Pagine

domenica 30 novembre 2025

Al Teatro Ridotto di Salerno approda Stand-up comedy, il collettivo Poc, acronimo di Point of Comedy, con l’obiettivo di creare legame tra il web e gli spettacoli dal vivo.


Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

C’è voluta una replica in più, in aggiunta alle due stabilite, il sabato sera e la domenica pomeriggio, per soddisfare le richieste, di chi domenica sera, complice il primo freddo, si è voluto rilassare con le risate di “Che Comico” 2025/2026.

“Standup Comedy” è il titolo dello spettacolo presentato da Daniele Ciniglio, Luca Bruno, Alessio D’Andrea, Sissi Iannone ed Alessandro Bolide, special Gues della serata, in cui si sono esibiti a seconda delle proprie peculiarità. Una Poc comedy, dunque, cioè uno spettacolo in piedi con argomenti leggeri e di cultura popolare per un pubblico tradizionale, un collettivo messi insieme da Claudia Caiazza. Il palcoscenico del Ridotto non li avrebbe contenuti tutti insieme per l’esibizione, così il pubblico se li è goduti uno alla volta, con gag, sì, popolari, ma sempre di grande effetto. I contenuti e cioè: la mamma, la sua cucina, le sue manie, la fidanzata e la sua gelosia, i soprannomi usati nei quartieri, che solo a sentirli sono di una comicità travolgente, i matrimoni d’estate e la famosa busta, che è la peggior condanna, oltre al caldo asfissiante di quest’ultimo quinquennio, l’affermazione che la bellezza non è tutto se ad asserirlo è: Diletta Leotta, sono stati i temi di preferenza dei divertenti monologhi. Tutti molto bravi sia per i tempi di battuta, sia per la mimica facciale, come Luca Bruno, una vecchia conoscenza del Ridotto, vivace, accattivante, amabile, sia Alessio D’Andrea, che della flemma scenica, nel porgere il monologo, ne ha fatto la sua virtù. Che dire di Sissi Iannone, un debutto gradevole, accolto con simpatia dal pubblico in sala, ma ancor più dai giovani presenti, per essere conosciuta protagonista, nella vita e nei filmati del web, quale fidanzata di Daniele Ciniglio e si sente la sua mano in quello che dice. Di lui, la prima volta al Ridotto, preceduto dalla fama di tiktoker, c’è bisogno di qualche parola in più, chiedendo venia agli altri.

“Napoli è una città famosa per tante cose. Il teatro, il cinema, ma soprattutto per i sorrisi. È che quando ci fanno uno scherzo noi non ci prendiamo collera perché è uno scherzo”

Con il monologo la “Camorra è uno scherzo” presentato qualche anno addietro in tv nelle reti commerciali ad “Italia’s Got talent,” ho conosciuto Daniele Ciniglio. È a dire che la trasmissione l’ho seguita se non occasionalmente (N.D.R.) e neppure con piacere, ma per quella prima volta di Daniele, fermai lo zapping. A colpirmi fu il suo viso pulito, imberbe da bravo ragazzo che trattava, con leggerezza di linguaggio, un contenuto così gravoso, qual è la camorra. E lui di camorra sulla pelle, come i suoi concittadini, ne sa qualcosa, essendo nato ad Ottaviano, che vuol dire Raffaele Cutolo!

Era il 2020 e di suo era già un affermato content creator del veb. D’allora ne ha fatto di strada e ne farà, i suoi testi sono di una linearità linguistica invidiabile, asciutti, scarni, priva di svolazzi, concentrati essenzialmente sul contenuto, che ha sempre un risvolto moralistico, sociale, educativo, un invito a prendere coscienza, in modo collettivo, sì da aprire orizzonti offuscati da una società imitativa e di massa.

All’allegra cordata, si è aggiunta la figura di Alessandro Bolide, special gues, ospite d’onore, tanto per capirci, che ha raccordato con la sua potente “Vis Comica” la serata di divertimento. Una colonna, una conoscenza ormai carnale tra pubblico e comico, che non è solo risate ma anche scrittore, presentatore radiofonico e creatore di testi. Un personaggio a tutto tondo dello spettacolo, un’adozione di fatto della famiglia Tortora che l’ha lanciato nello spettacolo. Si presenta e già si ride, agguanta il microfono, e dialoga con esso, quasi non si comprende il suo dire, ma sortisce l’effetto di una grossa ilarità. I temi sono noti, ma è la maniera ad essere differente ed è ciò che lo caratterizza. È padrone della scena, il viso tondo fa pari con il suo corpo, ma non dispiace, ride assieme al pubblico, si diverte, racconta, piace e si piace. Tutti da lui si aspettano, dopo tanto ridere di gusto, che nel finale dica la frase famosa, di buon auspicio per tutti “Ma che ce ne fotte”.

