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giovedì 21 aprile 2011

Samuela Chilton a "Io scrivo" del Corriere della sera.



SAMUELA CHILTON

Il «Corriere della Sera» promuove la prima edizione del laboratorio di scrittura "Io scrivo".


INTRECCI

INVIATOD da SAMUELA CHILTON

INTRECCI Un telefono“Pronto?” "Inizi oggi?" “Sì.” “Hai deciso come?” “No, non ho alcun progetto, nessun piano.” “E come fai a stabilire se sarà il modo giusto?” “Non lo so infatti, ma chissà? Magari non voglio neanche iniziare con qualcosa di giusto.” “Ho capito.” “Tu, invece, quando ti ricorderai di essere ancora vivo?” “Ancora non mi importa. Voglio che tu, ricordi di essere viva.” “Ci sto provando.” “Io non ho trovato ancora un motivo per farlo” Non seguì nessuna risposta, solo un sospiro di rassegnazione. “Ora devo andare.” “Ok.” Una casa Suonò il campanello. “Chi è?” domandò una voce femminile al citofono. “Mi chiamo Federica Laurenzi, sono qui per l’annuncio.” Un clic metallico era il segnale che poteva accomodarsi, qualcuno aveva aperto il cancello. Amava quella casa sin da quando era bambina, aveva sognato di passeggiare in quel giardino con le sue bambole fingendosi grande dama. E anche se da tempo non abitava più in quei paraggi, quella casa le era rimasta nel cuore. Perchè non iniziare proprio da lì? Aveva saputo che i proprietari erano sempre gli stessi di quando lei aveva lasciato la zona, anzi per l'esattezza ora ci abitava la loro figlia. Lei non la conosceva personalmente ma da tempo seguiva il suo lavoro sulle pagine di cronaca del quotidiano locale. Era una delle donne più buffe che avesse mai visto ma nella sua fantasia infantile, ormai mitizzata, una persona che aveva la fortuna di vivere lì non poteva non essere bella, anche se buffa. Una donna dai tratti indiani la invitò ad entrare in casa e l’accompagnò verso una stanza. Bussò alla porta e dopo poche parole scambiate con qualcuno all’interno le fece cenno di entrare mentre lei uscì chiudendo la porta dietro di sé. Una piccola donna bionda stava seduta ad una scrivania invasa da ogni tipo di carta, fascicolo, libro. “Si sieda, prego, Federica Laurenzi, ha detto?” “Sì,” da vicino potè notare anche una miriade di foglietti con scritte varie, forse appunti, molte delle quali evidenziate. Aveva grandi occhi con enormi borse, anche il naso e la bocca avevano dimensioni inusuali. Sembrava un eccesso di connotati in un volto piccolo ma che in realtà era l'unico elemento nella norma. “Bene, signorina, mi vuol spiegare perché è qui? Di quale annuncio parla? E’ sicura di non aver sbagliato indirizzo? Mi scusi se glielo faccio notare subito ma la sua mi sembra un’intrusione nei miei spazi e neanche troppo originale.” "Ha ragione, non sono originale, la neccessità ci fa essere banali e a volte anche inetti. Ho bisogno di lavorare, ho visto la casa molto grande. Sicuramente occorrono braccia volenterose” “Si propone come donna delle pulizie?Lei è una ragazza molto fine, delicata, salta subito agli occhi. Ha molta classe. Non mi fraintenda, non intendo dire che l’aspetto ci prenoti un ruolo anche nella vita, se non ci sono impedimenti oggettivi penso che tutti possano fare tutto.” Poi aggiunse sorridendo “sono sicura che anche lei, vedendomi, ha pensato fossi uno scherzo della natura. Se contasse solo l'aspetto avrei avuto ben poche occasioni" La ragazza sorrise ma né confermò, né negò. Solo un leggero rossore poteva lasciar intendere come la pensasse. “Oh non ne faccio un dramma, ne sono consapevole e proprio per questo vivo serena. Il mio amore più grande è sempre stato il mio carattere, senza la mia ironia sarei finita da un pezzo. Lei è molto giovane, arriva a vent’anni?” “Quest’anno ne compirò ventidue” “Posso darti del tu?” Le aveva risposto prima ancora che finisse la domanda facendo un sì con la testa. “Sei sicura di voler fare proprio questo lavoro? In fondo si tratta di togliere la mia sporcizia!” “Lo so, ma è quello che voglio fare: togliere la sporcizia.” “Tu sai di cosa mi occupo, vero?