Anno terzo di Maria Serritiello Vuoto, silenzio, nessun calore a riscaldare la casa, come la mamma e tu. Veloce, tutto scorre fuori. Lento, per me e senza soluzione. Ti ricordi? Si, tutto, nulla devia la strada priva di fiori e voli d'aquiloni Maria Serritiello 29 -12- 2019
Si può ben dire Salerno città teatrale, dal 6 dicembre, infatti, un nuovo spazio è
stato inaugurato, nella zona orientale della città, precisamente nella Parrocchia di Santa Maria a Mare di
Mercatello. Alla presenza del Sindaco
Vincenzo Napoli, dell’Onorevole Piero De Luca, dell’Assessore all’Annone Dario
Loffredo ed al padrone di casa Don Antonio Gaderisi, il prossimo anno 50
anni di sacerdozio, è stato tagliato il nastro del nuovo teatro, dal nome di Santa Maria a Mare. Salerno ha una
lunga tradizione di Teatro amatoriale che non ha nulla da invidiare al teatro
con la T maiuscola, le loro stagioni, sono di grande esperienza, scelta
accurata di testi da rappresentare ed interpreti che gratificano gli
spettatori. Ben venga, dunque, un altro teatro, che vede la luce interamente
strutturato, 65 posti rossi di colore su pareti bianche a rendere sereno
l’ambiente.
Un passo indietro, già
per due stagioni estive, la direttrice artistica Maria Caiafa, ha curato il teatro all’aperto della sede
parrocchiale, con un successo inimmaginabile, riscuotendo anche premi, uno per
esempio a Paestum. Si è pensato, così di voler continuare, con questo bel
collettivo, a stagioni invernali, per adempiere anche e forse soprattutto alla
funzione sociale di aggregazione, che solo il teatro sa fare
intelligentemente.Non per nulla Pericle, politico, oratore e militare
ateniese, retribuiva i suoi cittadini per farli assistere a spettacoli
teatrali, con i quali tutti potessero istruirsi e aver di che mangiare, pur
saltando il lavoro. Ed ecco che si attivano per la buona riuscita del progetto l’Assessore Dario Loffredo, per le sue
competenze istituzionali, don Antonio
Galderisi ad offrire lo spazio per l’intento ed il gruppo teatrale a prodigarsi per tutto ciò che potesse utile.
Ebbene venerdì sera si è entrati in una conchiglia, siamo vicini al mare, di
biancore sprigionato dalle pareti e di calore umano, emanato dal rosso delle
poltroncine e dal vivo sipario che si aprirà e regalerà agli spettatori sogni e
realtà con la possibilità d’immedesimarsi nei tanti personaggi rappresentati.
Il direttore artistico Maria Caiafa, investita
direttamente da Don Antonio, dice di
se stessa di essere una creatura di Claudio
Tortora, il poliedrico attore,
scrittore, poeta, cantante, umorista, direttore artistico del Teatro delle Arti
di Salerno e patron del Premio Charlot. Il curriculum di Maria è quanto di
meglio si può chiedere, per trent’anni è stata al fianco di Claudio, tanto da
conoscere come si può fare al meglio il teatro. Sarà un punto luce, in una zona
un po’ appartata, pronto ad accogliere solitudini e vivacità giovanili. Don
Antonio è e sarà contento di questa speciale attività che dopo le sue parole di
attesa e d’incoraggiamento del Sindaco Vincenzo
Napoli, dei ricordi giovanili di Piero
De luca attorno alla parrocchia, e di sostegno e d’impegno dell’Assessore Dario Loffredo, benedice il teatro con
acqua santa che raggiunge il pubblico presente. Come ogni inaugurazione che
rispetti, il brindisi augurale, che affratella i presenti, sì da respirare aria
di fratellanza. Allontanandosi, il sorriso di Don Antonio Galderisi e la contentezza di Maria Caiafa fanno prevedere non solo successo attoriale ma
soprattutto, ci si augura, un luogo d’incontro scelto e qualitativamente
superiore ad ogni divertimento in giro per la città. Aspettiamo con curiosità
la programmazione e che Maria Caiafa, con la sua figura fine, dica “Su il sipario”.