E lui non delude, ci accontenta soddisfatto, lanciando, il suo mantra più amato, un invito a resistere senza lasciarci coinvolgere più di tanto. Mai come adesso, ci prende giusto!

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




“Wilde Oscar Wilde”, spettacolo di Roberto Lombardi andato in scena al Teatro Genovesi di Salerno nell’ambito dell’eXtrafeStivalXS 2026. Produzione Compagnia dell’Eclissi.


 Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Che Wilde pregevole ci ha rappresentato, domenica 16 novembre, Roberto Lombardi!

Lo spettacolo, adattato dall’interprete, che ne è anche il regista, è tratto dall’opera “Sic” di Piero Santi (1912- 1990) scrittore raffinato, molto attento alle tematiche legate all’omosessualità ed omosessuale egli stesso, che visse apertamente la sua condizione.

Oscar Wilde ha incarnato da sempre la bellezza, l’eleganza, la classe, l’estetica e la voluttà, per quel suo modo decadente di vivere, ma non è stato bastevole, sicché in aggiunta gli è riconosciuto il fascino della parola, del sarcasmo e l’arguzia degli aforismi.

Come, Lombardi lo avrà ridisegnato in 50 minuti di spettacolo?

La scena si apre su di uno spazio nudo, nel fondo solo un tavolino e due sedie, il tutto risulta scarno, arido e si capisce subito che la sola voce di Roberto Lombardi sarà l’attrazione principale. Il traffico di Milano irrompe nel silenzio della scena ed un personaggio sconosciuto, in giacca e cravatta, inizia a comunicare le sue ambasce a chi gli sta di fronte, uno incontrato per caso. Il dialogo è fitto, costruito con pause ed accelerazioni, con punti di domanda ed ammissioni, non una confessione, ma solamente voglia di essere se stesso, senza subire giudizi e penitenze.  Che stravaganza proprio nella città per eccellenza dell’incomunicabilità, Milano, egli sente di trasmettere i suoi pensieri, le sue sofferenze ad uno sconosciuto incontrato, in uno dei suoi innumerevoli giri per il parco, durante la pausa pranzo. Lo invita a bere qualcosa al bar ed ecco il fiume di parole uscire dal suo animo con sofferenza. Non è Wilde, ma la sua vita è la stessa, è Salvucci, un oscuro contabile di una ditta dell’operosa Milano, che inghiottisce chiunque non abbia la sicumera di Wilde. Accade così che la sua figura è riflessa nello specchio dello scrittore e la vita si scompagina. Quanto c’è di Salvucci in Wilde e quanto Wilde in Salvucci è confuso o forse no, è la stessa faccia dell’unica medaglia che insegue la propria omosessualità senza subire discriminazioni. Wilde lo fu, patì 2 anni di lavori forzati, fu miseramente tradito dal suo amante “Bosie”, ma amò con tenerezza infinita i suoi due figli, nati dal matrimonio con Constance Lloyd. Per i piccoli di casa, Wilde scrisse le più belle favole, un patrimonio affettivo, il più tenero tradotto in letteratura. E così un solo specchio teatrale, per riflettere la vita di due anime, senza che l’una sia migliore dell’altra, una considerazione sulla diversità di genere che buca l’anima, nonostante la disinvoltura dei tempi. Come martire, Wilde si consegna ad essere condannato per omosessualità e sconta l’amore che non dovrebbe mai essere un castigo. “Non sono un peccatore per aver amato i giovani “Salvucci-Wilde grida il suo dolore all’altro, all’ascoltatore che lo saluta presentandosi: “Roncaglia capoufficio”

Asciutto, preciso, austero, Roberto Lombardi è stato ammaliante, e l’attenzione del pubblico senza niuna distrazione, le parole dell’illuminata pièce sono contate, essenziali, come d’abitudine nei suoi lavori teatrali. Il dialogo ideale, poi, sulla bellezza e sull’arte, di Oscar Wilde, intrecciate alle tematiche di Piero Santi, un puro incantesimo in 50 minuti. La verità nell’arte e la bellezza per resistenza, chi più di Oscar Wilde? E Roberto Lombardi non se l’è lasciato sfuggire…