“Sei qui anche per quello?” “Sì, le persone che fanno il suo lavoro devono andare oltre ciò che dicono le apparenze.” “Questo te l’ho già detto io, vuoi lusingarmi?” “Perché? Servirebbe a modificare la sua opinione su di me?” “Mi spiace, Federica, ma non mi serve un aiuto.” Troncò all'improvviso. “Va bene” rispose la ragazza continuando a guardarla negli occhi “pazienza.” Aveva serrato le labbra in modo anomalo per la risposta ricevuta. Sembrava infatti una bambina che deglutisce prima di gustare la sua marmellata preferita. Come a preparare il palato al piacere, perché la mente lo gusta già. “Allora vado” disse alzandosi “grazie per avermi ascoltato” “Prego, ti accompagno.” Anche il suo passo era veramente di classe, sembrava non poggiasse i piedi sul pavimento tanto era leggero il suo incedere. Non aveva mai insistito e neanche aveva accampato scuse per portare avanti conversazioni inutili e potersi trattenere più a lungo. “Il suo giardino è molto bello, sa? Io amo gli Adromiscus, non hanno bisogno di cure continue e sono in grado di vivere a lungo senza dipendere da nessuno. Allora, buongiorno” le disse sorridendo e allungando la mano per congedarsi. “Buongiorno” Rientrando verso casa rimirò il suo giardino. Le piante erano il suo rifugio e diverse volte aveva dovuto lottare per farle almeno rispettare. “Federica! Aspetta! La ragazza si voltò con lo stesso sguardo di prima, senza alcuno stupore. “In realtà ho proprio bisogno di te sai?” Una panchina Era giovedì, e già ingoiava strada da venti minuti esatti. Altri sette e sarebbe arrivato, con la sua rassegnazione, davanti all’enorme, bellissimo cancello aperto. Sì, lasciare il cancello aperto di quel mondo era stata la vera e propria vittoria del primario. Non era solo una via di uscita per chi stava dentro ma anche un passaggio per le sensazioni. Doveva lasciar passare il sole, le voci, le ombre, insomma la vita. Tutta la vita vissuta fuori da quel cancello doveva essere avvertita da tutti all'interno e tutti dovevano sentirsi come facenti
parte di quella vita percepita. Questo gli avevano spiegato i medici: “arrivate lì come se l’incontro con i vostri cari avvenisse per caso, non fate troppe cerimonie, un po’ come quando all’interno di un appartamento uno rimane in cucina e l’altro in salotto. Ecco, varcate quel cancello come se entraste nella vostra cucina dopo essere stati in salotto.” La osservò come sempre da lontano, che umore avrebbe avuto oggi? Sembrava serena, intenta com'era nel suo lavoro a maglia che da qualche settimana la teneva impegnata. Il sole era tiepido e lui sollevò un po’ la testa quasi a prenderne meglio il tepore. Era proprio un bel punto, tanto verde attorno e palazzi che discretamente vi si affacciavano sopra. Poteva vedere balconi abbelliti da piante oppure occupati da giocattoli ingombranti e come sempre quella donna che guarda da dietro una tenda. Sorrise nel constatare che c'era anche quel giorno, per poi ritornare con lo sguardo su Angela, la riguardò e accelerò il passo per raggiungerla. “Arturo! Ma sai caro che sto per finire questa sciarpa? Come ti sembra, la trovi carina? “Certo, sei molto brava” le rispose cingendole le spalle con un braccio. “Sei sempre molto gentile.” disse lei serena “Sai che hai un bel colorito.” le disse “E’ il sole che mi fa stare sempre. Se non fosse per questa confusione.” Lamentò tamburellando appena la fronte “Facciamo un passeggiata?” continuò alzandosi e poggiando il suo lavoro. Mentre camminavano le cinse di nuovo le spalle per avvicinarla a sé il più possibile Come per fermare oltre che il suo corpo anche quella manciata di ricordi che ancora riusciva a trattenere la mente di lei. “Non trovi che Carlo sia un bel nome?” “Sì è vero, piace molto anche a me” “Ho la sensazione che faccia parte della mia vita.” “Stai tranquilla, cara” le rispose rassicurandola. “Arturo, hai visto che splendida giornata?” Una giornata libera “No, no, Federica, stai pure qua. Averti attorno mi rilassa e mi aiuta a pensare." Lo disse entrando nello studio e dirigendosi verso la scrivania. Proprio mentre Federica, per non disturbarla, pensava di dedicarsi alla pulizia di un’altra stanza. “Va bene” le rispose fermandosi e tornando al suo lavoro. “Già squilla il telefono, ho parlato