Dopo aver esposto ad
Amsterdam al Beurs van Berlage ma anche alla Fortezza da Basso durante la
"Biennale di Firenze, e ancora al het Rijksmuseum van Amsterdam, museum De
Kunsthal in Rotterdam, het Nederlands Schoenenmuseum, het Amsterdams
Tassenmuseum en het Louvre museum in Parijs, il museo Kunsthal di Rotterdam,
scarpe olandese Museum, il Museo di Amsterdam di borse e il museo del Louvre di
Parigi. Zijn werken hebben inmiddels hun weg gevonden in Europa, Azië, het
Midden Oosten, Australië, Siberië, Amerika en de rest van de wereld zal ook
snel volgen, non solo ma le sue opere hanno trovato la loro strada verso
l'Europa, l'Asia, il Medio Oriente,
l'Australia, la Siberia, l'America e il resto del mondo, Ton Pret l’olandese
che ama Salerno più di ogni altro
posto è in esposizione alla galleria
Giuseppe Natella, una targa illuminata ce lo ricorda, all’interno del Teatro delle Arti, fiore all’occhiello
della città, direttore artistico: Claudio
Tortora.
Il
Teatro delle Arti è una vera fucina di attività, un esempio
unico in Italia ad avere una sala Teatro
ed una di Cinema, larghi spazi per
le più svariate attività come la Danza, Teatro, incontri con attori, autori,
artisti figurativi, scuola di recitazione e danza, insomma un luogo dove le
arti s’incontrano e sono a loro agio per gli spazi a disposizione. La Galleria “Peppe Natella”, prende il
nome dal Professore Giuseppe, che tanto si è speso artisticamente per la città,
un evento per tutti, la Rassegna estiva
del Teatro dei Barbuti e che, purtroppo, ci ha lasciato di recente, così per
il sodalizio artistico con Claudio Tortora,
ecco la galleria per ricordarlo. Spaziosa in lunghezza e larghezza, con un
sistema d’illuminazione atto a dare risalto alle opere esposte, ha già ospitato
noti pittori con successo. Il merito va ad Antonio
Perottiil noto artista salernitano
designer di mobili, produttore vetrate artistiche, pavimenti e complementi
d'arredo in ceramica che ne cura sapientemente gli eventi.
Nel 2015 ho conosciuto
personalmente l’artista olandese (n.d.r) entrambi fummo invitati a partecipare,
nel Museo Archeologico di Salerno, alla giornata internazionale della musica,
il 21 giugno. Lui, naturalmente, per il suo nome famoso, con accanto Antonio Perotti che ce lo presentava,
io per la recitazione di alcune mie poesie che incontrarono l’interesse di Ton.
E fu subito amicizia, coltivata, inseguito, attraverso il social per
eccellenza: F.B.
Ebbi a dire di Lui, in un articolo scritto da me e pubblicato dal
giornale on line www.lapilli.it,
che:
“Ton
Pret,
designer, è fra i 10 artisti più influenti del panorama globale e viene a
Salerno ogni volta che può per eventi organizzati dal suo amico Antonio Perotti. Olandese, occhi azzurrissimi, due laghi d’ingenuità, occhiali, biondo,
smilzo ed incarnato lattiginoso, parla poco l’italiano ma sopperisce con il
traduttore Google e della nostra terra ama tutto. Ogni volta che si esprime,
sul suo viso si stampa un sorriso franco, comunicativo che va al di là della
barriera linguistica. Ho conosciuto Ton Pret, 4 anni fa in giugno, precisamente
il 21, per la festa europea della musica. In quella data, Ton era ospite al
Museo Archeologico Provinciale di Salerno, assieme al designer salernitano Antonio Perotti ed altre eccellenze,
luogo prescelto, per celebrare la giornata europea della musica che così
intende, ogni anno, festeggiare il solstizio d’estate. Nella scaletta dello
spettacolo furono inserite e recitate alcune mie poesie, che lui apprezzò molto
per esserle state tradotte. La sua sensibilità e la naturale tendenza al bello
lo fecero aderire spontaneamente all’espressione più alta della creatività: la
poesia. D’ allora ci frequentiamo per email o sul social essendo nata una
cordiale amicizia.”