Maria Serritiello

 www.lapilli.eu




Al Teatro Ridotto di Salerno ha avuto inizio “Che Comico 2025/2026”, con Salvatore Gisonna e Peppe Laurato in “Due di troppo”

 

Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Torna puntuale, come le feste comandate, il “Che comico 2025/2026” del sabato sera e della domenica pomeriggio, e lo fa con una city comedy, da Salvatore Gisonna, Peppe Laurato, Angelo Belgiovine, Peppe Isaia e Lucia Giso. Il ristretto palco del Ridotto si è affollato di talenti che, in varia espressività, hanno dato il meglio per rappresentare un testo semplice, ma con evidente contenuto, lanciato là, disinvoltamente, tra le risate del pubblico diverto. La rassegna è stata ideata in modo onorevole da Gv Eventi di Gianluca e Valentina Tortora, degni di tanto padre “Claudio Tortora” per quel che riguarda il teatro Ridotto

 Quando la normalità incontra l’assurdo siamo sempre in troppi “è il succo del pezzo, che nel finale, sulla pazzia, cita la poetessa Alda Merini, un tentativo di far ridere ma anche pensare.

Vincenzo, primario di una clinica si ritrova a casa dopo una lunga giornata di lavoro, accompagnato da Giampiero, suo medico collaboratore che lo scorazza avanti ed indietro in macchina. Lui crede per affetto…Nella casa staziona Stella, una cameriera tutto fare che lo accudisce con intenzioni di fare man bassa sui suoi avere. Capitano nell’appartamento momentaneamente vuoto, per una chiamata dall’ospedale del primario, due fratelli o presunti tali, per dividersi l’eredità del primario, loro padre. Le gag che ne vengono fuori dai due personaggi, l’uno, imbottito di religione cattolica, l’altro sbruffone in quanto a donne, aggravato da un incidente che lo ha reso malconcio, sono tutte divertenti per la bravura dei due comici che hanno trovato un ritmo scenico particolare. Una nota di elogio va a tutti i partecipanti, ma uno in particolare lo merita Lucia Giso, novella, per quel che riguarda la parlata, l’aggressività e le scene di seduzioni, alla tiktoker Rita De Crescenzo, le parole messe in fila, senza neanche tirare il fiato, hanno prodotto applausi convinti. Il finale è sorprendente e dopo grasse risate, vi è un momento lirico, che scalda i cuori e fa meditare che non tutto è perduto, se ci sono i buoni sentimenti, opposti al cinismo imperante.

Maria Serritiello

www.lapilli.e





Come ho conosciuto il poeta Dante Maffia

 









lunedì 17 novembre 2025

“Prima di amare , scopri la maschera” è lo slogan della campagna sociale del Rotary Club Salerno Duomo sulla violenza delle donne


 Fonte :www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

È martedì, 18 novembre, alle ore 10,30, presso la Fondazione Menna, in via Lungomare Trieste, la presentazione della Campagna Sociale contro la violenza sulle donne, fenomeno tristemente in ascesa. Il Rotary Club Salerno Duomo, presieduto dal Dott.re Gaetano Cuoco ed il Consiglio Direttivo tutto, hanno inteso dare concretezza alla problematica, così sentita, lanciando una vasta operazione di conoscenza, soprattutto presso i giovani con lo slogan “Prima di amare, scopri la maschera”, un chiaro invito ad accorgersi, prima di essere coinvolti dall’amore, quale persona ci sia dietro la maschera. A dare la visibilità, oltre alle parole che si spenderanno nelle scuole, alle quali principalmente la campagna è diretta, ci ha pensato il Fotografo Armando Cerzosimo e qui le parole non bastano mai per sottolineare la bravura dei suoi scatti e se ne ha conferma, se fosse necessario, nelle 5 fotografie realizzate per esaltare tutta la campagna. La   purezza delle linee si sposa con il messaggio invocato e la problematica s’infrange negli occhi visionari. Le immagini attraenti campeggeranno sulle   brochure distribuite nelle scuole e sui manifesti affissi in città.