troppo in fretta." Sollevò la cornetta e rispose dalla parte opposta della scrivania urtando, per la foga, una pila di fogli che senza fretta planarono sul pavimento. “Ah!” sospirò “Pronto, Maresi.” “Buongiorno, capo!” urlarono dall’altra parte. “Agus, mi mancavi di primo mattino, soprattutto i tuoi decibel! Che vuoi? Hai dimenticato che per voi oggi non esisto?" “Aspetti...” “Senti, non ho voglia di farmi sfondare i timpani. Mi racconterai tutto domani.” “Non l’avrei mai disturbata se non fosse urgente.” “Hai ragione, questo te lo devo, ok dimmi.” “Si ricorda il furto nell'armeria di Trieste?” “Certo che mi ricordo" disse "ma non è una nostra indagine." “Sì…” "E quindi? Continua...." "Erano sparite diverse armi, fucili d'assalto, pistole Sig Sauer e..." “Agus... perchè mi hai telefonato?" Lo bloccò all'improvviso "Finiscila con questo siparietto e dammi le risposte senza aspettare le domande.” “Aneesha” “Sì, Aneesha. Anche per lei oggi è giornata di libertà e di…” si bloccò cambiando tono. “Cosa c’entra Aneesha?” “E’ stata bloccata per un banale controllo dello scontrino. Aveva una di quelle armi nella sporta.” Un telefono“Pronto?” “Ciao.” “Stai bene?” “Sì, sta bene anche lei sai. Mi piacerebbe tanto potessimo stare nuovamente tutti e tre insieme.” “Non faccio programmi lo sai, ma ti prometto che ci penserò." “Certo, non voglio forzarti.” "Ricorda qualcosa?" "Ancora no, solo il nome." “Ora devo andare, a presto.” "Certo, capisco, ti aspetto sempre, lo sai.” Un sari Aprì la porta del commissariato con una tale veemenza che quella non si inceppò, come regolarmente capitava ogni volta. Vide Aneesha seduta ad aspettare come di certo Agus le aveva ordinato. L'avrebbe interrogata lei, non voleva si impaurisse compromettendo il risultato. Entrò nella sua stanza e si appoggiò al falso specchio che dava proprio sul corridoio dove stava seduta la ragazza indiana. Nel suo Sari mostrava con orgoglio dignitoso le sue origini. Chissà perchè lo indossava solo nei suoi giorni liberi? Nessuna emozione, né positiva né negativa, traspariva dal suo sguardo. Non avevano mai parlato tanto, nonostante lavorasse per lei già da diverso tempo. Il suo volto era sempre stato indecifrabile, anche se lei ci leggeva rispetto e lealtà. Certo non avrebbe saputo dire con certezza se fosse contenta della sua situazione. Lontana dalla sua famiglia, dai suoi affetti e dalla sua terra. Non l’aveva mai sentita lamentarsi, ma era anche vero che non l’aveva mai sentita ridere. Si era affezionata ad Aneesha, le loro vite si erano incontrate per un caso strano come a volte la vita ci riserva. Per la strada, Aneesha le aveva chiesto un’informazione e lei, commissario di spicco, non l’aveva nemmeno ascoltata, interpretando subito le sue parole come una richiesta di danaro le aveva messo in mano una moneta. Aneesha l’aveva guardata con i suoi occhi enormi ed interrogativi. Senza perdere niente della sua compostezza le aveva restituito la moneta e l’aveva salutata. Si era sentita un verme e l’aveva richiamata per chiederle scusa, magari davanti a un caffè. Fortunatamente, soprattutto per la figura del commissario di spicco, era riuscita a convincerla. Da allora non si erano più separate. Aneesha, infatti, si occupava di tutte quelle scadenze che una vita normale chiede di onorare. Sempre puntuale e precisa, amministrava la casa del commissario in modo impeccabile. E ora eccola lì, che aspettava di essere interrogata. Cosa c'entrava Aneesha con quel furto d'armi? Una finestra Il
motivo per cui lo avesse notato la prima volta non lo ricordava con esattezza. Di certo erano passati molti mesi. Le prime volte il caso ci aveva messo lo zampino ma poi lei aveva studiato il caso e lo aveva ricercato con pazienza metodica. Era rimasta giorni a guardare dalla finestra senza che succedesse niente, finchè capì che si recava in quel posto solo una volta alla settimana. Che cosa l’aveva colpita di quell’uomo e perché avesse sentito l'esigenza di rivederlo continuamente, erano interrogativi senza una risposta scontata. Sicuramente erano le premure che mostrava nei confronti di quella donna. Infatti, mentre aspettava