Lo stile di Ton viene
definito "realismo colorato di una realtà diversa, con un
forte effetto positivo." In effetti, con la sua
creatività così estroversa e colorata, vuole far emergere il positivo
dell’umanità, in lui si riconosce un legame con lo stile CO.BR.A. del secolo scorso,un
movimento artistico d'avanguardia europeo attivo dal 1948 sino al 1951. Il nome
fu coniato nel 1948 da Christian
Dotremont, facendolo derivare dalle iniziali del nome delle città dei vari
componenti: Copenaghen, Bruxelles,
Amsterdam
Ton Pret è’ autodidatta,
non ha voluto mai fare imbrigliare la sua creatività che si esprime con
gioiosità fantastica.
Ad un certo punto del suo percorso artistico ha
incontrato un uomo molto particolare di nome Antonio Perotti, designer salernitano, di fama internazionale, sua
è la porta di vetro che chiude il palazzo di città e sua è la Fontana Falcone e Borsellino, simile a due
stele per ricordare il loro sacrificio per l’Italia. Fin dall’inizio hanno
stretto un legame empatico, divenuto presto una bellissima e profonda amicizia.
Le loro creazioni sono diventate di tendenza, riscuotendo un sorprendente
successo. Nella sua vita ha una straordinaria importanza l’amore, perché adora
sentimenti così belli.
Si è innamorato di Saskia, la sua dolce signora che, lo
segue devota da quando aveva 14 anni e non hanno mai smesso di amarsi. Confessa,
come uno scolaretto, che al vedere sua moglie, ogni volta, ancora sente le
farfalle nello stomaco e ciò lo rende un uomo veramente felice.
Caro
e dolce Ton, grazie per diffondere tanta serenità e
gioia pura nelle tue opere che pari, pari ricadono su di noi, i tuoi colori
dipingono la vita che, per tante ragioni, si può scolorire all'improvviso,
senza il nostro consenso.
Evento
Marco Post, ovvero dell’americanizzazione della nostra esistenza
di consumatori. Lungi dal volersi esprimere sulla bontà del metodo Marco Post
proposto per il prolungamento della giovane età in generale e del benessere
derma-estetico della nostra persona, in particolare si vuole privilegiare l’aspetto
mondano della manifestazione, perché, anche nella programmazione dello stesso,
si sente a pieni mani l’influsso del costume attuale, affidato come è giusto
che sia a professionisti del settore e la signora
Rosalia Paracuollo ha dimostrato di esserlo, superando con ottimi voti il
test dell’ evento. Innanzi tutto la scelta della location, facendo della Tenuta dei Normanni, un ottimo posto
per far sentire a proprio agio i convenuti, garantendo loro il calore
dell’accoglienza e la privacy congressuale. Una ospitalità umana fatta di belle donne, in forma
smagliante, ma mai fuori dalle righe, gentili e disponibili, sempre sorridenti,
mai accigliate, sapientemente truccate ed eleganti nei colori verosimilmente
imposti dalla Marco Post Group,
rigorosamente in bianco e nero, così come tutto l’addobbo della sala, luci
soffuse, musica sottofondo moderna e sognante, affidata ad un violino delicato
e virtuoso, un sax presente e puntuale nei contrappunti, un piano eccezionale a
legare il tutto, una selezione di brani sapientemente arrangiati e tutti molto
in linea, sia con la precisione dello staff organizzativo sia con le attese del
pubblico che non ha mai dato segno ne’ di stanchezza ne’ di noia. Tempismo
eccezionale e scioltezza evolutiva della presentazione hanno reso la serata
intrigantemente piacevole e elegantemente leggera. Superlativa l’organizzazione
del catering che ha legato insieme i vari momenti dell’evento. Collante
pregevole sia per la qualità dei prodotti che per la professionalità degli
addetti lungo tutto il diluirsi della serata, dall’aperitivo iniziale, delicati
e piacevoli i dolcetti a base di cocco e cioccolato, alla cena, vero trionfo
della pregevolezza nella presentazione delle proposte e della bontà qualitativa
delle stesse. Un sorprendente peana alla ristorazione che si è concluso con una
vera chicca di pasta cotta all’istante e impiattata sotto gli occhi
meravigliati e vogliosi dei convenuti. Complimenti vivissimi, dunque, a chi ha
preparato le vivande, Catering on city
e un grazie di cuore a chi di questa organizzazione, RosalyPar event si è resa responsabile, così come sentiti
ringraziamenti vanno a chi ha voluto, Marco
Post Group, attraverso Rosaria
Alfano, farci sentire almeno per una serata cittadini di un mondo
globalizzato, accettato o meno, ma pur sempre, come dire, testimone di tempi
che evolvono
Sono state sei
le repliche al Piccolo Teatro del
Giullare di Salerno di “Tre volte
per amore” con la presenza dell’autore, Maurizio de Giovanni, alla prima. Interprete dell’ammaliante testo
è stata Brunella Caputo che ne ha
realizzata anche la regia,
affiancata da due valide attrici: Teresa
Di Florio ed Antonella Valitutti.
