Ho conosciuto Imma, lo scorso anno in ospedale al "Fatebene Fratelli di Napoli, io ricoverata per la seconda rottura del femore, lei, dolcissima, si trovava là a far compagnia, nel pomeriggio, la sorella Iolanda, anch'ella infortunata al femore come me. Ho subito fatto amicizia, dietro il sorriso dolce, negli occhi ho scorto un lutto incommensurabile.
La famiglia signorile è composta da 5 sorelle, oggi assottigliatasi, un gineceo di donne tra figlie e nipote. Tutte insieme mi hanno tenuto compagnia ed hanno fatto sentirmi come se fossi della famiglia. Maria, la figliola di Imma, mi ha aiutato a togliermi la colata su di un unghia, con le sue mani, altrimenti non potevano operarmi. Fuori sede, in una giornata, il 4 agosto, in gita a Ventotene, sbattuta in elisoccorso per Latina, certo non potevo avere una limetta per far scomparire lo smalto e Maria con la stessa dolcezza della mamma, mi è stata vicina. Con Imma ci siamo sentite più volte al telefono, una volta risanata e tornata a Salerno.
Oggi in FB ho trovato
Non ho capito, anzi mi sono commossa per tanto amore. Poi ho dovuto capire ed il dolore ha invaso il mio cuore. Non ti dimenticherò ed appena ci libereremo del covid, ti verrò a trovare.
Peccato non avercelo
insegnato cosi da piccoli al catechismo, il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato
da papa Pio IX, l'8 dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus, come ce l’ha
presentato Brunella Caputo, adattando un testo religioso, scritto da
Erri De Luca dal titolo “In nome della madre". Peccato, sì, per noi donne,
avremmo sentito la maternità in un altro modo, avremmo avuto lo stesso volto,
meravigliosamente stupito, perché portatrici all’ interno del nostro corpo di un
evento straordinario. Non che lo si consideri altrimenti, ma vederlo
interpretato così intensamente da Brunella Caputo è stata tutt ’altra cosa.
Il 25 agosto, per la
rassegna “La Notte dei Barbuti”, alla sua 35°edizione, una sfida, iniziata da Peppe Natella, in una Salerno gravata
dal terremoto e continuata, in suo nome e dedizione filiale, da Chiara, sua figlia minore, Brunella Caputo, è stata l’interprete
meravigliosa, con Concita De Luca,
un fiore che sboccia ogni volta nei ruoli affidatele, con le note di Max Maffia integrate perfettamente
al testo e Salvatore Albano, un
tenero Giuseppe, amorevole come non mai.
La storia la conosciamo,
Miriàm e Joseph, promessi sposi si trovano ad affrontare un prodigio più grande
di loro. L’angelo, mentre lei era in casa, le annuncia che sarà madre senza che
sia toccata da un uomo. La continuazione della narrazione ci porta alla notte
sacra, dove Miriàm, dopo aver difeso quel figlio dalla legge spietata che
voleva lapidata, per essere incinta, pur essendo promessa a Joseph, anzi lo
stesso Joseph avrebbe dovuto scagliare la prima pietra, ma lui ama quella
fanciulla, la difenderà e sarà la sua guida, lei e la beata tra tutte le donne.
Il censimento li farà allontanare dalla pettegola Nazareth e nella stalla da
sola a Betlemme darà alla luce il Salvatore.
Dieci minuti intensi da grande interprete, per
Brunella, il suo viso beato nel portare avanti la gravidanza, ora si deve
concretizzare in dolore, dovrà sentire scivolare da sé chi ha portato in grembo
per nove mesi, si sentirà sola, vuole essere sola, vuole soffrire ma essere
presente alla sua sofferenza. Tutta la notte brama essere con Lui, poi sa che
dovrà dividerlo, perché in Lui si compia il volere divino. Donna, madre, madre
universale, decisa, dolce, cullante, carezzevole ed il foulard scenico diventa
il bambino nelle sue braccia. La voce tremula, il viso ricomposto dopo il
travaglio, la nenia che canterà fino all’alba, poi il piccolo Iesu sarà
dell’intero mondo.
Brunella Caputo è Miriàm
a mani vuote, la veste bianca indossata ad avvolgere la sua purezza, un unico
gesto sensuale, il passarsi la mano nei capelli, lunghi alle spalle per poi
farli cadere lentamente.
Dal cappello a cilindro
della programmazione del Teatro dei Barbuti di Salerno, il 24 agosto, alle ore
21,00, esce la colomba bianca, firmata Giovanni
Caputo, artista conosciuto e cresciuto sulle tavole del palcoscenico, poeta
ed il 24 sera, anche ideatore e regista dello spettacolo dal titolo “Salerno legge Napoli”. E ‘coadiuvato,
nel viaggio tra Salerno e Napoli, da valenti compagni: Cinzia Ugatti, Teresa Di Florio, Augusto Landi e Marco De Simone.
Giovanni
Caputo si diletta di scrittura poetica, oltre alle
performance artistiche che tanta notorietà gli hanno dato e da qualche tempo ci
partecipa dei suoi versi sui media. La sua poesia è immediata, per i sentimenti
che ispira, per l’amore che spinge in ogni cosa, per l’emozione che mette
dinanzi ad un’alba ed ad un tramonto dorato della sua e nostra Salerno. I
sentimenti filiali, l’amore per la sua mamma, i luoghi scomparsi e la vita
semplice di una Salerno che si evolve in fretta, lasciando i giovani con pochi
ricordi e nostalgia. Le sue poesie sono declamate sul web dalla sua voce
attoriale e nello stesso tempo sentimentale, perché nei suoi versi è il
sentimento a prevalere. “O core” innanzitutto e lui lo sparge con generosità
senza mai risparmiarsi. Sul Web le sue composizione hanno un’attrattiva in più,
il testo è corredato da immagini scelte con precisa rispondenza e musica di
sottofondo ammaliante, sono delle video poesie che ci accolgono con bellezza
quasi ogni giorno.
Ho chiesto a Giovanni (ndr) quale fosse l’idea di
fondo dello spettacolo di lunedì prossimo, mi ha risposto che partendo dalle
suggestioni che continuamente la poesia, l’arte, il teatro napoletano
suscitano, ha avuto lui stesso il desiderio di scoprire, quanta arte non
conosciuta e nascosta ci fossero nelle composizione dei poeti Salernitani. Una lettera d’amore che dalla città arrivi fino
a Napoli per sentirsi uniti nei versi, la parte migliore di noi, una vera
dichiarazione di sinergia, in un periodo, come quello che stiamo vivendo, dove
tutto ci distanzia e ci divide. Bene, poeta
Giovanni, siamo lieti di assistere lunedì al tuo lavoro, alla tua fatica
artistica e ci saremo tutti come il live motive della pubblicità ci ha spinti “ Nun o facimme piglià collera”.