di vederlo apparire, si era posta quella domanda, quasi senza pensarci molto e si era data questa risposta. Chissà cosa si prova ad avere un uomo che ti protegge. Un uomo che vuole il tuo bene. Lei era così insignificante, avrebbe mai provato un'emozione del genere? Un'emozione che le facesse capire che gli altri possono anche volerci bene? Eccolo, il caso: arrivato anche oggi come ogni giovedì. I passi dell’uomo erano, ogni volta, senza alcun nerbo: meccanici, così come i suoi gesti. Si guardava sempre un po' attorno, anzi, a dire la verità le era sembrato che qualche volta guardasse anche nella sua direzione. Ma forse dava solo un'occhiata al cielo. Poi osservava la donna da lontano, come se cercasse di capirne l’umore, lo tradiva il modo in cui inclinava la testa di lato, sembrava si concentrasse. Riprendeva quindi a camminare: pochi passi lenti e poi veloci per raggiungerla. Si sedeva sulla panchina, quella sotto ai pioppi e lei gli si rivolgeva sempre con entusiasmo, lo si deduceva dai grandi sorrisi che gli rivolgeva tutte le volte. Eccoli alzarsi, poi, per fare una passeggiata, li perdeva di vista qualche minuto per rivederli percorrere con calma i serpenti di cemento che consentivano l’accesso al piccolo bosco. Ancora qualche istante, in cui lei si attardava a contemplare la pulizia di tutto quel verde, per rivederli poi tornare, dalla parte opposta, alla loro panchina. Sollevò lo sguardo dalla scena, desiderando di essere quella donna o anche solo di avere qualcuno di cui prendersi cura oltre alle sue quattro mura. Il cielo era bello terso, solo ogni tanto piccoli voli di uccellini lo macchiavano come fossero lentiggini. Il sole penetrava nella stanza e poggiava i suoi raggi sui mobili di legno massiccio evidenziando la polvere. Provò quasi un fastidio epidermico: doveva toglierla immediatamente. Lasciò andare la tendina e riprese a pulire, tanto lui non sarebbe tornato prima di una settimana. Un commissariato "Poteva concludersi tutto senza tanto rumore" si lamentò Aneesha. Seduta davanti alla scrivania non guardava il commissario negli occhi. "Mi vuoi spiegare cosa è successo? Dopo il nostro primo incontro ti ho sempre ascoltato. Pensavo fossi una persona riservata o hai sempre avuto qualcosa da nascondere?" Aneesha teneva lo sguardo basso, imbarazzata e impaurita. "La tua famiglia a Delhi sta bene?" "E' tutto così complicato" rispose. "Provaci, Aneesha, altrimenti tiro su un muro e verrà fuori il commissario che vuole sapere la verità a qualunque costo." Iniziò a parlare: "Da qualche settimana è arrivata in città mia sorella Neela. Ha avuto la sfortuna di incrociare una nostra vecchia conoscenza, proprio all'aeroporto, anche se lei non se n'era neanche accorta. Si tratta di Shamir Singh, un delinquentello del nostro paese. Non si tratta di una persona pericolosa, almeno per come lo ricordo io, però è sempre stato un debole; pronto in ogni occasione a schierarsi dalla parte del più forte, non importa se nel bene o nel male. Appena entrata nella sala d'aspetto l'ho notato subito: appoggiato ad una parete, osservava mia sorella. Volevo nascondermi per evitare che vedesse anche me ma non ho fatto a tempo, Neela mi ha visto subito e mi è corsa incontro. Uscite dall'aeroporto ci ha seguite. Da allora non ha più smesso. Non ci ha mai dato fastidio, mai, era solo presente; tutte le volte che uscivo di casa lui era lì ad aspettarmi. Sa dove abito, sa dove lavoro, conosce i miei cari a Delhi." "Sto per esplodere!" Commentò incredula Maresi "Perchè non me ne hai parlato?" le chiese con un tono che tradiva tutta la rabbia e lo stupore che quel resoconto stava iniziando a provocarle. "Ho lasciato Neela a casa questa mattina perchè avevo premura, e sono uscita per fare delle compere, contavo di rientrare subito. Non l'ho visto in nessuno dei soliti punti e questo, paradossalmente, miha messo in agitazione. Non saprei dire perchè... forse vederlo mi dava certezza di dove fosse il male, di poterlo vedere e quindi evitare... Ero inquieta ma ho proseguito lo stesso." Il commissario l'ascoltava senza perdere niente di quella deposizione, non solo le parole