Alla presentazione sarà presente, la dottoressa Rosa Esposito, Ginecologa, già Responsabile del Centro Antiviolenza AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, per sottolineare l’importanza dell’ascolto per chi ha subito violenza. Le conclusioni saranno affidate alla professoressa Vittoria Marino, Ordinario di Marketing presso l’Università del Sannio – Benevento, che replicherà l’obiettivo di tutta la campagna sociale.

Il Presidente Cuoco, infine, annuncerà una raccolta fondi tra tutti i soci rotariani, per finanziare almeno due corsi di OSS per donne che sono state vittime di violenza. 

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




lunedì 10 novembre 2025

È Chico, il cane di Francesco Taverna, ad insegnarci l’amore universale al tempo dei social

 




Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Chico è un amabile cagnolino dei social, in carne ed ossa, non un pupazzo, come quello creato dall’ IA, dal nome “Papi Bot” e che impazza sul web con tutte le finte funzioni canine, Chico di suo, invece, ha conquistato un milione di Follower, ovvero “frollewuer” come lui, storpiando il suo linguaggio, li chiama.

Chico è il Maltipoo, un incrocio tra un barboncino e un Maltese, dal pelo riccio, color albicocca, che ha cambiato la vita al suo padrone, Francesco Taverna. Viene spontanea però, la riflessione se non sia è stato il padrone a cambiare Chico. Infatti pur rimanendo reale cagnolino è diventato il piccolo di casa Taverna, combinando di tutti i colori e partecipando da protagonista alla vita di e Mamy e Papà, da lui soprannominato Fricchettone. Le avventure sono tante, l’una più divertente dell’altra, attese con trepidazione da tutte quelle persone appassionate di cani a cui Chico fa compagnia in modo sapiente e divertente.

Io stessa (N.D.R.) mi sono accostata a questi video per trarre conforto dalla perdita del mio Jace, un jack russel vivace ma tanto affettuoso. Chico ha catturato la mia attenzione e man mano mi ha fatto affezionare così tanto da ritenerlo un piccolino di famiglia, che vive lontano.

In casa Taverna tutto ruota intorno a Chico, alle sue bonarie malefatte, alle sue richieste ed ai suoi desideri, uno su tutti stare incollato al suo umano, dire padrone sarebbe inadatto. Quasi ogni giorno il suo sodale, il buon Francesco Taverna, ne inventa una, dandogli fiato ed anima per la gioia dei suoi fans. Ha una voce strascicata e carezzevole, ormai non abbaia più e non so se mai l’ha fatto, le parole sono un divertente lessico tutto inventato, ma tanto appropriato per la sua divertente leggerezza come “la cammarella per caramella, croccrodrillo per il pupazzo a cui è affezionato, kato per il gatto del giardino, Alfredo svolassi, per il piccione di cui segue il corteggiamento amoroso dedicato a Gianna cossialunga, tacca la macarena, quando scalcia sulle zampe, la cicolata, per quella goduria sempre vietata, perché si sa ai cani, è sempre di un quattro zampe di cui stiamo parlando, fa malissimo. Chi lo segue con sistematica regolarità ha imparato una quantità di parole divertenti, neologismi ricavati dall’intreccio di un linguaggio il più delle volte onomatopeico. E cosi: tesosforo, zzzzecca, prosiutto relaxssss, Recchio camuffo, pippolstrello, biccio, corso di sedussssione, sguardo scenciuale, tubola, tubola, succhina, besbol, gassella, fantasma cappuccino, autoveloss, cabbarinieri, brazzelletta, intrenett, piciu piciu antistresss, siekera, siekera, shqualo prolungandosi su ualoooo  e poi è bravo ovunque così al mercato o a sciare, come a trovare rotte per avventure o strade cittadine, oppure dispensando consigli all’ingenuo padrone, un passo indietro, ormai, al suo cane. Capita di trovare semplicemente, il frugolino albicocca, al telefono, interloquendo, invariabilmente con la pattinatrice artistica mondiale, Carolina Kostner, o con Domenico Berardi, giocatore di punta del Sassuolo, o, per sfogare la solitudine di qualche volta lasciato a casa, ad ordinare su Amazon, tutto e di più con la carta di credito del povero padrone. A volte si pensa che stia bullizzando il capo di casa, tanti sono i segnali, se non fosse che è lo stesso Fricchettone ad inventare, non solo le avventure, quanto a dargli la voce, per cui gli va genio così e poi chi potrebbe resistergli?  Va ai concerti, stornella con il cantante di turno, fa un gran casino al tour di motocross, ovunque va si mostra partecipativo e produttivo, insomma è un ineccepibile compagno di vita.

