Dalla
fotografia flessibile alla fotografia dinamica” stampato dalla Oedipus nel 2020
con introduzione di Marcello Napoli e postfazione di Gabriella Taddeo).
Di notevole rilevanza sono i dialoghi con due
mostri sacri dell’arte contemporanea: Enrico Crispolti e Gillo Dorfles
Al Civico 23, le opere
dell’artista in esposizione, circa una ventina di varia grandezza, rendono l’emozione
(N.D.R.) dei graffiti delle cave preistoriche, una pregevolezza per chi fruisce
l’arte con emotività ed empatia, un tentativo di sintonia con l’artista.
Maria Serritiello
L’esposizione delle opere
dura fino al 30 novembre 2024
Il “Civico 23”,
No Profit Art Space Salerno, Via Parmenide 23, è diretta con passione,
competenza e non senza sacrifici da tre volenterosi cultori d’arte: Angelo
D’Amato, Rosario Mazzeo, Gianni Capacchione.
Grande successo di
pubblico per l’esecuzione dell’opera lirica” I Normanni a Salerno” del
musicista Temistocle Marzano su libretto di Leone Emanuele Bardare al Teatro
Augusteo di Salerno, ad ingresso libero. La rappresentazione lirica, voluta
fortemente dal Presidente dell’associazione “Temistocle Marzano”, Eugenio
Paolantonio ha letteralmente trionfato per la bravura degli esecutori.
Applausi scroscianti per i talentuosi interpreti diretti dal Maestro Giuseppe
Polese ed accompagnati al pianoforte dal Maestro Nicola Polese, il
coro “Jubilate Deo” con le loro voci, veri strumenti naturali, hanno
sopperito la mancanza dell’orchestra. La lettera che il Maestro Temistocle
Marciano inviò all’allora sindaco per fare dono alla città di Salerno di questa
sua composizione, è stata letta, ad inizio di spettacolo, dalla voce ammaliante
ed inconfondibile dell’attore Davide Curzio, assente in sala per omesso
e trascurato invito.
Trama Dell’opera
I° Atto.
La vicenda si svolge agli
inizi del XI secolo.
Il primo figlio di
Tancredi d’Hauteville, Guglielmo Braccio di Ferro, è stato chiamato dal Re
Normanno Guaimaro in rinforzo della difesa della città di Salerno, sotto
l’assedio saraceno Nella gran sala gotica del palazzo di Guaimaro fervono i
preparativi per le nozze di sua Figlia, la Principessa Bianca e Guglielmo. La
principessa, a differenza del clima di festa che si respira a palazzo, appare
mesta. Ella infatti non può fare altro che piangere la sua sorte infelice in
quanto non sa dimenticare l’amore infinito che prova per Ainulfo condottiero
normanno non ancora tornato dalla sua ultima spedizione. Mentre è ormai
prossimo lo sposalizio giunge a palazzo la notizia che sono state avvistate
alla costa delle navi saracene. Si interrompe la festa e i canti di giubilo
diventano canti di guerra.
II Atto
È notte. In un punto
della marina di Salerno i Saraceni, che hanno ormai fissato le loro tende,
inneggiano alla guerra. Ainulfo, che all’insaputa della principessa Bianca e di
tutti i Normanni si è convertito alla fede saracena, si intrattiene in una
lunga conversazione con Agar, suo confidente, il quale, con l’intento di
riaccendere l’odio di Ainulfo contro Guaimaro e la sua Patria, gli annunzia che
Bianca è stata promessa in sposa al Normanno. Intanto al palazzo di Guaimaro,
Berta, fedele confidente di Bianca annuncia a quest’ultima l’imminente arrivo
di Ainulfo e la principessa rinvigorita da nuova speranza, aspetta il suo
arrivo. Sul far dell’alba Ainulfo giunge finalmente a palazzo. Egli è avvolto
in un ampio mantello che copre l’armatura saracena ed indossa una celata che
gli copre completamente il viso. Bianca non appena lo vede gli va incontro per
abbracciarlo ma quando scorge l’armatura al disotto del mantello retrocede
bruscamente. È l’amor patrio che troneggia su quello dell’amato. Ainulfo furioso
l’afferra quasi a trascinarla con sé, ma al richiamo delle trombe è costretto
ad allontanarsi.