ma anche lo stato d'animo: diceva la verità? In fondo non c'era motivo di non crederle. L'unico elemento di nervosismo era dato dalle mani che continuavano a torcere le dita divenute ormai arrossate. "Poi l'ho rivisto all'improvviso, dentro il supermercato del centro, mi ricordo che cercavo una cosa in particolare e guardavo la merce esposta. Mi sono sentita come osservata e voltatami l'ho visto. Mi ha sorriso in un modo che mi ha raggelato la schiena." "Vai avanti" la incoraggiò "Ho cercato di affrettarmi e raggiungere l'uscita ma lui mi ha seguito e poi raggiunto in un reparto, deserto in quel momento. Fu allora che mi diede quella pistola. Anzi mi prese la mano con forza e ce la mise, deciso. Non sapevo cosa fare, ero terrorizzata e siccome non volevo prenderla l'ha gettata con stizza nella mia busta. Mi ha insultato e quando ho tentato di scappare mi ha minacciato e ha continuato a farlo mentre si allontanava dal reparto. Poi non l'ho più visto. Sono rimasta pietrificata
per non so quanto tempo." Iniziò a perdere il suo autocontrollo, gli occhi divennero lucidi ed iniziarono a cerchiarsi di rosso. La voce divenne incerta e la bocca iniziò a irrigidirsi per il pianto. "Stai tranquilla. Devo farti delle altre domande però. Vuoi fare una pausa?" Il pianto era diventato lamento, continuò abbattendo tutte le remore del pudore. "Dobbiamo iniziare le ricerche, ci devi dare tutti gli elementi per prenderlo subito, ci serve una descrizione il più fedele possibile. Dobbiamo ricavarne un identikit" Un urlo disperato la fece trasalire "NO! Non dovete fare nulla! "Non dire stupidaggini ci sono tutti gli elementi per un arresto in piena regola" "Mi ha dato questa" disse mostrandole quello che sembrava un pezzo di carta. Il commissario lo guardò e chiuse gli occhi, la vicenda si complicava. Si trattava di una foto. Un telefono "Pronto?" "Ciao." "Oggi mi sento, come dire, propositiva.Ho pensato all'idea di poter venire a farle visita, pensi possa essere una buona idea?" "Io dico di sì, dobbiamo almeno provare." "Vorrei che riprovassi a parlarle di me, non vorrei turbarla presentandomi davanti all'improvviso." "Va bene, te lo prometto." "Ciao." Un appuntamento Si guardò allo specchio sistemandosi i capelli, sistemò meglio anche la camicietta e andò alla finestra. Non aveva senso che controllasse il suo aspetto per guardare attraverso un vetro ma lo faceva comunque. Il fatto di non aspettare nessuno alla porta alterava l'importanza e il significato di aspettare qualcosa alla finestra, convincendola di non essere poi così sola. D'altronde non si può commiserare una persona che ha un appuntamento fisso ogni settimana. Voleva gustarsi quel momento senza preoccupazioni ma purtroppo gli specchi dovevano ancora essere puliti e questo la metteva a disagio, anche la casa avrebbe dovuto essere in perfetto ordine! Eccolo! Guardò l'orologio perchè aveva la sensazione che oggi fosse un po' in ritardo. Era così, chissà perchè. Forse era stato trattenuto al lavoro, o magari un contrattempo con la macchina. Era già seduto sotto i pioppi e parlava con la donna. Ma cosa stava succedendo? La donna sembrava disperata, piangeva e si aggrappava a lui. Cercava di calmarla accarezzandola ma non ci riusciva. Ecco che arrivavano degli infermieri in soccorso. Anche lui voleva essere utile e seguirli ma gli infermieri sembravano averlo fatto desistere. Rimasto qualche minuto in piedi a guardare quella scena straziante si era poi lasciato cadere sulla panchina, poggiando le braccia sulle cosce. Si vedeva solo la schiena sussultare, sicuramente piangeva. Non aveva neanche sollevato la testa oggi, non aveva degnato il cielo di uno sguardo. Gli specchi! Doveva pulire gli specchi. Lasciò andare la tenda, rimise la pinza per raccogliere le ciocche di capelli e riprese a pulire. Un telefono "Pronto?" "Papà che succede? Perchè mi chiami tu? "Come stai?" "Sto bene, ma cosa è successo? Ha ricordato tutto?" "Ha avuto una crisi, l'hanno dovuta sedare." "Mi dispiace è di nuovo colpa mia" "Non dire così, non mi dare anche questa croce. Sai che la sua è un'amnesia affettiva. Sentire il tuo nome le crea lo stesso