Tre donne, distinte in
tre spaccati, nei quali Maurizio de Giovanni è riuscito, con un sapiente
impasto di lirica e suspense, a delineare tre personaggi veri, di cronaca nera,
donne assurte alla cronaca nazionale, per essere state protagoniste di
avvenimenti scellerati, che gli spettatori non hanno faticato ad identificare. E
mentre nel primo e nel secondo caso la responsabilità è stata acclarata oltre
ogni ragionevole dubbio, nel terzo l’autore si fa portavoce di una soluzione
alternativa, per certi versi plausibile, ma tutta da dimostrare. Assistendo
allo spettacolo il pensiero corre a Carlo Emilio Gadda e alla sua “la
cognizione del dolore”, di cui l’autore, per la genesi profonda di certe
idee-azioni alla base di comportamenti distorti e purtroppo negativamente
significativi delle donne dei primi due episodi che in qualche modo ne
diventano responsabili-complici, sia pure con modalità diverse. L’autore, in
entrambi i casi, è a caccia quasi dei primum movens delle loro azioni, quasi
alla ricerca di quei circuiti ancestrali responsabili dei sentimenti affettivi,
che la neuropsichiatria mondiale sta prepotentemente rivalorizzando
E proprio affondando le
indagini sull’ animo umano, de Giovanni prova a far emergere le passioni
archetipe originarie e possenti del nostro essere, ahinoi, dotati di un
cervello rettiliano che, ove mal guidato dalle capacità del cervello terziario,
in qualche modo ci fa regredire ad uno stadio evolutivo che ognuno spera
intimamente di aver superato da tempo e di non rimanerne mai più invischiato,
ma che purtroppo riesce ancora a farsi sentire con la sua voce peggiore.
Potremmo dire la cognizione della ferocia animale, la cognizione della
aberrazione mentale, la cognizione della malvagità animalesca, la cognizione
dell’ignoranza deformante del sé. Ebbene l’operazione delicata e complessa dello
scavo letterario è perfettamente riuscita, sia per la bravura delle attrici sia
per l’impianto scenico scarno, nudo, spartano, solo le tre silhouette attraversate
dalle luci e dal suono che, con vigore e malinconia, hanno supportato la
sofferenza del momento. La drammaticità dei gesti intuiti più che agiti,
suggeriti più che mostrati, spalmati in un’ora e veni minuti, hanno segnato
l’inquietudine e i momenti forti della narrazione. Brunella, con la sola parola
ha reso la giusta interpretazione, nonché la caratterizzazione dei personaggi
nella direzione scenica. Tre volte per amore, tre casi di cronaca nera, riletti
da de Giovanni e affidati a Brunella per la giusta scrittura teatrale, sì da
renderli unici per come sono stati elaborati e per come sono stati smantellati
e ricostruiti. Un raccontare per indagine, analizzando l’intimo di esse e come
a volte, l’invidia, la gelosia, l’astio cambiano tragicamente la propria vita e
quelle degli altri.
“Il
destino si diverte, il destino ha una mente limpida e perversa, mette insieme i
pezzi fino a completare il quadro, poi si mette seduto a vedere quello che
succede, sì, si diverte così”
A dirlo è Teresa Di Florio, calcando sul dialetto
per farci capire come sia arrivata a scatenare un dramma davvero infame. La
sorella di lei era bella e di conseguenza anche la figlia lo era, una
principessa bionda, occhi azzurri, magra, mentre sia lei che la figlia erano
brutte e grasse. Sembra l’inizio di una favola ed invece di lì a poco sarà
l’invidia sfrenata a cambiare lo scenario a non fermare la mano di sua figlia
che non sopporta la principessina, già in odore di corteggiatori, nonostante la
giovane età.
