Presso la Sala Moka di Salerno, sita in Via Diaz, il 20 marzo scorso, alle ore 18, l’associazione culturale il “Caffè” dell’Artista che, ogni lunedì, propone un tema di ascolto ai soci, ha presentato un interessante studio del dott.re Giuseppe Lauriello, Primario Emerito di Bronco- pneumologia al Da Procida di Salerno, scrittore e studioso del mondo antico. Il tema scelto per la dotta conferenza, illustrata da una serie di diapositive e filmati, è stato “La notte di San Bartolomeo”, passata allastoria con la riassuntiva espressione “Parigi val bene una messa”, pronunciata da Enrico di Navarra e risalente alla fine del '500, periodo in cui la Francia era devastata da una terribile guerra civile, conosciuta come la “Guerra dei tre Enrichi": Enrico di Guisa, Enrico III e appunto Enrico di Navarra. Nel trattare l’argomento il relatore non soltanto ha esposto la sanguinosa vicenda con l’efficacia delle immagini e la crudezza dei filmati, ma ha magistralmente narrato gli antefatti del massacro e l’inquietante contesto storico in cui è maturato, sottolineando come l’orrenda carneficina sia nata da quelle truculente e fanatiche guerre di religione che imperversarono e insanguinarono l’epoca. Con pochi, suggestivi tocchi sono state inquadrate le figure dei protagonisti: Caterina de’ Medici, Carlo IX, Enrico di Navarra, Enrico di Guisa, la Margot e le angosciose ‘nozze di sangue’ tra Enrico di Navarra e Margherita di Valois. L’accattivante conferenziere, che ha un seguito di ascolto notevole, accostando vicende di ieri e vicende di oggi, ha voluto, soprattutto, porre in risalto alcune analogie con gli attuali misfatti terroristici, che hanno seminato di tanti morti innocenti, i vari luoghi d’Europa. Un appuntamento, quello del Dott.re Geppino Lauriello, al Caffè dell’Artista, tradizionalmente seguito, le sue performance piacciono per il dotto contenuto e l’affabulane modo di porgerle.
Terzo appuntamento al Festival Teatro XS di Salerno con "Porta chiusa" di J.P. Sartre, un atto unico scritto nel 1944 e presentato al Teatro Genovesi, dalla Compagnia Teatrale " La Terra Smossa" di Gravina di Puglia, che ha saputo tenere viva l'attenzione degli spettatori, per circa 100 minuti. Sulla scena si muovono 4 personaggi: il cameriere, Garcin, Estelle ed Inès, il posto dove approdano uno ad uno è l’inferno. Il luogo appare strano, privo di finestre e specchi, dominato da un fondale diafano di cellofan, che lascia trasparire un corridoio lievemente illuminato e attraverso il quale, gli attori si presentano sulla scena sbucando da un ampio tubo-canale, posto in primo piano sulla sinistra. La scena si completa con una scultura metallica, una panca di legno, messa frontalmente e tre sedie, dello stesso materiale e di apparente diverso colore, sistemate di sbieco, infine un pulsante schizzinoso è collocato a terra, nel caso si dovesse utilizzarlo per chiamate.
Una sorta di cantilena, Victima paschali laudes di Ennio Morricone, ancestrale e fanciullesca, invade il luogo d’azione e preannuncia l'inizio di operazioni tenebrose, che di lì a poco avranno luogo. Un gioco di luci sinistre, rosseggianti e scure, dominano il nero delle pareti. Non s’intravede nessuna porta, se non l'orificio rossastro del tunnel-canale, dal quale per primo, carponi, sbuca Garcin che in tempi sfalsati sarà raggiunto da Ines ed Estelle. Alto, distinto, con un bianco panama a coprirgli il capo ed un vestito dello stesso colore, appare sorpreso che ad introdurlo nel luogo infernale sia un cameriere in divisa perfetta e che non si scorga nessuna traccia di catene, fiamme ed oggetti di torture. Nell’immaginario collettivo, da vivi, è ciò che si crede e non scorgendovi nessuna traccia, si sente sollevato. Quando il trio è definitivamente composto e comprendono che la loro sorte è compiuta cominciano a delinearsi, attraverso anche violenti scontri, le loro personalità ed i loro peccati. Garcin è brasiliano e durante la seconda guerra mondiale ha disertato e nella vita familiare è stato infedele alla moglie fino a condurla al suicidio. Inès è lesbica e ha sedotto la sua amante inducendola ad uccidere il marito, che per giunta era anche suo cugino. Esthelle è una donna della buona società che per soldi ha sposato un uomo anziano e lo ha tradito con uno più giovane. Frutto della loro relazione è un figlio, che la donna non esita ad annegare, provocando l’uccisione dell’amante. Durante tutto il dramma delle loro confessioni, Inès manovra e controlla le opinioni degli altri due ed è l’unica che non nasconde il proprio crimine, né permette agli altri di fare altrettanto. Infine, il cameriere che li ha introdotti, non si conosce se questa mansione la svolga per scelta o per punizione, di certo, si apprende che lo zio è il capo cameriere.
Questo è il tessuto del dramma su cui vanno ad insinuarsi discussioni serrate, ostinatamente cerebrali, simboli e consapevolezza che “l'inferno sono gli altri”. Ogni parola va ben pesata, come ogni sistemazione degli oggetti in scena, ad esempio la differenza espositiva, che sussiste tra la panca e le sedie, rende l'una, una condivisione dello spazio e dei pensieri, le altre un rinchiudersi nella propria identità personale, facendo a gara ad accaparrarsi la postazione più conveniente che sta a sottolineare una continua alternanza di egoismo esasperato e un'urgenza necessaria di rispecchiare il proprio sé in quello degli altri. Una considerazione va fatta sul tunnel da cui vengono espulsi i tre personaggi e che è paragonabile al canale del parto, divenendo così anche il canale del trapasso. Una chiara metafora che apre al falso della vita, il primo, mentre il secondo all' assenza, come recupero dei ricordi. Canale, dunque, centrale, sebbene defilato scenograficamente, a testimonianza della fatale fragilità dell'essere umano, sempre sull'orlo degli eventi. L'inferno che ospita i tre malcapitati non è altro che il mondo dei ricordi, unica realtà dell'esistenza stessa, costruito, vita vivendo, con drammi e sconfitte. Uno zigzagare disordinato, talvolta tragico, talvolta sensuale, mai dolce o elegiaco, tra i ricordi di ognuno e che porta, gli stessi, alla consapevolezza di desiderare la riapertura del canale, mai parossisticamente chiuso, senza avere ormai la forza di uscirne. La condanna dell’inferno non sono le fiamme e le catene ma il loro guardarsi dentro senza giustificazioni.