L’affezione dei fans cresce e con essa la voglia di avere qualche cosa che lo rappresenti e così a Milano in galleria, presso la Mondadori, nasce uno store dove si vendono gadget i più disparati, dal set pappa, ai collari, dalle magliette, alle tazze, dalle medagline, al calendario dell’anno, non trascurando la divertente app Maps con la voce del canino che indica il percorso da seguire. E non è finita, Francesco ci ha preso la mano e da buon content creator racconta sui suoi canali social le peripezie di Chico, ormai vera e propria web star. Gli episodi raccontati sono diventati anche libri: Ciao, io sono Chico (Fabbi, 2023), A tutto Chico (Fabbi, 2024), Chiedilo a Chico, libro delle risposte di Chico su vita, amore, libertà e cicolata (Fabbi, 2024), Chico. Missione amore (Fabbri, 2025).

E udite, udite, è di qualche settimana fa la notizia che Chico è stato nominato, quale Digital Ambassador di Milano Cortina 2026, XXV Giochi Olimpici Invernali e sarà il primo testimonial digitale a quattro zampe nella storia dei giochi a promuovere i valori dello sport e raccontare il mondo olimpico e paralimpico.

Evviva, ne stai facendo di strada Chico, ad meliora semper

Francesco Taverna, il papà di Chico, 30 anni, sposato e senza figli. Cantautore dal nome Tavo, durante il covid per volere della moglie prende Chico e la sua vita cambia totalmente. Famoso sui social network, TikTok e Instagram, vive a Valsolda in provincia di Como, in una casa di campagna.

“Chicco missione Amore” Edizione Fabbri 2025, è l’ultimo scritto, ma il primo romanzo di Francesco Taverna, nel quale si ritrova a riconquistare l’amore perduto. Una semplice favola da leggere per far bene al cuore. L’impianto è quello classico della fiaba, basato su di un personaggio principale, nel nostro caso, due, che innamorati perdono l’oggetto dell’amore e vanno alla ricerca. L’avventura principia in tarda mattinata, quando il padrone di casa e Chico si risvegliano da un sonno beato e non trovano più la Mamy. Chico comincia a cercarla in tutte le stanze, ha un fiuto infallibile che non dà risultati.  Ansioso e con il fiatone grosso comunica la sparizione al papà che prende la cosa con salomonico interesse, tornerà, dove si vuole che vada. Trascorrono le ore, ma della Mamy neppure l’ombra. Chico è sempre più agitato, mentre il papà è giunto alla determinazione di doversi dare una scrollata per capire a che è dovuta la sparizione. Così ha inizio la ricerca, con Chico pronto ad agire con coraggio, fiuto e una buona scorta di biscottini alla cannella, e Fricchettone, mesto, ciabattante, senza volontà di agire e già sconfitto in partenza. A leggere l’indice si può immaginare l’iter del racconto che è fatto d’imprevisti, di paure e fatica fisica, prima di sbrogliare l’arcano, oppure, semplicemente, rispolverando lo schema di Vladimir Propp, che in soccorso aiuta a capire che la fine della storia sarà lieta.  Di più non è dato sapere, se non che il libro è in tutte le librerie ed è un vero best seller.

E conosciamo, per sapienza, lo schema di Vladimir Propp, linguista e antropologo russo, nato a San Pietroburgo il 15 aprile1895 e morto a Leningrado il 22 agosto 1970, il quale ha applicato il seguente schema identificativo per analizzare le fiabe russe. Quattro le fasi principali per individuare la struttura della narrazione: equilibrio iniziale, rottura dell'equilibrio (esordio/complicazione), peripezie dell'eroe (avventura) e ristabilimento dell'equilibrio (conclusione/scioglimento). Propp ha inoltre identificato 31 funzioni (azioni dei personaggi) e 7 sfere d'azione, ma questa è un’altra storia che ha a che fare con il mio passato di Prof.ssa d’Italiano e che a Chico poco interessa. Grande successo a voi due, ma no a voi tre, alla Mamy, che è pur sempre l’artefice dell’entrata in casa dell’incantevole cagnolino.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu







 

 

martedì 7 ottobre 2025

Al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno, dal 26 settembre ha preso il via la stagione teatrale2025/2026