III° Atto
All’interno delle mura di
Salerno sono state erette molte tende tra le quali, d’avanti, quella di
Guaimaro tenuta strettamente a guardia. Alcuni soldati sono intenti alle opere
del campo e Guaimaro li esorta a combattere per la salvezza di Salerno. Squillano
le trombe e tutti si inginocchiano per invocare l’aiuto celeste.
Intanto Ainulfo avvolto
in un ampio mantello per non farsi riconoscere, si reca al cospetto di
Guglielmo come un comunissimo duce saraceno a chiedere denaro in cambio della
dipartita da Salerno o Bianca come ostaggio. Guglielmo gli ordina di mostrargli
il suo volto. Ainulfo si scopre il volto continuando a minacciare Guglielmo e
Salerno. Il popolo che ha assistito alla scena, nel riconoscere il traditore
Ainulfo, si lancia all’inseguimento di Ainulfo Bianca, sopraffatta, cade
svenuta tra le braccia di Berta.
IV° Atto
In una bellissima piazza
ornata a festa, si intrecciano danze e cori di popolani che aspettano con in
mano rami di ulivo l’arrivo dei guerrieri vittoriosi. Guglielmo ha ormai
confidato a Bianca che, svolto il suo compito, deve tornare al paese natio.
Intanto Uberto dà la notizia che Ainulfo non è morto, ma è prigioniero.
Infatti, poco dopo, Ainulfo viene condotto in piazza dinanzi ai vincitori, tra
l’ira del popolo e dei soldati normanni che inneggiano al linciaggio. Guaimaro
tenta di frenare quest’impeto d’ira ma il popolo si ammutina e alcuni di loro
tirano fuori i pugnali. Ainulfo pur di non essere il trofeo di guerra della
vittoria normanna, o di cadere cadavere per mano di uno di loro, ghermisce la
mano di un popolano che stava per ferirlo con un pugnale e con esso si trafigge
il petto. Bianca che accorre per sorreggerlo raccoglie il suo addio e confida
in Dio per la salvezza della sua anima. Ainulfo muore e viene coperto dalle
bandiere. Su tutti troneggia la croce di Cristo.
Con l’augurio che questo
gioiello musicale, sia inserito di diritto nella stagione operistica del Teatro
Verdi, vuoi per la sua pregevolezza che per la bravura di chi ha amato Salerno,
Temistocle Marzano, dedicandole il frutto del suo genio creativo.
Mi piace, qui annoverare,
tutti coloro che hanno fatto della serata un successo.
I Normanni a Salerno opera
in 4 atti di Temistocle Marzano su libretto di Leone Emanuele Bardare.
Tanto per capire di chi si è servito Temistocle Marzano, per la stesura del
libretto, Leone Emanuele Bardare è l’autore dell’integrazione del testo
scritto del Trovatore di Giuseppe Verdi, venuto a mancare il librettista Salvatore
Cammarano che l’aveva iniziato
Produzione ed Edizione
Critica: Eugenio Paolantonio
Con: Davide Maria
Sabatino- basso
Chiara Polese- soprano
Gianluca
Pantaleone-tenore
Maurizio Esposito –
baritono
Coro filarmonico-
Jubilate Deo
Maestro al
pianoforte-Nicola Polese
Direttore- Giuseppe
Polese
“Il Medioevo Normanno ed
il Melodramma. Bardare e Marzano a Salerno” Introduzione all’opera e commento
Dott.re Gennaro Saviello- Università eCampus Salerno.
La serata
è stata presentata con grazia e partecipazione emotiva da Angela Luisa De
Stefano.