Operazione coraggiosa da parte della Compagnia pugliese “La Terra Smossa” nel presentare, in tempi caratterizzati da troppa leggerezza e superficialità, un pezzo così duro e cerebrale che testimonia amore per il teatro e disponibilità al sacrificio professionale. La sapiente regia di Gianni Ricciardelli ha condensato in 100 minuti, un’opera che non ha mai distratto l’attenzione, le opportune luci date in scena da Teresa Cicala ed i passaggi musicali: folding excerpt : brano inedito. St Louis Blues: di Edmond Hall & WC Handy, main theme 2046: di Shigeru Umebayashi, film intitolato 2046, scelti dallo stesso regista, hanno reso, oltre modo, fruibile il dramma. Bravo il cameriere, Ronny Tinelli, dalla voce metallica di un perfetto automa e gli occhi sbarratamente fissi, un record il suo, nel non sbattere le ciglia. Incisivo nella parte di Garcin, Leo Coviello, che ha scolpito il personaggio, con il fisico asciutto, roso dal pentimento, con la mimica del corpo, anche sensuale, con la voce, perfetta in tutte le sfumature di tono e con l’efficace prova di memoria. Grande impegno e tensione dei sensi, di Inès, Maria Pia Antonacci, bruna, capelli ribelli, che ha prestato il suo corpo e la recitazione, all’immagine di Eva tentatrice. Molto ben caratterizzata, la figura di Esthelle, Stefania Carulli, che nascondendosi dietro un’immagine diafana e capelli color dell’oro, ha dato fiato ad una recitazione elegante, quale il suo ambiente e struggente nei passaggi sulla sua colpa.
Giovedì 16 marzo, alla Libreria Internazionale di Salerno, il poeta Franco Arminio, da Bisaccia, nell’Irpinia Orientale, ha presentato la sua ultima fatica dal titolo “Cedi la strada agli alberi”. Poesie d’amore e di terra. Lui è uno strenuo difensore dell'altra città, ovvero di quella realtà di paesi dimenticati e desertificati, che, tuttavia, riforniscono e vivificano esperienze e vita alla città vera propria. Il poeta, con particolare riferimento ai paesi collinari e montani, che sono discosti dalle tante città, si propone di restituire visibilità e credibilità, proprio a quella realtà che la spinta evolutiva vuole annullare. Invita, il poeta, a far riscoprire, all'uomo del nostro tempo e a disvelare all’interno di sé i valori dimenticati della propria biologia infantile, della sensorialità primigenia e della sacralità ancestrale, scelte che la globalizzazione, in nome del presunto sviluppo, vorrebbe che si facesse. Roberto Saviano di lui dice “E’ uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato», citando un suo passo: «Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno» Nella nota d’avvio si legge che la prima volta, come scrittore, di Franco Arminio, fu in un pomeriggio di gennaio, del 1976, appena sedicenne, usando la penna rossa e un’agenda di finta pelle, trovata nell’osteria del padre. In quegli anni scrisse senza sosta, riempiendo 18 sacchetti della spazzatura e due casse di legno che il nonno aveva trasportato dall’America. In seguito continuò a scrivere con l’uso del pc e ciò gli rese facile il fare ed il disfare, per la composizione dei versi, che non sono frutto di un’azione spontanea ma curati con insistenza ed attenzione. Paesologo, unico in Italia, è direttore artistico della manifestazione “La Luna e i Calanchi”, che si tiene, nel mese di agosto, ad Aliano, in provincia di Matera, il paese dove fu confinato lo scrittore Carlo Levi, “Parlo dei paesi perché ad un certo punto mi sono reso conto che erano un po’ al mio stesso punto: creature in bilico, col buco in mezzo” Riappropriandosi della biologia sensoriale “Abbiamo bisogno di contadini/ di poeti, di gente che sa fare il pane/ che ama gli alberi e riconosce il vento...”, e avvalendosi degli eoni precedenti al contatto della madre terra, l'individuo, sostiene, potrà, calendarizzare tempi e contatti con essa, provando ad avvicinarsi alla felicità, o ad essere contento senza motivo, perché sereno e soddisfatto per l'equilibrio raggiunto con se stesso e con gli altri. Così il grido di solitudine dell'individuo, si trasforma in una coralità estesa e partecipata, propria del cosmo. Una riscoperta della biologicità, la sua, che trova forza e sostegno nelle conquiste delle neuroscienze, ad esempio il darwinismo neurale di Gerald Edelman, così come le conclusioni, altrettanto, attuali sul libero arbitrio, dove la biologicità è intesa come sensorialità allargata alla sacralità e alla materialità cosmica “Concedetevi una vacanza/intorno a un filo d’erba,/concedetevi al silenzio e alla luce/alla muta lussuria della rosa”. Moderno guru della vita contadina o di quella vissuta momento per momento, si fa portavoce credibile ed accattivante di un’esistenza che debba rinnovare certi valori del passato perché possa fondare tutta la propria esistenza su di una filosofia recuperabile ed ancora possibile. Una sorta di rivoluzione copernicana dove sia l'uomo, con le proprie scelte, e non la società globalizzata, ad indirizzare l’esistenza sulla base di una filosofia e di una consapevolezza del sé cercata e trovata nel corso della propria vita. Sensorialità e conoscenza, dunque, per individuare le tante fonti di serenità e felicità senza mai dimenticare l’essere polvere. Franco Arminio non è certamente l'unico, né il primo a lanciare SOS alla comunità tutta, ma di certo è una voce forte, precisa, e sincera, soprattutto attuale: “Non servono/i mestieranti dello sdegno/, i mercanti del frastuono/. Per raccontare certi luoghi ci vogliono la poesia/, il teatro, il canto”. Sembra che le parole siano un flusso continuo, nemmeno pensato o appena uscito dal forno caldo della sua panificazione. Ma non è così! La comprensione facile dei suoi versi non deriva da una composizione sciatta, trascurata, ma è frutto di un lavorio ricercato, inseguito perché possa offrire purezza ed eleganza al verso. Colto fino all'inverosimile impana, nel crogiolo dei suoi sensi, le parole e le presenta fragranti, fumanti e fresche nel piatto della pagina. Serafico e gentile lascia trasparire tutte le asperità e le sconfitte dell'esistenza di tutti gli uomini senza alcuna drammaticità sicché tutto viene ricondotto nell'albero di una umanità dolente. Romano Battaglia, Robert Frost, Virgilio i nomi che più da vicino restituiscono la lettura dei suoi versi, ma è un falso apparentamento, Franco Arminio, rimane unico nel tracciare certe immagini, pure, impietose, franche e reali.
Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Ultimo giorno, domenica 19 marzo 2017, dei quattro in programma, per addolcire la giornata che racchiude tre festività, ossia la ricorrenza di San Giuseppe, la festa del papà e la domenica dedicata al Signore, con il Chocolate Day di Salerno. Un tratto dello splendido lungomare della città è stato allestito da tanti stand con le più gustose delizie di marrone scuro in esposizione. La manifestazione è stata organizzata dalla CLAAI (Confederazione Libere Associazioni Artigiane Italiane), in collaborazione con Tanagro Legno Idea e patrocinata dal Comune di Salerno e dalla Camera di Commercio di Salerno, gli stand sono aperti ininterrottamente dalle ore 10,00 alle 24,00 e l’ingresso è libero. Tanti i maestri cioccolatai provenienti da varie parti della penisola: Sicilia, Veneto, Campania, Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Calabria e presenti sul tratto più bello ed assolato della città, per dare luce e colore all’oro nero in esposizione.