identico stato emotivo di quel ricordo, compromettendo il suo meccanismo di difesa... e lei non è ancora pronta, non vuole farlo." "Ora come sta?" "Sta meglio. Per qualche giorno aumenteranno la dose del sedativo e poi cercheranno di ripristinare la terapia. E' sotto controllo, si riprenderà" "Vado papà, devo riprendermi anche io ora" "Posso stare tranquillo?" "Sì, certo" "Ciao, cara" Un quadretto "La bambina della foto è Neela, vero?" chiese Maresi sollevando la cornetta dell'interfono: "Agus vieni subito." Dopo pochi minuti Agus era nella stanza "chi abbiamo disponibile? Potrebbe trattarsi di un rapimento e ho bisogno di uomini" "Marino e Basili sono qua, Petrarca arriva alle 16." "Mettili in moto, Marino controllerà la lista dei passeggeri di tutti i voli in arrivo e in partenza in quella data; Basili, invece, richiederà le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso. Voglio sapere perchè Singh si trovasse all'aeroporto. Ci serve la data e l'ora esatta dell'arrivo del volo." "Il dodici marzo, il volo delle 9,40 " disse Aneesha. Agus andò ad impartire gli ordini. "Aneesha, guarda bene la foto, ora, i vestiti che indossa Neela sono gli stessi che le hai visto oggi?" "Sì, mi sembra di sì" "Devi essere sicura, non deve essere un "mi sembra." Aneesha guardò nuovamente la foto in silenzio. "Sì, è quello che indossava stamattina, non ci avevo fatto caso, è la sua camicia da notte. Quando sono uscita di casa non si era ancora cambiata." "Bene, riconosci questo dettaglio della foto? E' stata scattata a casa tua?" le indicò una porzione di quadro che rappresentava un volto femminile."Sì, lo riconosco è il quadretto all'ingresso" Rientrato Agus il commissario gli chiese:"qual è il collegamento col furto all'armeria?" "L'arma trovata addosso ad Aneesha è una Desert Eagle calibro 50 e dai controlli sul numero di matricola è risultato che era stata rubata un paio d'anni fa proprio nell'armeria di Trieste. Il caso di cui abbiamo parlato al telefono. Due giorni fa c'è stato il blitz degli agenti che dopo giorni di indagini, appostamenti e scambio di informazioni con la polizia del posto hanno scoperto dove le armi di quel furto erano state occultate. Ebbene, proprio nella nostra città e precisamente nella cantina di un insospettabile professionista: un avvocato. Intendiamoci questi è solo il detentore delle armi. Il vero capo dietro tutto questo sembra essere il latitante Janesh Ganesh Mudaliar, su cui pende un'accusa di detenzione illegale di armi da guerra e ricettazione." "E' ovvio che c'è stato un contatto tra Mudaliar e Singh." commentò
Maresi, "pensa, forse, che liberandosi del suo souvenir Mudaliar si dimentichi di lui?" "L'indagine rimane nostra solo per la parte che riguarda la minaccia verso Aneesha e il probabile rapimento di Neela. Per quanto riguarda le armi ritrovate e i collegamenti tra Singh e Mudaliar se ne occuperà la procura, anzi informiamola subito di questi nuovi sviluppi." "Già fatto, capo, abbiamo inviato tutte le informazioni e l'identikit di Singh." "Bravo, Agus. Andiamo a casa tua Aneesha, potrebbe esserci qualche indizio per ritrovare Neela. Agus viene anche tu." Nell'infilare la chiave nella toppa la mano della donna indiana tremava. "Apri solo la porta, entriamo noi" disse il commissario e lei acconsentì muovendo solo la testa. Maresi entrò per prima, con uno sguardo controllò l'intera stanza – eccolo il quadro della foto - fece cenno ad Agus di seguirla e di non fare rumore: forse Singh era ancora in casa; sentiva delle voci e si diressero verso la stanza da cui provenivano. Come sempre il commissario andò avanti, la pistola pronta per la difesa. Guardò dentro la stanza e lentamente abbassò l'arma, il suo viso si distese, chiamò la bambina che, tranquillamente, guardava la televisione. "Neela?" Poi si voltò dal suo agente: "Fai entrare subito Aneesha" Pochi secondi e le due sorelle già si abbracciavano "Neela, cosa è successo stamattina?" le chiese Aneesha accarezzandole i capelli "Ho visto una tua foto con quel Shamir. Ti ha fatto del male? Ti minacciava con un coltello..." "Non mi ha fatto del male Aneesha, credimi. Voleva