Si è solito, in teatro,
lanciare fiori al soprano che eccelle, su Chiara Polese, virtualmente,
da tutto il pubblico presente, ne è stato lanciato un enorme fascio di rose
colorate di rosa, data la giovane età, da dividere, s’intende con il bravo tenore
Gianluca Pantaleone
“Tanto rumore per nulla”
avrebbe detto il buon Shakespeare, riferendosi alla mostra organizzata
dall’UNISA di Salerno, per gli 80’anni della sua esistenza. Bruciata in solo
tre giorni, ossia in 80 ore per non essere fruita da nessuno, dopo la vistosa
inaugurazione. Per dirla alla Montalbano, personaggio del magnifico scrittore
siciliano, Camilleri, hanno fatto “Scarmazzo, un inutile affollamento di
personaggi che contano(!!) e poi via, smontaggio. Soffiate le 80 candeline, la
festa è finita. Fuori dal dipartimento F1 e per tutto il campus ci sono
studenti, egregi pensatori, che forse avrebbero avuto piacere, per confermare
sempre più l’appartenenza a questo ateneo, di conoscere la sua storia. Ed
invece, in verità, un mortificato impiegato, (N.D.R.) non ne conosco la sua
qualifica, mi informa che sì, la mostra per intera la si piò guardare sul sito
dell’Università.
Prima di continuare la
reprimenda, devo spiegare che la scrivente, stamattina si è portata fino
all’Università, per godere della mostra e ripercorrere storia della sua
Università, dalla quale nel 1971 ne uscì dott.ssa in Pedagogia. Non risulti
strano il desiderio, stamattina io avevo tante altre cose da fare, ma per
l’appartenenza e il ruolo di operatrice culturale esercitato in 42 anni
d’insegnamento e che non mi abbandona mai, mi sono ritrovata dinanzi ad un
cumulo di parole a giustificazione e nessun contenuto nemmeno gli atti di un
lavoro prodotto. Se mi sono trovata sprovvista, dinanzi alla biblioteca
scientifica, illudendomi che fosse affollata di visitatori curiosi è anche
perché non ne era stata annunciata la chiusura, come viene fatto, per ogni
mostra che si rispetti
La Storia dei suoi 80
anni
Chi ha voluto fortemente
l’Università a Salerno fu Giovanni Cuomo, nato a Salerno il 23 dicembre
del 1874 e morto nella stessa città il 1948. Frequentò il liceo cittadino
ginnasio Tasso, si laureò in lettere presso l'Università di Napoli, dedicandosi
successivamente all'insegnamento. Fu tra i sostenitori della creazione di un
istituto commerciale in Salerno, di cui in seguito divenne direttore. Nel 1905
si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Napoli. Divenne, nel
febbraio 1944, ministro del dicastero, durante il periodo di Salerno
Capitale, che, nel maggio 1944, avrebbe assunto la dizione di Ministero
della Pubblica Istruzione. È in veste di ministro ch, il 9 marzo 1944, Cuomo
firma il decreto istitutivo dell' “Istituto Superiore di Magistero Pareggiato”,
da lui voluto nonostante la contrarietà dell'ambiente accademico napoletano.
L'Istituto di Magistero, di cui Cuomo fu presidente del consiglio di
amministrazione fino al 1947, si trasformò in Università degli Studi di
Salerno, nel dicembre 1968 a seguito della creazione della facoltà di
Lettere e Filosofia.
1969 La
facoltà di lettere e filosofia, sostituisce il vecchio magistero; seguita dalla
facoltà di economia e commercio (1970); la facoltà di scienze matematiche, fisiche
e naturali e la facoltà di giurisprudenza (1972) ed il corso completo di
ingegneria (1983).
Nel 1988
l'università viene spostata dal centro urbano di Salerno, alle nuove strutture
costruite nei comuni di Fisciano e Baronissi.
1991 L'istituzione
delle facoltà di farmacia, (1992) scienze politiche e (1996)lingue
e letterature straniere
Nel 2006
viene istituita la scuola di giornalismo di Salerno, in convenzione con
l'ordine nazionale dei giornalisti.
Nel 2006 viene
istituita la facoltà di medicina e chirurgia
All'inizio del 2013,
in collaborazione con l'azienda ospedaliera "Ruggi d'Aragona" di
Salerno, l'ateneo completa l'iter burocratico per l'istituzione della nuova
Azienda ospedaliero-universitaria "San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona -
Scuola Medica Salernitana" Questo permette nel 2014 l'ulteriore
sviluppo del dipartimento di medicina, con l'istituzione delle tre prime scuole
di specializzazione in ambito sanitario.