Il cioccolato è un alimento derivato dai semi dell'albero del cacao, la pianta ha origini antichissime, più di 6000 mila anni fa ed i primi a coltivarla, intorno all’anno mille a.C., furono i Maya. Una leggenda, azteca, narra di una principessa che, lasciata sola, dal suo sposo, partito in guerra, fu messa a guardia di un smisurato tesoro. All’arrivo dei nemici la principessa si rifiutò di rivelarne il nascondiglio e fu per questo uccisa; dal suo sangue nacque la pianta del cacao, i cui semi sono amari come la sofferenza, ma forti ed eccitanti, come le virtù della ragazza.
Oltre a saggiare la tentazione del cioccolato, il cui richiamo, ad ogni banco è simile a quello usato dalle sirene per Ulisse, si può assistere alla fattura di cioccolato artigianale con la Ciokofabbrica, ovvero l’unica fabbrica itinerante del cioccolato in Europa, che mostra la fattura, vera e propria, del cibo degli dei, dimostrazione curata dal cioccolatiere Fausto Ercolani della città di Deruta. Vari laboratori per grandi e piccini sono stati al centro di questi 4 giorni di leccornie, ma il top si raggiungerà, domenica, alle ore 19,00, per l’insolito connubio tra cioccolato e vino. A proporre il singolare accostamento è il maestro artigiano cioccolatiere, Russo Giuseppe da Modica. Il vino da abbinare alla delizia, fatta cioccolato, è quello delle Cantine di Giuseppe Apicella, della Costa d'Amalfi di Tramonti (Sa), preferito dal sommelier Andrea Moscariello. Degustazioni, quelle del Chocolate Day di Salerno, esaltanti le eccellenze del territorio, che vanno sempre più promosse, per combattere le sofisticazioni del mercato fuori controllo.
A giugno avrebbe compiuto 90 anni. Una vita con lo Zecchino d'Oro
E' morto il 23 marzo scorso a Milano Cino Tortorella, l'ex mago Zurlì che per tanti anni ha legato il proprio volto e la propria attività allo Zecchino d'oro. A giugno avrebbe compiuto 90 anni. Autore e regista, era anche appassionato ed esperto di enogastronomia.
A Cino Tortorella, nato a Ventimiglia, si legano 'album dei ricordi' famosi nella storia musicale dello Zecchino d'Oro, di cui fu promotore nel 1959 (da '44 gatti' a 'Popoff', da 'Le tagliatelle di nonna Pina' e 'Il coccodrillo come fa?'). La storica rassegna di canzoni per l'infanzia, dal '61 in onda all'Antoniano di Bologna, fu ideata in realtà da Tortorella due anni prima, su richiesta del Salone del bambino, alla Triennale di Milano, ma ebbe il lancio quando nacque la collaborazione con la Rai (e l'allora funzionario Umberto Eco) e con i frati bolognesi. Lo Zecchino ha portato il conduttore nel guinness dei primati nel 2002, perché ha presentato lo stesso programma per il maggior numero di anni. Una collaborazione che si è interrotta a fine anni Duemila per un contenzioso che lo vide contrapposto in particolare all'allora nuovo direttore (ora ex) dell'Antoniano, fra Alessandro Caspoli. In Rai Tortorella ha ideato 'Chissà chi lo sa?', trasmissione andata in onda per 12 anni e portata al successo da Febo Conti, il 'Dirodorlando' e 'Scacco al re', ed è stato anche colonna portante dell'emittenza privata, prima a Telealto milanese , poi Antenna tre
Nei primi anni Novanta ha realizzato 'Bravo bravissimo', condotto da Mike Bongiorno. Significative anche le sue esperienze nella letteratura all'insegna dei più piccoli: ha pubblicato libri di fiabe e ha collaborato con periodici per ragazzi, come 'Topolino' e 'Il Corriere dei Piccoli'. Nel suo nome è nata l'associazione onlus 'Gli Amici di Mago Zurlì', che persegue finalità di solidarietà operando nell'informazione e nella didattica, a tutela della salute e dei diritti civili dei bambini.
Ogni anno in questo giorno, già di prima mattina , in attesa che mi svegliassi, mio padre vociava per casa dicendo "Il frittellaio, il frittellaio" con accento spiccatamente toscano. A Firenze vi aveva lavorato per 30 anni. Ecco, così mi piace ricordarlo oggi ed ogni volta che ricorre San Giuseppe e la festa del papà.
Ridotto
di Salerno, direttore artistico Gianluca Tortora, ci ha pensato La Compagnia dell’Arte, con uno spettacolo inusuale per il Tempio
della Comicità. Sabato 11 e domenica 12 marzo, nelle consuete due serate, il
pubblico ha assistito ad un originale omaggio tributato al grande “Eduardo”, a trent’anni dalla sua
morte.
Eduardo:
“Oggi più che ieri per un domani migliore”, questo il titolo dello
spettacolo, per la regia del bravo Antonello
Ronga ed interpretato da: Mauro Collina,
Martina Iacovazzo, Federica Buonomo e Vincenzo Triggiano, vuole essere un
insieme dell’opera eduardiana, divenuto patrimonio culturale e linguistico di
riferimento. Molte delle sue parole, infatti, usate nelle sue commedie, sono
diventate lessico familiare in ogni casa. Chi almeno una volta non ha citato la
famosa frase di Lucariello, rivolta a suo figlio Nennillo e tratta da Natale in
casa Cupiello “Te piace o presepe?”
ed il figlio prontamente “No, nu me piace”
oppure parole come “ciofeca”, per indicare il caffè di Concetta e “calimma” per indicare il poco calore
corporeo nelle case gelate. I termini del grande drammaturgo sono un patrimonio,
da lui lasciato, come frutto di esperienza passata, per affrontare con
consapevolezza il futuro, sicché le opere del grande Eduardo sono un vademecum
per capire che traccia seguire.
Lo spettacolo si è dispiegato, per circa due
ore, tra il mondo eduardiano, come un piacevole itinerario, un affondo
appropriato nella maggior parte della sua opera, con collegamenti, mai forzati,
ma sempre uno incollato all’altro, traendone un eccezionale copione. Le parole
prendono “vita e forma” attraverso la
perfetta recitazione degli attori, l’assoluta sincronia vocale e quella dei
corpi, i veloci cambiamenti dei costumi in scena, avvolti e stravolti da un
ammasso di panni coloratissimi e stesi a vari livelli. Ad essere ben attenti
s’individuano ad una ad una le opere e le poesie che hanno intrecciato il
copione, ad iniziare dai famosi versi “O
ragù”, “Io vulesse truvà pace”, “Allora bevo”, “Si t’ò sapesse dicere”, per
continuare con le commedie: Natale in casa Cupiello, Non ti pago, Questi
Fantasmi,Gli esami non finiscono
mai, Pericolosamente, Vincenzo De Pretore, Filumena Martorano, Le voci di
dentro, Napoli milionaria.