solo scattarmi delle foto per farti uno scherzo, ma poi ha suonato la vicina che ti cercava e lui è andato via." "Per fortuna è stato disturbato" commentò Maresi in macchina "Chiamerò io il procuratore per aggiornarlo, accompagni a casa, per favore." Un vicino Come mai questo malumore? Forse perchè da due settimane nessuno si sedeva sulla panchina sotto i pioppi? Chissà cos'era successo. I vetri erano splendenti, sembrava proprio che neanche ci fossero. Rispostò la tendina: ancora nessuno. Il trillo del campanello la stupì. Chi può suonare alla sua porta, forse il postino per qualche bolletta. Andò ad aprire e si trovò davanti un sconosciuto: "Buongiorno Signora... " si spostò sul campanello per leggere il nome "Gertrude, sono il nuovo vicino" le disse porgendole una mano per presentarsi "mi sono trasferito qua da qualche settimana e ho conosciuto tutti nel palazzo. Mi mancava solo lei." Era giovane, cortese, un bel volto sorridente dai tratti indiani."Le posso offrire un caffè solo per conoscerci un po'? Ma se ha da fare ci vediamo più tardi, magari fra un'ora?" Glielo aveva chiesto in un modo così naturale, che rispose senza pensarci molto: no, non ho impegni. Posso anche subito" "Bene, allora l'aspetto""Come ha detto che si chiama?" "Che sbadato! Shamir, mi chiamo Shamir." Un the caldo "Ciao Federica, sapessi che giornata! Ho parlato con Aneesha più tempo oggi che non in tutto il tempo che ha trascorso lavorando qui" "Immagino, riservata com'è" Sotto lo sguardo stupito di Federica il commissario raccontò tutta la vicenda. "E ' stato brutto sapere che lei avrebbe potuto avere il mio aiuto e ha avuto timore a chiederlo. Mi sembrava di parlare con un'estranea e non voglio che capiti anche con te. Vorrei conoscerti un po' di più, Federica, ma senza che la cosa possa dispiacerti." L'aveva invitata a sedersi. "Voglio confidarti una cosa, una sensazione che avverto da tempo nei tuoi confronti. Sembra quasi che tu abbia voglia di stare qua perchè consideri questa casa come fosse il tuo rifugio. Come se avessi paura di vivere, Federica." "Vivere è una pena." "Hai una colpa così grande?" "Sì" Non si aspettava una risposta così immediata, così sicura, e soprattutto, affermativa. "Vuoi parlarmene?" "...Sì... Mi fido di lei" "Ti va una tazza di the?" le chiese mettendo la teiera sul fuoco. "Grazie, sì" "Stai comoda, faccio io." "Come mai non hai continuato gli studi?" La guardava senza risponderle. Il fischio della teiera sembrò immediato e Maresi versò il the. Immergendo il filtro, Federica iniziò a rispondere: "Avevo diciotto anni, appena preso la maturità volevo festeggiare con una passeggiata al mare. I miei amici erano già in spiaggia, mi aspettavano lì. All'ultimo momento, per un imprevisto, mia madre dovette uscire e quindi portai mio fratello con me per non lasciarlo solo." Ora zuccherava il te e ci soffiava sopra per raffreddarlo. Poi, guardando l'infuso fumante, riprese il suo racconto. "Tenevamo i finestrini aperti e cantavamo insieme alla radio, eravamo felici. Anche Carlo, con la sua licenza media appena conquistata, voleva festeggiare. Era uno scricciolo, sembrava più piccolo della sua età. Non so cosa sia stato. Ci penso continuamente." Si coprì la faccia con le mani e iniziò a piangere. "Ho sbattuto sul gard-rail e sono svenuta. Mi sono risvegliata in un letto di ospedale. Per me niente di grave, ma... Carlo... E' morto durante il trasporto al pronto soccorso, per "complicanze interne" hanno detto." Eccolo, il peso più grosso che quella fragile ed elengante fanciulla portava dentro di sè, era riuscita a toglierlo fuori e anche il pianto ora andava attenuandosi. "Non è colpa tua, Federica. Non serve a niente che io lo dica, me ne rendo conto. E' stata una terribile fatalità." "Da allora mia madre è ricoverata in un ospedale psichiatrico. Non ricorda quello che è successo. O meglio, non lo vuole ricordare. Ci hanno spiegato che è il suo "io" che si difende, si protegge da richeste troppo dolorose che lei, per il momento, non è in grado di fronteggiare direttamente. Ma io spero sempre che si riprenda e che possa riabbracciarmi. Siamo stati tutti malissimo quando è successo ma lei, forse, era più vulnerabile e l'ha inconsapevolmente