Nel 2023 l'ateneo
si dota di una nuova sede distaccata presso il comune di Avellino.
E prima ancora: La Scuola
Medica Salernitana
Datata intorno all’anno
mille La Scuola Medica Salernitana fu la prima illustre
Accademia medica nell'Occidente e la prima universitaria legata alla medicina. La
"Scuola" si fondava sull'unione tra la tradizione greco-latina e le
nozioni acquisite grazie alle culture araba ed ebraica.
«Si tibi deficiant
medici,
medici tibi fiant
haec tria:
mens laeta,
requies, moderata diaeta.»
«Se ti mancano i
medici,
siano per te
medici queste tre cose:
l'animo lieto, la
quiete e la moderata dieta.
Da “RegimenSanitatis Salernum”
La leggenda della
fondazione
Si racconta che un
pellegrino greco di nome Pontus si fosse fermato nella città di Salerno
e avesse trovato rifugio per la notte sotto gli archi dell'antico acquedotto
dell'Arce. Scoppiò un temporale e un altro viandante malandato si riparò nello
stesso luogo, si trattava del latino Salernus; costui era ferito e il
greco, dapprima sospettoso, si accostò per osservare da vicino le medicazioni
che il latino praticava alla sua ferita. Nel frattempo erano giunti altri due
viandanti, l'ebreo Elinus e l'arabo Abdela. Anch'essi si
dimostrarono interessati alla ferita e alla fine si scoprì che tutti e quattro
si occupavano di medicina. Decisero allora di creare un sodalizio e di dare
vita a una scuola dove le loro conoscenze potessero essere raccolte e divulgate.
Grazie alla "Scuola
Medica", la medicina fu la prima disciplina scientifica a uscire dalle
abbazie per confrontarsi con il mondo e la pratica sperimentale e le donne
mediche, ammesse ad esercitare al fianco degli uomini, curavano il benessere
delle donne in special modo.
Il declino
Con la nascita
dell'Università di Napoli, la "Scuola" cominciò a perdere via via
importanza. L'istituzione salernitana, tuttavia, rimase in vita per diversi
secoli finché, il 29 novembre 1811, fu soppressa da Gioacchino Murat in
occasione della riorganizzazione dell'istruzione pubblica nel Regno di Napoli.
Le rimanenti "Cattedre di Medicina e Diritto" della Scuola Medica
Salernitana, operarono nel "Convitto nazionale Tasso" della città per
un cinquantennio e cioè dal 1811, fino alla loro chiusura nel 1861, avvenuta
per ordine di Francesco De Sanctis, ministro del neonato Regno d'Italia.
Un laureato eccellente
Domenico Cotugno nato nel
1736 a Ruvo di Puglia, nel 1756 conseguì la laurea in medicina presso la
Scuola Medica Salernitana.
La città di Napoli
gli ha intitolato un ospedale in cui si curano le malattie infettive, mentre l'Ospedale
degli Incurabili, cui Cotugno aveva disposto un lascito, conserva un suo
busto.
Non so come
sia stata organizzata la mostra degli 80 anni dell’ateneo, complice la fretta
dello smontaggio, ma mi è piaciuto compiere un excursus minimo, con semplici
note ricercate, per sentirmi empaticamente unita a questo luogo che, in epoca
passata, è stata fonte del mio sapere. Eppure il futuro è dinanzi ai tanti
giovani che oggi ho visto sciamare, inconsapevoli di quanta storia sia intorno
a loro. Senza la conoscenza del passato, il divenire è monco ed io oggi ho così
paventato i giorni a seguire.
"Fuoco all’
Orizzonte" personale dell’artista Ilia Tufano
in mostra al Civico 23 di Salerno dal 18 al 31 ottobre.
Inaugurazione il 18 del c. m, alle ore18,00
Ore 18.00/20.00 (dal
martedì al sabato)
La mostra si articola
sulla successione di immagini ottenute, in una sorta di trasmutabilità dei
materiali, dalla interazione, del tutto casuale, tra l'inchiostro e il tessuto
di seta. Altre opere sono il risultato del lungo lavoro dell'artista con la
scrittura, ottenuti da lettere ritagliate ed applicate su supporto cartaceo.