A rendere gradevole lo
spettacolo è, certamente, la bravura dei quattro attori, tutti salernitani,
così capaci a scambiarsi i ruoli, i vestiti e l’espressività facciale, ad
essere sincronizzati nella pantomima iniziale od ogni volta che serve il corale,
nonché la capacità degli stessi a muoversi, senza essere goffi, in uno spazio
ristretto quale quello del Teatro Ridotto. Il collante, però, che ha mantenuto
l’insieme di tutto lo spettacolo è la singolarità della lettura, così originale
dell’abile regista Antonello Ronga,
che ha voluto consegnarci, ad un futuro che verrà, un pregno e sapiente
passato. La particolare composizione del testo gli ha fruttato, anche, un
secondo posto al concorso nazionale di particolari sceneggiature e la
possibilità di esibirsi, nel mese di aprile, a Roma, dove sicuramente l’opera
godrà di tutto lo spazio scenico di cui ha bisogno per consentire le
digressioni elegiache, care al grande Eduardo. Una nota di merito va anche alla
scelta delle musiche, tratte dalla colonna sonora del film “Train de vie” scritta dal talentuoso musicista e compositore
bosniaco Goran Bregović.
Lo incontro nel camerino
del Ridotto, prima dell’inizio dello spettacolo ed è subito simpatia. Faccia
pulita, occhi vivaci, sorriso comunicativo, barba e baffetti che gli
ombreggiano il viso. Si presenta bene ed è sollecito a comporsi e ad indossare
la giacca al mio apparire, un gesto che denota un’innata classe per un
giovanotto di appena 21 anni. Eh sì, Vincenzo
Comunale è giovanissimo, ma ha già al suo attivo la partecipazione come
autore e monologhista a “KomiKamente”,
uno spettacolo live di nuovi comici che provano sketch e monologhi inediti, ha
vinto per due anni consecutivi, il 2013 ed il 2014, il “Premio Massimo Troisi” e contemporaneamente arriva in finale al “Festival Bravo Grazie” concorso per
comici, provenienti da tutta Italia. Nel 2016 vince il PremioCharlot, Città di Salerno, sbaragliando tutti
gli altri concorrenti. Vincenzo Comunale non è solo un bravo cabarettista ma è
anche un diligente studente, infatti frequenta il terzo anno del Dams di Roma, per
le discipline del cinema, della televisione e dei nuovi media.Sabato 25 e domenica 26 febbraio ha portato
in scena, al Teatro Ridotto, il suo secondo spettacolo, dal titolo “Sono confuso ma ho le idee chiare” che
non è un controsenso, perché lui le idee ce l’ha bene in mente sono gli altri
che lo gettano in confusione. Il monologo è piacevole, vivace, intelligente e
con delle puntate culturali che rivelano la base dei suoi studi. Insomma
Vincenzo Comunale è il buon figlio che vorresti avere, bravo, intelligente e
pure divertente. Si presenta sul palco in maniera informale e da subito cerca
di stabilire un contatto emozionale con il pubblico. Lo fa bene, tant’è che
alcuni dei presenti duettano in semplicità con lui. E’ fatta, gli spettatori
sono tutti dalla sua parte, si divertono, sottolineando con l’applauso ogni sua
sagace battuta. I temi trattati, sia pure dei classici sono impostati in
maniera personale: la famiglia, la sua nascita, originale il video, i cartoni
animati, la televisione, la pubblicità ed il lavoro. Divertente è la
considerazione che a lavorare per i McDonald’s, siano tutti giovani laureati e
messi nei posti cardini a seconda della loro specializzazione. Bravo a
costruire i testi dei suoi monologhi e ad essere il regista dei suoi
spettacoli. Due serate al tempio della comicità, in cui la risata è stata anche
meditativa, perché le cose dette sono tratte dalla vita che conduciamo e che
Vicenzo osserva con diligenza, per trarne monologhi originali.
Zelig
Lab On The Road Made Salerno, lo scorso 4 marzo, ha
presentato un divertentissimo spettacolo, al Teatro delle Arti, anziché al Ridotto, dove solitamente si tiene il
laboratorio, per l’affluenza numerosa degli appassionati del genere. Lo
spettacolo, messo su dai comici, che da tre anni seguono lezioni per migliorare
le loro performance, si è mutato in un vero e proprio evento, con tanto di
presentatore, Vincenzo Albano e,
ospiti eccellenti, Marta e Gianluca,
dallo Zelig di Milano. Il perché di questo laboratorio a Salerno, strappato a
Napoli e che è l’unico per tutto il Meridione, ma ve ne sono nove in
tutt’Italia, è presto detto e cioè tende a formare, in modo professionale, il
cast da mandare successivamente allo Zelig
di Milano. I fautori di questa piacevolissima iniziativa sono da ricercare
in Gianluca Tortora, già direttore
artistico della rassegna annuale di successo “Che Comico” e in Alessio
Tagliento, da Milano, umorista
e autore televisivoitaliano,curatore del professionale dei
cabarettisti. Un succulento aperitivo, primo dello spettacolo, approntato nei
dettagli nella Sala Peppe Natella, è
stato offerto dal Villapiana Country
House di Coperchia, predisponendo alla socializzazione e al buon’umore.
Chiamati da Vincenzo Albano, cabarettista
tarantino, che vive a Milano ed è stabile nella trasmissione per eccellenza “Zelig”, si presentano sul palco a fare
il loro numero, Gabriele Rega (finalista al Premio Charlot 2016), con
le sue riflessioni sui centri commerciali, Salvatore
Gisonna, un acuto monologhista, conosciuto dal vasto pubblico per la
partecipazione a Made in Sud,Giovanni Perfetti (il ladro gentiluomo che
si emoziona per la miseria altrui), Michele
Ventriglia, con un ripetuto mantra “ho
paura di aver paura”, Luca Bruno sempre in cerca di un
lavoro qualsiasi, Manuel Mascolo,
che fa suo il detto popolare “le donne
belle non mi fanno niente, in amore vince chi fugge ed ancora Vincenzo
Comunale, (vincitore del Premio Charlot 2016), con le sue acute osservazioni
sul quotidiano,Francesco D’Antonio, risultato quarto nella trasmissione Eccezionale Veramente, gara tra comicisu La7, che ancora si chiede il perché non accettare caramelle dagli
sconosciuti, divieto raccomandatogli dalla madre, Peppe Gallo, che dice di fare il netturbino, solo perché si è
abituato ai rifiuti delle ragazze che incontra, Dani Bra, romano, schietto ed immediato nel suo monologo di
sfaccendato, Tiziana Gallo, unica
donna nei panni di una psicologa per i casi più gravi tra i comici presenti,
infine l’impareggiabile Andrea Monetti,
anzi il Don Andrea, il prete che possiede tutti i difetti che non possono e non
devono appartenere a chi indossa l’abito talare. Una scarica di energia
positiva provoca il suo monologo oltre alle risate piene. Insomma due ore circa
di show, filate via in scioltezza ed in allegria, ravvivate da sketch di alcuni
artisti, che novelli non sono più, sia perché da molto tempo calcano le scene
di teatri regionali e nazionali e sia per aver partecipato alle trasmissioni
dei media nazionali. Nella seconda parte della rappresentazione, come già lo
scorso anno, un gradito ritorno al Delle Arti, direttamente dallo Zelig di
Milano, Marta e Gianluca, ospiti d’onore
della serata. L’esibizione dei due artisti fa salire di tono lo spettacolo per
la quantità di personaggi da loro caratterizzati. La coppia ben assortita fa il
verso a chi s’incontra al buio, lo speed date, per conoscere e cercare il
partner adatto. Gli sketch, molto
divertenti, sono serviti al pubblico con eleganza e bravura, Gianluca,
pacato, tutto humor all’inglese, regge bene all’urto di una prorompente Marta,
in alcuni passaggi molto simile all’indimenticata Anna Marchesini. Battute
lampo, con un’intrinseca comicità “Ciao
sono Vittoria di Monopoli, ciao io Pareggio al Risico” “Ciao come ti chiami?