rimosso. Non lo ha mai elaborato. Troppo angosciante, troppo traumatizzante. Non la vedo da anni, ho solo contatti con mio padre, l'unico che possa vederla perchè è l'unico di cui lei si fida." Le diede un buffetto sul naso e aspettò che si calmasse completamente. "Va meglio?" "Sì, grazie, parlarne mi aiuta sempre" "Sai che ti dico? Andiamo a cena fuori e non accetto rifiuti. Su, sciacquati il viso." "Ma sarà stanca, non è il caso... sto bene... davvero." "Sei ancora seduta? Alzati dai, penso sia giunto il momento di chiamarmi Gianna." "Ok, Gianna" sorrise "arrivo." Un telefono "Pronto papà." "Ciao, cara, ti sento bene." "E' vero sto bene, sto riacquistando fiducia." "Mi fai felice, piccola mia." "Davvero?" "Come puoi dubitarne? Non è colpa tua se la mamma vive in un mondo diverso dal nostro, lo fa solo per soffrire meno. Sei tu l'altra cosa più preziosa che ho, il motivo per cui ho ricordato di essere ancora vivo." "Grazie, papà" "Di cosa?" Un epilogoSin da quando era una semplice matricola le avevano inculcato che nulla va trascurato; che tra i dettagli e gli scarti ci sono ricchezze infinite. Anche questa volta era stato così. Le registrazioni in aeroporto di quell'insignificante pedina che era Shamir avevano rivelato che era proprio lui il contatto con il latitante Mudaliar. E proprio il capo in persona lo testava direttamente sul campo. Si scambiavano informazioni nel modo più efficace e sicuro: sotto gli occhi di tutti. Pezzi di carta buttati "distrattamente" da un complice e subito "calpestati" dall'altro. Il fatto che fosse l'aeroporto era solo un caso. Il posto dell'incontro, infatti, cambiava tutte le volte. Nella stessa traiettoria si erano trovate prima Neela e poi Aneesha, solo perchè Shamir si era attardato all'aeroporto e così le aveva viste. La situazione aveva, poi, avuto un risvolto insperato: Shamir alloggiava ora nello stesso palazzo di una agente ormai in pensione, ma sempre valida. Poteva controllarlo costantemente e segnalare un eventuale contatto con Mudaliar. Rimaneva il solito rischio: che Gertrude si infatuasse di lui.


Samuela Chilton, pseudonimo, è nata a Sassari
dove vive e lavora tuttora.
Appassionata lettrice fin da bambina,
ha sempre desiderato scrivere.
Nel 2004 nascono i suoi primi racconti brevi,
stile narrativo che predilige.
Nel 2005 un suo racconto "Best-Seller" viene pubblicato sulla rivista "Inchiostro".


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E’ possibile partecipare con un racconto breve di qualsiasi genere (fiaba, romanzo breve, giallo/poliziesco, storico, comico/satirico, etc.) e della lunghezza minima di 27.000 battute (spazi inclusi), con un massimo di 32.000 battute. I testi, a tema libero e in lingua italiana, devono essere necessariamente inediti. Non sono ammessi scritti che siano già stati inviati ad altre iniziative o concorsi. Ogni partecipante potrà inviare un solo elaborato. Tutti i racconti saranno pubblicati su Corriere.it e potranno essere letti e votati dagli altri utenti. Il più bello, scelto dai giornalisti del Corriere della Sera, verrà pubblicato nella collana del «Corriere della Sera» “Corti di Carta”. Per partecipare è necessario essere registrai a Corriere della Sera.it (clicca qui per registrarti).

Gli scritti saranno sottoposti a un controllo preventivo al fine di vagliare l’eventuale presenza di contenuti contrari al decoro e alla morale comune.

TERMINE DI INVIO ELABORATI.
Gli elaborati dovranno essere inviati tramite l’apposito form online (seguendo le istruzioni, clicca qui) entro il 29 aprile.

TI RICORDIAMO CHE:
che per condividere il tuo racconto registrandoti a Corriere.it hai accettato le condizioni generali per la fruizione dei servizi sul nostro sito e in particolare che:
• il tuo racconto potrà essere pubblicato anche al di fuori del sito Corriere.it, sul Corriere della Sera o su altre pubblicazioni online e stampa;
• il limite minimo di battute è 27.000 (spazi inclusi);
• il limite massimo di battute è 32.000 (spazi inclusi).

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