Non a caso Eraclito,
filosofo del divenire, come principio ha scelto il fuoco tra i quattro elementi.
Nessuno quanto la fiamma accesa richiama l’idea di provvisorietà. Esso è sempre
vivo, cangiante, in continuo movimento, pur restando sostanzialmente uguale a
se stesso. Il fuoco è duplice, ha in sé il lieve calore del ventre materno, ma
anche la totale distruzione incendiaria. Così brucia e riscalda, illumina e
rabbuia e Ilia ne fa una sequenza eccezionale di caldo effetto e all’orizzonte
si stira il suo colore. Che fuoco sarà sull’orizzonte dell’artista napoletana,
un acceso tramonto inaspettato o lingue infiammate di una guerra non voluta?
Tutte queste cose potrebbero essere perché uscite dalle sue mani e guidate
dalla sua straordinaria capacità simbolica.
Maria Serritiello
Scrive di lei, il critico
d’arte Prof.ssa Cristina Tafuri
“In questi piccoli lavori
il colore diventa quasi materia sostanziosa, un colore che crea movimento, che
si snoda rapido, puro, racchiuso in antichi incunaboli che registrano
l’angoscia esistenziale, quel fuoco all’orizzonte che illumina l’operato umano volto
a distruggere i mali del mondo distruggendo se stesso, l’inquietante
trasformarsi della realtà sotto la travolgente spinta tecnologica. Il senso
drammatico del nostro tempo viene reso con accesi colori del dramma. Ecco che
il fuoco, le sue simbologie e metafore diventano, nell’elegante raffinatezza
segnica, un dialogo o un bisogno di nascondere, in qualche modo, un vuoto di
realtà. A questi lavori si affianca anche una serie di libri d’artista, tra i
quali l’opera “Focolaio-focolare”, e questa disposizione aperta in cerchio,
richiama una sorta di focolare, poiché nella simbologia i due termini, fuoco e
focolare si equivalgono e quest’ultimo viene interpretato come il centro
simbolico della casa e della vita familiare. Ed ecco allora che Ilia Tufano cerca,
in questo sottile dualismo di distruzione e vita, riconquistare il senso di una
perduta innocenza, cercare, per quanto possibile nell’uomo una dimensione
spirituale, soffocata tra devastazioni naturali e guerre. Quel fuoco
all’orizzonte non dovrebbe essere quello dei bombardamenti sempre più
frequenti, ma quello di una luce che aiuti l’uomo ad uscire fuori dalla
caverna.”
ILIA(Ersilia) TUFANO,
nata a Saviano (NA), vive e lavora a Napoli, dove ha fondato e cura l’attività
espositiva e culturale di Movimento Aperto. Laureata in Storia dell’Arte con
una tesi sul “De prospectiva pingendi” di Piero della Francesca, si è
interessata alla problematica dell’arte contemporanea, frequentando presso
l’Università di Roma i corsi di Nello Ponente e di Giulio Carlo Argan. Espone
dal 1988. Ha insegnato presso il Liceo Artistico Statale di Napoli. È redattrice
di Porta di Massa, laboratorio di filosofia. Negli ultimi decenni la sua
ricerca è approdata, a partire da formulazioni astratte, alla pratica delle
intersezioni tra linguaggi verbali e visivi. Le sue più recenti personali: nel
2018 Sensibili Scritture a cura di linda Irace e con un testo di Dario
Giugliano presso La Sala delle Terrazze in Castel dell’Ovo e Di/segni di Parole
a cura di Alfonsina Caterino presso Lo Studio Leonardi zu spat? Roma. Nel 2022
ad Elda (Alicante), Museo Del Calzado, FUOCO a cura di Carlos Salas. Ed infine
nel 2024 al Mac di Guarcino (FR) FUOCO ALL’ORIZZONTE con un testo di Carlo
Bugli
Il “Civico 23”, No Profit
Art Space Salerno, Via Parmenide 23, è diretta con passione, competenza e non
senza sacrifici da tre volenterosi cultori d’arte: Angelo D’Amato, Rosario
Mazzeo, Gianni Capacchione.