“Certe
cose iniziano a succedere anni prima…gesti e azioni che non vanno riposte in
una scatola con sopra scritto –follia. Adesso io vorrei sapere quello che senti
in realtà. Capisco la difficoltà enorme per te di capire quello che avresti
dovuto fare. Lo hai fatto, per carità. Ti ringrazierò per sempre”.
Anima nera o in preda
alla droga, con la capacità di asservire al suo raccapricciante progetto, anche
il fidanzato, il secondo caso, il personaggio ha sviluppato odio e turpe
malvagità nei confronti della madre e del fratellino. L’interpretazione di Brunella Caputo è un piccolo capolavoro
teatrale, raccolta sulla sedia, ginocchia piegate e tenute strette dalle
braccia, come a volersi raccogliere o volontà di essere abbracciata, parla a
scatti nervosi, spiega di aver scritto al padre, il solo ad averla perdonata,
capita. S’interroga, con vocina infantile, regredita all’indietro, come ha
potuto il padre assolverla e perché l’ha fatto, quando tutto il mondo l’ha
condannata senza riserve. La donna, un tempo la piccolina di papà, ha la fisicità e le parole, il pensiero unico
di Brunella, un’identificazione totale.
Ma
come ha fatto a non accorgersene prima? Invece, una non se ne accorge.
Credetemi, perché non si vede se non si guarda”.
E’ Antonella Valitutti, la terza interprete del monologo, che nella
storia è la moglie di un sicuro assassino per la giustizia, tanto da meritare il massimo della pena. Sue
sono le parole dette con pacata determinazione, nell’accorgersi, esplorando il
computer, che suo marito preferiva le ragazzine. Un moto di ribrezzo che, nella
felice intuizione narrativa di de
Giovanni la trasforma in un’assassina. Si, è stata lei ad uccidere il
giovane fiorellino, che usava tale sostantivo come password. Per lui si
spalancano le porte del carcere per sempre, per lei la vendetta che durerà per
tutta la vita. Una significativa caratterizzazione del personaggio, che ha
creato attenzione e stupore. Bravo Maurizio
de Giovanni a mischiare le carte nel finale
Uno spettacolo perfetto,
l’interpretazione delle tre attrici anche, la regia impeccabile di Brunella Caputo, la musica a dare
suspense e le luci striate di rosso a tinteggiare il sangue delle tre vittime.
Con due giorni di
anticipo sull’evento luminoso di Salerno, Rosario
De Martino, stilista, ha acceso
una cascata di luci, circondando la facciata del suo negozio, per non essere da
meno all’illuminazione della città che, venerdì 15 novembre, fascerà per 27 km
Salerno. In verità l’illuminazione che rende festosa la città per tre mesi, ha
uno stacco improvviso molto brutto sulla via Irno che va verso Fratte e la
salita che va verso la Clinica del Sole. Non un minimo segno di allegria
natalizia per un quartiere che, in tempi passati, dava l’inizio alla
passeggiata panoramica dei salernitani sulla pineta o altrimenti detta il
“Mazzo della Signora” e con l’attuale complesso dell’Irno Center che ha
cambiato il look della zona, un’attenzione in più la si poteva meritare e
siccome negli anni non si è verificata, ci ha pensato Rosario. La luce la si
comincia a vedere all’inizio della salita, il brillio affretta il passo, sì da
ammirare la lucentezza intermittente delle lucine che si riflettono nei
giardinetti di fronte, da qualche anno rinnovati. Ecco, l’iniziativa privata di
Rosario De Martino ha dato dignità
estetica ad una zona che così come si conforma diventa solo una via di
passaggio. I negozi di un tempo, dove il gestore diventava di casa, sono stati
quasi tutti risucchiati dalle mega strutture commerciali, utili sì, per la vita
condotta sempre più a grande velocità, ma anonimi e senza il calore della
conoscenza.