Gioia Tauro e tu? Vibo Valenza” oppure “Cosa disse Gesù nell’ultima cena? Prendete
anche i ticket?”, suscitano risate a raffica. Gli applausi ripetuti,
all’indirizzo di tutti, testimonia che lo spettacolo è stato ben confezionato
ed ha soddisfatto e dilettato il pubblico. Che il laboratorio continui, per il
successo di tutti i partecipanti.
“Questa
immensa notte”, il secondo pezzo teatrale in concorso al nono
Festival Nazionale del Teatro XS Città
di Salerno, è stato rappresentato, il 5
Marzo 2017, presso il Teatro
Genovesi, dalla compagnia “Gli Amici
di Jachy” di Genova, per la
regia di Paolo Pignero. L’Autrice Chloe Moss, di Liverpool, classe 1976, è una giornalista e
blogger che con l’opera “Questa immensa notte”, portata in scena per la prima
volta nel 2008 al Soho Theatre, ha vinto a Londra l’importante premio “Susan Smith Blackburn Prize”,
conferito ogni anno ad un testo di nuova drammaturgia inglese.
Da subito, il testo si
preannuncia duro, spietato e disperato, né l’aiuta la scenografia, un
monolocale ridotto all’essenziale, con un arredamento del tutto arrangiato.
Piove a dirotto e per tutta la durata, circa un’ora e venti, non smetterà. In questo angusto spazio si muoveranno due
donne, vomitando tutto ciò che non va in loro, come l’amara esperienza del
carcere, le vite perse, l’affetto mai sicuro e nulla di concreto a cui
aggrapparsi, se non la confortante amicizia che ne è nata tra di loro. Mary, la padrona di casa, vive da sola, si
veste in maniera trasandata, capelli tirati malamente su da una pinza e dalla
quale sfilano molte ciocche alla presa, trucco sfatto e giubbottino di pelle
nera, che indossa per andare a lavorare. Quando torna a casa, scende dai tacchi
e calza ciabatte infradito con tutti i calzini. Sciatta, tatuata da ogni parte
ed ondulante si trascina dal divano alla sedia, mangiando poco ma in compenso
bevendo tanto, guarda la tv priva di sonoro, tanto non le interessa alcun
programma. Nella casa predomina il silenzio e se non fosse per la pioggia che
scroscia sui vetri, si direbbe disabitata. In una di queste sere, prive di
senso, bussa, alla porta di Mary, Loredana, appena uscita dal carcere,
intabarrata in una tuta grigia ed un informe impermeabile beige, almeno di una
taglia in più, con una borsa da palestra sotto braccio, contenente i suoi
miseri effetti personali. Si abbracciano contente di essere entrambe libere dai
legacci del carcere. Loredana non sa dove andare e a Mary risulta ovvio
invitarla a restare. Dopo il primo entusiasmo, che le induce a pensare di poter
uscire dal baratro in cui sono precipitate, usando ogni mezzo, l’alcol, la
musica, il ricordo di una qualche felicità, cominciano i problemi per andare
avanti e il gluone che dovrebbe garantire la vicinanza e l'affetto tra le sue
protagoniste sembra frantumarsi e decadere, per mancanza di prospettive e
motivazioni. L'esile fiammella amicale battuta dai venti malefici delle droghe,
delle sconfitte, della depressione e della infeconda e pregiudizievole ignoranza
a stento resiste. Nel loro legame si combinano complesse dinamiche, esse sono
amiche, sì, ma anche madre (Loredana) e figlia (Mary), c’è un rapporto
sentimentale tra loro, ma anche conflitti molto forti, dettati dall’egoismo di
una convivenza forzata. E poi tante bugie imbarazzanti, Mary, per esempio, non
lavora in un bar ma fa la vita in strada, che mettono a nudo le loro anime e
finiscono per farle scoppiare. Eccole, in una discussione accesa vengono a
galla tutte le laceranti ferite che si portano dentro, l’abbandono della madre,
lo sfruttamento di vari scioperati, l’alcol, per Mary, le pillole
antidepressive, l’uccisione, il carcere, il rifiuto del figlio Benny, per
Loredana.La notte fa da testimone alle
due anime derelitte, avviluppate dalla paura di ogni male del mondo di fuori,
ben rappresentato dalla pioggia, mai catartica, ma sempre a far da ostacolo
insormontabile con l'esterno, con l'insostenibile pesantezza dell'oscillare tra
l'essere e il non essere. Storia apparentemente senza storie, che tuttavia
consente all'autrice di imbastire un dialogo forte e struggente, duro e
commovente, lucido e onirico, costruttivo e lacerante. E la notte, questa
infinita notte, è lo spartito entro il quale si dipana la vita delle due, vita
che per certi versi ricapitola le fasi della notte con una sorta di preludio
dolce, che cede il passo al sonno Rem, seguito dai picchi ormonali preannuncianti
il risveglio. Riviviscenza che al giorno dà speranze e alle due donne la
certezza che da sole possono farcela. Ottima la resa delle due interpreti: Manuela Mazzola e Ornella Sansalone,
recitazione spontanea, senza forzature ma naturale nel dialogo “Che haiprovato ad uccidere? Chiede Mary “E’ stato facile” risponde Loredana. Commovente il ballo tra di loro
ascoltando la musica dei ricordi e del loro incontro, come è struggente il
pianto gridato da Mary “Voglio la mamma”,
nel quale si ravvisa tutta la sua fragilità. Faccio mia (ndr) una battuta del
recitato “Non tutti possono essere
fortunati”. Il tempo del dialogo ha avuto la durata giusta e le battute
fluide, anche se con qualche accento genovese di troppo. Bifasica la scelta
delle musiche, a brani decisi e freddi si sono accostati pezzi dolci e nostalgici. Buona la scelta e la
direzione di Paolo Pignero.