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


È il 1926, due personaggi che non si conoscono, ma che vengono dallo stesso paese: Caivano, provincia di Napoli, s’imbarcano verso l’America per seguire un loro sogno. Ed infatti l’uno per esportare il liquore d’anice di cui è produttore, l’altro, attore, per rincorrere sogni di gloria ed amare e farsi amare dall’attrice più famosa. Il mantra che segue uno dei due è “Se puoi sognarlo, devi farlo” ed è così sicuro che anche quando la realtà è tutt’altra cosa, non si abbandona alla disperazione. In sostanza il pezzo teatrale dal titolo “Caivano dreamin”, scritto da Fulvio Sacco ed indirizzato da Armando Pirozzi, interpretato da Cristian Giroso e dallo stesso Fulvio Sacco, vuole aiutare ad alimentare il sogno tra giovani, anche in un periodo così poco rassicurante per i più, realizzarlo si può e tentare è già successo, anche se non è così semplice, tant’è vero che lo spettacolo va avanti attraverso le peripezie a cui sono sottoposti i due.  

La scena è scarna, ristretta da un muro basso e sbilenco che dà i contorni all’azione teatrale, un solo orpello, un wc di colore marrone chiaro. I due Caivanesi si trovano imprigionati senza sapere il perché, ad Ellis Island sono stati fermati e portati in galera sprovvisti di notizie che ne forniscano le ragioni. Tentano, congetture, una, sono italiani, due, non parlano la lingua, tre, ecco non sanno proprio a che pensare.  Una cosa la fanno, però, si presentano, si ritrovano paesani, si riconoscono anche con gli stessi soprannomi e decidono di non abbattersi, sicuri come sono, di non aver fatto nulla di male. Intanto i giorni passano, le settimane, addirittura i mesi e la loro galera è sempre più un mistero.

Sulle bottiglie di anice trasportate nella valigia, per aprire il mercato in terra americana, Carmine Gambardella ha raffigurato di proprio pugno, perché la sua passione è il disegno, un topo. A Caivano lo hanno deriso, per questa strana raffigurazione e allo sgorbio hanno dato il nome di mostro, di conseguenza cosi anche il suo soprannome. Il Topolino non era affatto brutto, anzi aveva sembianze umane per via dei pantaloncini indossati e lo sguardo umano, ma tant’è, Caivano era l’oscura provincia e lui ha sognato in grande. Il racconto prende una via immaginaria, anche divertente, affidata ai rumori che si sentono attraverso le pareti del carcere. Sarebbero topi che trasmettono e riportano scritti, proprio dalla prima lettera che l’altro, Michele Sorice, l’attore, ha scritto alla sua amata attrice, sul manifesto di Gambardella. Per essere liberi alfine i due apprendono che basta pagare una cauzione cospicua che loro non hanno e non sanno a chi cercarla, essendo venuti in America, proprio per cambiare vita e dare una svolta all’esistenza miseranda del paese, quando in America è il proibizionismo a fare da padrone. Non hanno speranza, pensano anche ad un duello tra di loro, per porre fine all’episodio più triste della loro vita.

Prima dell’atto estremo, però, si abbandonano ai ricordi, alla vita semplice di Caivano, alla giornata domenicale, a quando usciti dalla messa guardano con compiacimento le ragazze, alle persone che passeggiano ed a quelli che si avviano verso casa con il cartoccio delle paste per la solennità della giornata festiva. Un poetico ed emozionale ricordo buttato là con semplicità ed affezione e condiviso con il pubblico che ha apprezzato.

“Se puoi sognarlo devi farlo” ed eccoli liberi proprio grazie a quel sogno, la cauzione viene pagata da chi si è appropriato di quello sgorbio, Walt Disney e ne ha fatto il simbolo del successo dei suoi cartoni animati: Mickey Mouse, per l’appunto.

A Michele Sorice ed a Carmine Gambardella del sogno non resterà che la libertà, un dono inestimabile, che è tante volte meglio!

 

PS: Una leggenda racconta che una nota distilleria locale, per intenderci di Caivano, avesse come marchio il famoso topolino adottato da Walt Disney per cui Mickey Mouse ha origini nostrane.

E così si chiude il cerchio “Se puoi sognarlo devi farlo”. Grazie Fulvio Sacco!

Maria Serritiello

www.lapilli .eu