Il Caffè dell’artista di
Salerno, storica associazione culturale che, da oltre 28 anni, si occupa di
attività letterarie, musicali, poetiche e d’immagine, martedì 7 ottobre ha
ripreso gli incontri, sospesi per la consueta pausa estiva e che si
protrarranno fino a giugno 2025, con cadenza mensile, sicché otto sono gli
incontri, da tenersi ogni primo giovedì del mese. Le riunioni si avvicenderanno
nella sala grande del Chiostro Francescano della chiesa dell’Immacolata
in piazza San Francesco, alle ore 17,30. Il primo personaggio illustre ad
iniziare è stato il dottore Giuseppe Lauriello, primario
emerito in broncopneumatologia e storico della medicina, per presentare la sua ultima fatica
dal titolo“Asklepieia”.
I santuari della salute nel mondo classico
Due relatori di
prestigio, la Prof.ssa Lia Persiano e il giornalista Michele Carlino,
hanno introdotto, al numeroso pubblico, l’ultima fatica del Dott.re Lauriello, realizzata,
come lui stesso ha detto, durante la pandemia degli anni passati. La loro
lettura, chiara e ricca di contenuti, ha fatto sì che l’intervento dell’autore,
sia stato poggiato, già sulla conoscenza, tanta da poterla apprezzare
d’impatto.
Maria Serritiello
Asclepieia – Presentazione,
ascoltando le sue parole.
Innanzi tutto perché ho
scritto questo libro? Per amore della
cultura classica
e perché da
storico della medicina
volevo
sviscerare questo
argomento più volte affrontato nel corso dei
miei studi
e approfondire il
discorso sui luoghi
del culto di
Asclepio, che tanto hanno
agitato la mia fantasia sin dai tempi
del liceo.
Mi sono
rivolto alla casa editrice Dielle di Verona, che già
avevo avuto modo di conoscere per avervi pubblicato un
altro
mio testo: (Insulae, la vita del
popolo nella Roma antica), una casa editrice che
pubblica solo
saggi che riguardano l’evo antico.
Asclepieia racconta
lo svolgimento del
culto di Asclepio, l’
Esculapio greco, il
dio della medicina, in un
tempio a lui
dedicato: l’Asclepieion,
immerso in un ambiente di estrema
suggestione in
un parco impreziosito da
alberi fronzuti, di
monumenti vari
utilizzati per la
cura, di una fonte
sacra
miracolosa. In
questo luogo di
eccezionale bellezza e
conturbante fascino
giungevano i malati da tutta la Grecia per
ritrovarvi la guarigione, una cura
che adottava metodi
di
assoluta modernità e tra
questi la fisioterapia e della psicologia
applicata con grande
abilità e raffinatezza da
incidere
profondamente sullo stato mentale e
sui processi emotivi,
cognitivi e
comportamentali del malato, soprattutto sfruttando l’
inconscio. Di queste procedure
primeggiava l’incubazione
ovvero lo
sfruttamento del sogno
condotto con una
tecnica
particolarmente maliarda
da identificarsi in
una manovra
ipnotica.
Prima di addentrarci in
questa narrazione abbiamo presentato
Asclepio, la sua
biografia, le sue vicissitudini, le sue leggende
ammantate di malia e
concluso con la descrizione dei templi a
lui dedicati, sparsi nel
mondo greco e di cui oggi non restano che
sublimi rovine. Abbiamo
raccontato degli asclepiei di Kos e di
Epidauro, luoghi tra
più famosi e
frequentati delle mete
turistiche, ma anche di
Velia e di Paestum.
Il libro si chiude con la
descrizione dettagliata del tempio e del
teatro greco, monumenti
tra i più caratterizzanti della civiltà
ellenica.
Abbiamo ritenuto
utile riportare concise
biografie degli
archeologi che si sono
prodigati nella scoperta e negli studi di
queste opere d’ arte ed
infine le fonti storiche da cui abbiamo
tratto le nostre
informazioni
L’argomento
esposto è un
vero gioiello dell’arte
antica
raccontato con
semplicità, chiarezza di parole e stimolante la
curiosità. Sarebbe un
vero peccato sottrarsi alla lettura .
Giuseppe Lauriello Primario
emerito di pneumologia e storico della medicina, umanista di impegno versatile,
ha spaziato in diversi campi della
cultura; membro della
Società italiana di storia della medicina e
dell’Accademia di Storia
dell’arte sanitaria.