A preannunziare l'arrivo
di Maurizio de Giovanni, una
brevissima considerazione-aneddoto nei riguardi dell'ospite per eccellenza della
prima giornata del “SalerNoir Festival le
Notti di Barliario” 2017, da parte dello scrittore abruzzese Romano De Marco, che lo ha preceduto
nella presentazione del suo libro. De Marco, spontaneamente, ha voluto focalizzare
un tratto della personalità dello stesso, di certo meno e poco conosciuto, che
si identifica nella sua bontà d'animo e nella sua disponibilità di venire in
aiuto a chi si trova a disagio e che si estrinseca, spesso, in modo anonimo e
sempre con empatia e spontaneità. Davvero un bel gesto essendone stato lui
stesso il diretto interessato, ma fa talmente parte del personaggio che, quasi
commosso, ha ritenuto di doverlo fare. Plauso alla sua onestà e tanto più alla
dote di de Giovanni.
Quando appare nella capiente
sala del Museo Diocesano di Salerno, riempita come un uovo dai fan, l’applauso
scrosciante si è fatto sentire corposo e prolungato e lui non si sottrae
all'abbraccio ed all'affetto dei suoi fan salernitani che, all’inizio della sua
avventura di scrittore, superavano di gran lunga quelli di Napoli. Nessuna
meraviglia se tutti erano là per lui, l’autore di tanti libri di successo, del
commissario Ricciardi, che opera in una Napoli degli anni trenta e del
commissario Loiacono, quello dei Bastardi di Pizzofalcone, entrato in tutte le
case italiane, attraverso la serie televisiva di Rai 1. Al tavolo, a riceverlo,
lo scrittore salernitano Diego De Silva,
altra gloria del patrimonio letterario internazionale, amico fraterno e
profondo conoscitore del personaggio e della sua scrittura, nonché acuto e
lucido esperto della letteratura contemporanea. Sarà perché predilige il Maurizio
de Giovanni dei Bastardi di Pizzofalcone,
sarà perché la sua capacità di offrire dall'interno di scrittore, una
prospettiva molto più efficace e precisa, vicina alla realtà dell'animo
dell'autore, certo è che la sua lettura dell'opera “de Giovanniana”
rimarrà nella mente dei molti spettatori, che affollavano la sala, come una
delle più dilettevoli “Lectio magistralis” ascoltate. E se lo scopo della
letteratura è migliorare la conoscenza delle cose del mondo, lui ha fatto
conoscere, come meglio non si può, il mondo e la bravura di de Giovanni. Con
aria pacata, la voce bassa, quasi sussurrata, Diego de Silva ha posto l’accento sulla sua capacità di amore verso
i propri personaggi, il suo attaccamento alla città di Napoli, la sua capacità
di plasmare e far apprezzare come esseri veri e autentici i personaggi, sia pure
nelle loro manifeste ed esibite imperfezioni, nella sua capacità di saper
comunque e sempre riannodare i fili di un flusso continuamente cangiante, nato
dai personaggi stessi e nella sua
infinita pazienza nel tenere a bada il cavallo focoso e bizzarro della sua
Napoli. Senza farsi mai prendere la mano dalla stessa città, usando la sua arte
sopraffina, per glissare su aspetti spinosi e abbandonandosi a liriche,
cromatiche, digressioni paesaggistiche, mai fini a se stesse, ma vergate da un
amore sconfinato per la sua terra e da una attenta disamina delle mutate
condizioni mentali e sociali di quel mondo, che tanto gli sta a cuore. Tutto
ciò, espresso da Diego de Silva, con un linguaggio puntuale, preciso, fluido, rigoroso
e perché no, carico di tanto sapere letterario. Ne è venuta fuori una
prospettiva di certo diversa e benefica per tutti, ma non per questo complicata
o astrusa, anzi, asciutta, stringata, esclusiva, interessante e precisa, gettando
nuova e più obiettiva luce sull'opera di De Giovanni. E’ riuscito, inoltre, con
l’erudizione che lo contraddistingue, a focalizzare la mente degli spettatori
sulla difficoltà che comporta non solo lo scrivere, ma anche l’elaborare bene
un romanzo, qualunque sia il suo genere e quali siano le asperità e le fatiche
che, strada facendo, s’ incontrano, ancora di più se il libro e il suo autore,
hanno volontà di uscire dalle sicurezze di un orticello, grande quanto il
proprio condominio, e proporsi ad un pubblico più sofisticato e cosmopolita.
Maurizio
De Giovanni ascolta sorridendo l’amico, contento di essere
a Salerno e tra persone che lo ritengono un proprio patrimonio personale.
Ringrazia, poi, de Silva, accanito
lettore dei suoi libri e cita quella parte del “Giovane Holden”, nel quale si
dice che chi legge l’autore preferito amerebbe conoscerlo di persona e
chiamarlo ogni volta che se ne ha il desiderio, bene a lui è concesso. E’ ben
felice, inoltre, di presentare a Salerno i suoi “bastardi”, mai mostrati prima e
di parlare di alcuni punti in cui è stato in disaccordo con la produzione Rai. Quando
ha iniziato a scrivere di “Ricciardi” ad un certo punto il personaggio gli è
sfuggito di mano e lui lo ha rincorso per tre anni, in effetti era il
commissario a scrivere di se stesso. I “bastardi”, invece gli sono capitati per
caso, usciti dalla sua creatività difettati, avendo due gravi problemi, l’uno è
che ognuno di loro ha compiuto un qualcosa che non andava fatto, spezzandosi la
carriera, l’altra è il giudizio severo dello specchio, in cui ogni mattina i
bastardi si riflettono e con il quale devono fare i conti. La faccia che si
porta in giro non è la stessa che rimanda la superficie luminescente, la
mattina, i difetti sono visibili per quelli che sono e non trovano
giustificazione. A Maurizio i “Bastardi” piacciono molto, perché sono delle
persone normali, che vanno guardati senza pietismo, ma accettati senza un
severo giudizio, tanto a condannarsi ci pensano loro. Quello stare insieme,
mano a mano, riesce a farli riappropriare dell’onorabilità perduta e del
desiderio di fare squadra, sia in senso lavorativo che amicale. Maurizio è un
grande affabulatore, l’arte della parola è cosa facile per lui, sicché tutti i
personaggi si presentano ad uno ad uno, da lui descritti, visibilmente nella
sala del Museo Diocesano ed anche la Napoli con luci ed ombre e situazioni
diverse, è prepotentemente esibita. Ma
l’acme tra il pubblico, un solo sguardo, un solo respiro e uniche emozioni in
circolo, si raggiunge, quando, come ogni volta, lasciando il podio, che fra
poco lo vedrà vincitore del primo premio del “SalerNoir Festival le Notti di Barliario” 2017, legge, da
interprete, un pezzo del suo romanzo. La voce è bassa, raccolta, ovattata, con
le giuste pause, i toni opportuni e la musicalità del verso che incanta, quando
pronuncia “Ciao amore sono a casa”. Silenzio, ad occhi bassi, entra nel
personaggio, concentrandosi per alcuni secondi sul testo che leggerà tra poco.
Ed eccole le parole amorose, sincere, semplici, dette e ridette a sua moglie, per
oltre trent’anni, al suo rientro dal servizio, riponendo le chiavi
all’ingresso. Va avanti Maurizio con l’impeto di chi quella creatura l’ha
creata e la offre in dono ai suoi lettori, cosicché ognuno, rientrando a casa possa
portare nel suo immaginario, oltre alla più bella dichiarazione d’amore, con tutte
le varianti sul tema “Ciao amore sono a
casa”, anche la voce dello scrittore. La standing ovation che ne segue, per
te, Maurizio, ci sta tutta.
Per tre giorni a Salerno “Il
SalerNoir Festival Le notti di Barliario”
Per tre giorni, dal 2 al 4
marzo, Salerno accoglie i maggiori scrittori italiani di giallo e noir con “Il SalerNoir Festival Le notti di
Barliario”. Il nome scelto per contraddistinguere le giornate salernitane
dalle altre che affollano la penisola, è stato bene appropriato. Barliario,
infatti è la leggendaria figura di medico
ed alchimista
salernitano, studioso di testi di magia della tradizione araba, che si dice
abbia costruito in una sola notte, con l’aiuto dei demoni, l’acquedotto
medioevale “Il Ponte dei Diavoli” per l’appunto, usando la sconosciuta ogiva.
L’opera imponente e diabolica fa ancora la sua bella mostra, nella città, in
Via Arce. La kermesse è alla sua terza edizione ed è stata ideata
dall’associazione “Porto delle nebbie”
in omaggio a George Simenon e costituita qualche anno fa dai salernitani: Piera Carlomagno (Presidente), Brunella
Caputo, Sabrina Prisco, Massimiliano Amato, Corrado De Rosa e Marcello
Ravveduto.L’evento è organizzato in collaborazionecon
le Fondazioni Carisal e Copernico e con il patrociniodel
Comune di Salerno.
Il SalerNoir si spalma nella parte antica della città, scegliendo
luoghi carichi di suggestione e di storia in cui ha ruotato, con la sua magia,
Barliario, come il Museo Diocesano, la Galleria Cerzosimo, l’Osteria Canali e il
Convento di San Michele. Le giornate vanno avanti con presentazioni e incontri con le scuole, con reading
e performance, con cene tra gli autori, ma anche con la mostra fotografica
“Dodici Nere” dell’eccellente fotografo salernitano Armando Cerzosimo e
non è finita, a conclusione delle tre serate, un concerto degli Electric
Ethno Jazz Trio con Stefano Giuliano, Domenico Andria e Pietro
Ciuccio. Le novità del
genere noir e giallo, grazie a bravi scrittori, sono presentate al pubblico,
dagli stessi autori: Maurizio de
Giovanni, Valerio Varesi, Romano De
Marco, Stefano Tura, Sara Bilotti, Gabriella Genisi, Roberto Centazzo, Katia
Tenti, Gianluca Campagna, Vincenzo Maimone, Mariano Sabatini, Massimo Carlotto.
Il reading teatralizzato è curato da Brunella Caputo, per accompagnare
la presentazione dell’antologia “I
delitti della gelosia”, di cui essa stessa è autrice, assieme, tra gli
altri, alla salernitana Tina Cacciaglia e al bolognese Fabio
Mundadori. Lo scrittore padovano Matteo Strukul, invece, espone la storia dei “Medici” agli allievi del liceo Tasso
e del liceo De Sanctis, che hanno partecipato alla scorsa edizione con uno
scritto o un racconto a tema. Il vincitore, tra le due scuole, riceverà un
premio offerto dalle Fondazioni Carisal e Copernico. Ed ancora per gli allievi
ed appassionati, lo scrittore abruzzese Romano De Marco ha tenuto
lezioni di scrittura creativa. Tutti i
passi che accompagnano le presentazioni delle opere degli autori sono lette da Brunella
Caputo, Teresa Di Florio e Letizia Vicidomini, mentre i vari incontri sono
presentati daMassimiliano
Amato, Piera Carlomagno, Alfonso Conte, Federica Belleri,
Antonio Lanzetta, Rocco Papa, Stefania De Caro eCorrado
De Rosa. All’interno del Festival si possono usufruire anche di visite
guidate, come quella al convento di San Michele, condotta dallo scrittore
salernitano Carmine Mari e l’altra, da Cristina Prisco, al famoso
Crocifisso, presso il Museo Diocesano, dinanzi al quale Barliario, pentito,
stette genuflesso per tre giorni, fino a che non ottenne il perdono.
Novità di SalerNoir, edizione 2017 è l’istituzione
di due riconoscimenti per gli scrittori di un genere che va sempre più affermandosi
presso il pubblico. Il Premio “Attilio Veraldi”, in omaggio
allo scrittore napoletano, padre del giallo italiano, conferito allo scrittore padovano Massimo
Carlotto, per la
figura, da lui creata, dell’investigatore Marco Buratti, “l’Alligatore” ed
il “Premio Barliario” untributo alla carriera, ben assegnato a Maurizio
de Giovanni. Infine un riconoscimento dallo sponsor di turno, pasta Antonio
Amato,è opportunamenteassegnatoa Gabriella
Genisi, scrittrice barese, per la passione gastronomica e che anima il
commissario al femminile, Lolita Lobosco.
L'amministrazione comunale ha comunicato in una nota che in considerazione dell’allerta meteo diramata dalla Protezione Civile, è stata disposta, in via precauzionale per la giornata odierna, venerdì 10 marzo, dalle ore 15.00 e per le successive 24/30 ore, la chiusura al pubblico dei parchi cittadini.
Si prevedono, infatti, forti venti che potrebbero determinare rischi in particolare per le alberature ad alto fusto. Nei giorni scorsi in città diversi arbusti sono stati danneggiati dalle forti raffiche di vento che si sono abbattute su tutta la provincia, disagi fortunatamente che hanno causato solo danni materiali e nessun ferito.
Torna a parlare di Salernitana lo storico presidente del Club granata Aniello Aliberti che, ospite della trasmissione Zona Mista in onda su TvOggi Salerno, analizza il momento storico della squadra granata soffermandosi sulla sua gestione targata Lotito-Mezzaroma. Sotto la sua gestione Aliberti ha regalato ai tifosi alcuni dei momenti più belli della storia ed in televisione ha toccato molteplici tematiche, spaziando dalla più stringente attualità fino agli indelebili ricordi della sua presidenza granata.