Ha pubblicato per Dielle
editore: Insulae e Lex Aquilia.
Sabato 5 e domenica 6
ottobre, al Piccolo Teatro del Giullare, alla ripresa della nuova stagione
teatrale 2024/2025 è stato rappresentato “Ho sentito il bisogno di dirlo
a qualcuno” elaborazione drammaturgica sul personaggio di Katherine Mansfield, scritto ed interpretata
da Francesca Pica.
La scena si apre sul buio
assoluto e nella penombra vi rimane per tutto il tempo. Dietro il personaggio
che di lì a poco prenderà la parola, uno stand sollevato con appesi abiti del
primo ‘900, stile british, ravviva quel tanto che può la scena. Francesca
Pica, attrice, in una composta interpretazione, c’introdurrà nel mondo di Katherine
Mansfield, scrittrice, saggista e giornalista neozelandese.
L’elaborazione drammaturgica della talentuosa interprete copre sia, il vuoto di
conoscenza di alcuni di noi, sia il richiamo alla mente di altri. In tutti e
due i casi si dovrà essere memori del lavoro di fedele ricerca del personaggio,
alla giovane interprete salernitana con una brillante carriera aperta su vasti
spazi. I passaggi della vita trascorsa della scrittrice sono stati sottolineati
da un’originale drammaturgia del suono, composta edeseguita dal vivo dal maestro Carlo Roselli,
musica mai invasiva, ma che ha pervaso le atmosfere brumose dei paesi lontani
dal sole.
E così sapremo di
Katherine Mansfield, dove Mansfield non è il suo vero cognome, ma l’ha ripreso
dalla nonna paterna, perché il suo, Beauchamp, non le piaceva. Una donna
risoluta e moderna, a volte si nasce, come suol dirsi, anche se la sua data è
fissata al 14 ottobre 1888 a Wellington Nuova Zelanda. Figura importante nel
movimento modernista, destinata alla scrittura fin da piccola. Terza figlia,
dei cinque,frequenta la scuola a Karori con le sue sorelle, prima
di frequentare il Wellington Girls' College e di passare alla prestigiosa
Fitzherbert Terrace School, dove Mansfield diviene amica di Maata Mahupuku. La
soprannominerà Sally e sarà la sua musa ispiratrice per i primi lavori. Pare
che con lei abbia avuto una relazione amorosa, che scandalizzò l’ottima sua
famiglia, fatta di perbenismo integrale e niente affatto progressista. Oltre
alle tre sorelle Katherine ha un fratello prediletto con il quale trascorre
anni felici che descriverà nell’opera “Prelude”, fatta pubblicare da Virginia
Wolf, nel mezzo di una loro relazione amorosa.Nel 1902 Mansfield
si innamora di Arnold Trowell, un mediocre violoncellista, ma i suoi sentimenti
non furono per la maggior parte ricambiati. Nel 1903 si traferisce a Londra,
vive una vita bohémien, ha relazioni sentimentali con donne, ma non disdegna di
sposarsi, forse per voler superare la disinvolta sua vita sessuale. Scrittrice
di fatti quotidiani i suoi racconti non hanno un principio ed una fine, donna
indipendente è stata esploratrice della vita, breve, perché ammalata di tisi,
muore a soli 34 anni. Nelle sue composizioni ha descritto stralci di vita
familiare, sentimenti leggeri, la semplice infanzia, i battiti del cuore, i
frammenti di un’esistenza delicata, ma degna di essere descritta, perché come
avrebbe detto Virginia Woolf “la storia è volgare”.
Uno spettacolo, quello di
Francesca Pica, meritevole di essere visto sia per la composizione del
personaggio, sia per la sua recitazione, pacata, disinvolta, interpretativa di
più voci, di più sfumature, impostata per ben accompagnare la storia, sì da
entrare nell’esistenza della tormentata Mansfield, concentrati e senza bruschi
passaggi. Il lavoro si completa, poi, con il respiro musicale del maestro Carlo
Roselli, il soffio gentile del suo estro musicale, goduto per tutta la
durata della rappresentazione.