“Da quanto ho sentito in questi anni, Tavecchio mi sembra il meno adatto a rappresentare il calcio italiano che nel tempo non è cambiato granché con scandali a raffica, calcioscommesse e quant’altro. Lotito presidente della Lega di Serie B? Non ci credo, è pur sempre il presidente di una squadra di Serie A”.
Interpellato sulla questione multiproprietà, Aliberti è stato chiaro: “Non è un problema, conta prima la promozione. Una soluzione la si troverebbe sicuramente. Il rapporto di Lotito con la tifoseria? Lotito è ‘distratto’ dalla Lazio, Salerno meriterebbe un po’ più di attenzione, passione e calore. La città avverte evidentemente un po’ di distacco tra squadra e società. Se accetterei ruoli societari alla Salernitana? Mi potrei limitare a consigli o suggerimenti, nessun incarico ufficiale”.
Aliberti – come riporta tuttosalernitana.com – ha poi continuato: “Se io dovessi scegliere tra Lazio e Salernitana sceglierei senza dubbi la Salernitana. Credo che nessuna piazza d’Italia riesca a darti emozioni del genere, spenderei tutta la mia vita per riempire quello stadio. Come si riempie l’Arechi? Non solo coi risultati, ma anche con l’amore. L’affetto familiare che si era creato durante la mia presidenza è importante da ricreare. Davvero degli splendidi ricordi, undici anni che non si cancellano facilmente”.
Mezzaroma ha riferito che per la Salernitana ci vogliono circa 20 milioni di euro: “Mi sembra una cosa esagerata. L’unica cosa che abbia un valore oggi è il titolo in Serie B che tra l’altro non si vende ma che varrebbe 6/7 milioni. Per la mia valutazione non credo che ci sia ne un grande patrimonio calciatori nè un grande settore giovanile”.
Rosina? Un giocatore che mi è sempre piaciuto. Andrebbe gestito in una certa maniera, è un ottimo giocatore. Non ho provato a rilevare la Salernitana dopo il fallimento Lombardi perché non era ancora il momento, le mie vicende andavano ancora sistemate. La mia sofferenza per quello scippo non è mai andata via. Se potessi tornare indietro cosa cambierei? Non rifarei certi errori, ma avrei reso la Salernitana più forte e intoccabile. La Salernitana doveva rimanere dov’era e avere la possibilità, al pari delle altre squadre, di proseguire il suo cammino senza subire quella penalizzazione scandalosa”.
La proposta del Sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli in occasione dell'8 marzo
"Dedicheremo alcune strade della città a figure femminili". È questa la proposta annunciata dal sindaco di Salerno Vincenzo Napoli per celebrare le donne in occasione dell'8 marzo. L'amministrazione comunale di Salerno, oltre ai progetti degli assessorati competenti, e a quanto di concreto già fatto, intende promuovere una iniziativa per la toponomastica cittadina.
Sulla scorta di un impulso dato dalla pres...idente della Camera, Laura Boldrini raccolto dal presidente Anci, Antonio Decaro, sarà inoltrata alla commissione toponomastica una serie di indicazioni per fare in modo che ci sia un adeguato numero di strade simbolicamente dedicate ed intestate a donne.
Inoltre - aggiunge il primo cittadino - sto seguendo il recupero di uno spazio degradato che ora diventerà un bel giardino nel quartiere Europa, che verrà intestato all'8 marzo e sarà arricchito da una scultura di alto valore simbolico donata da un gruppo di ceramiste. Sarà un giardino dedicato alle donne e alla loro presenza alta nella società. L'otto marzo è una ricorrenza simbolica da rispettare, ma non deve diventare un cerimoniale stanco e banale che si esaurisce col dono di una mimosa. La battaglia si pone nelle istituzioni, nella società, nel mondo del lavoro. La donna si valorizza con la sua forza e non tollera paternalismi. Noi dobbiamo essere presenti con atti concreti e fattivi. Vedremo nei prossimi anni se sono stati fatti i doverosi e necessari passi avanti".
Userà una pittura fotocatalitica che assorbe l'inquinamento. Un "cappotto" supercoibentante schermerà caldo e freddo. Il progetto è finanziato dalla Cei con 4,5 milioni di euro
Fonte: Repubblica.it Ambiente
di Antonio Cianciullo
Una chiesa green. Che cattura l’inquinamento e si circonda di alberi. Costruita con i materiali della tradizione e la tecnologia del futuro. Sorgerà a Salerno, per ospitare i fedeli dei quartieri Torrione e Sala Abbagnano, grazie a un finanziamento della Cei (Conferenza episcopale italiana) di 4,5 milioni di euro.
La nuova chiesa di S. Giovanni e S. Felice in Felline, un progetto di Overtel e Centola&Associati, sembra studiata per la nuova legge contro il consumo del suolo (che per la verità non riesce a decollare): l'impatto ambientale è ridotto perché si occupa meno terreno lasciando spazio alle essenze della macchia mediterranea; una vernice fotocatalitica permette di imprigionare lo smog; è prevista l’installazione di celle fotovoltaiche per compensare il consumo energetico della parte dell’edificio destinata all’oratorio.
"Su 11 mila metri quadrati di terreno solo mille verranno coperti dalla nuova struttura, il resto sarà destinata a una piazza botanica che resterà aperta 24 ore su 24: ulivi, cipressi e un gruppo di palme prenderanno il posto del parcheggio asfaltato che attualmente occupa l’area", spiega Luigi Centola, l’architetto che ha ideato il progetto. "Vogliamo creare una chiesa ecocompatibile costruita con tecniche e materiali tipici dell’architettura mediterranea tradizionale: nell’impasto del cemento che tiene la struttura gli inerti sono costituiti da lava, pomice e lapilli, una reinterpretazione del bugnato storico in basalto o piperno di palazzi e chiese campane. La struttura del tetto è in legno. Le finestre sono incassate e coperte da vetri specchianti che le rendono quasi invisibili".
A completare il quadro degli interventi, un "cappotto" supercoibentante servirà a schermare freddo e caldo, mentre la cupola ad apertura elettronica creerà un effetto camino che d’estate permetterà di lasciar uscire dall’alto l’aria calda facilitando la ventilazione naturale. La vernice fotocatalitica produce invece l'effetto bosco: 100 metri quadrati di superficie sono equivalenti, dal punto di vista della cattura degli inquinanti, a 100 metri quadrati di alberi di alto fusto. I 1.200 metri quadrati di superficie compenseranno le emissioni medie prodotte da 200 auto in un anno.Oltre a un miglioramento della funzionalità (la chiesa attuale è piccola e fatiscente) è evidente l’aspetto simbolico del recupero. Una scelta in linea non solo con lo spirito dell’enciclica Laudato sì, ma anche con una rivisitazione moderna del rapporto con la natura condivisa da varie fedi. Tanto che il Marocco ha lanciato il piano per la realizzazione di 600 moschee verdi (con fotovoltaico, solare termico e led) da realizzare entro il 2019. E analoghi progetti sono in corso in Medio Oriente, dalla Giordania all'Arabia saudita