Rosario
De Martino, 50 anni, portati con la baldanza di un
giovanotto, sia fisica che mentale, biondo, occhi chiari, più simile ad un
teutonico che ad un salernitano doc, nato proprio in questo quartiere, è sposato
con Elisa Quintili da 12 anni, una
donna che gli sta a fianco con attaccamento e capacità lavorativa, prima di
sposarsi faceva tutt’altro. Hanno un figlio di nome Raul, che la dice lunga sulla passione di Rosario per le moto,
Raul, appunto, evoca il rumore del motore in accelerazione. Ah dimenticavo,
hanno una bellissima gattina grigia di nome Luna, che li attende per le fusa la sera. Il negozio di Rosario è
aperto ad orario continuato per essere certi che lui c’è per le sue fedelissime
clienti. Entrare nel salone pieno di luci che giungono dagli specchi, il colore
delle pareti, il pavimento sempre lucido e dal candore in cui si viene avvolti,
diventa un appuntamento piacevole.
Nel 1992 dà inizio alla
sua attività a Torrione, nei pressi di una traversa del Manila, un night, che
andava per la maggiore a quei tempi, ormai dimenticato e pochi ne hanno
memoria, se non per un fatto di cronaca nera. Passano due anni e nel 1994 lo
troviamo in Via Giovanni De Falco dov'è tuttora. Dire di lui che è bravo e
capace del mestiere, sarebbe riduttivo, lui ha una marcia in più, è uno
stilista che si aggiorna, che è à la page, frequentando l’Accademia e
sottraendo spazio alla famiglia ed al giorno di chiusura per conoscere le
novità delle 4 stagioni. C’è un mondo sconosciuto di cui nulla sappiamo e che
detta leggi su come vestirci, quali monili scegliere, che accessori abbinare in
quell'anno. I target s innovativi ci vengono dalle grandi capitali della moda,
ossia Milano, Londra New York. E Rosario si aggiorna, curioso delle novità da
riversare nel suo mestiere, i prodotti scelti per curare i capelli sono sempre
al top e si può essere certi che sono sempre di ultima generazione, per donare
idratazione, riportando il capello al nutrimento naturale. Nel mestiere Rosario
ci mette passione ed amore, vuole che le sue clienti portino in giro la testa
con orgoglio, a cui ha dato forma e colore. Già il colore, lui è il maestro
delle nuance, ora si possono ottenere con solo 15 minuti di posa, c’è poco da
fare Rosario è sempre un passo avanti.
Le luci accese martedì
sono un dono che Rosario ha voluto per le sue clienti, per il quartiere, per
quelli che distrattamente passano, per le persone anziane che sostano nei
giardinetti, per la meraviglia dei bambini e per dire che il Natale è bello,
perché è la festa che più sentiamo familiare e lui da trent'anni è un caro
parente scelto. Continua a stupirci Rosario, tu che puoi mettere mani alle
nostre teste.
La scrittrice e giornalista Elda Lanza, conosciuta al grande pubblico come prima presentatrice della Rai e poi come "nuova signora del giallo italiano" grazie al successo di 'Niente lacrime per la signorina Olga' , 'Il matto affogato', Il venditore di cappelli ed altri titoli ancora pubblicati dalla casa editrice Salani, è morta questa mattina a Castelnuovo Scrivia, dove ormai risiedeva da anni, dopo aver vissuto a lungo a Milano.
Ad annunciare la morte lo scrittore e giornalista Mariano Sabatini. ''Dopo una brevissima malattia, la prima presentatrice della tv (il termine fu coniato per lei), giornalista e scrittrice, si è spenta con accanto il figlio Max e il marito Vitaliano Damioli a Castelnuovo Scrivia, dove ormai risiedeva.
Questi ultimi dieci anni di intensa amicizia sono stati per me magnifici, impagabili, e sono orgoglioso di averla riportata in tv, visto che dopo averla tenuta a battesimo - dalle trasmissioni sperimentali della Rai nel 1952, e fino agli anni Settanta - se l'erano quasi dimenticata. Era tornata prima su La7 con Benedetta Parodi, e poi dalla Balivo, per una serie di tutorial a Detto fatto su Rai2. Sempre molto apprezzata e amata dal pubblico, per l'ironia, la cultura, la simpatia. Stesso discorso per i romanzi con Salani: oltre 100mila copie vendute.
Fino all'ultimo abbiamo parlato gioiosamente di lavoro, di progetti, di idee e, per fortuna, è riuscita a portare a termine e a vedere pubblicato 'La farfalla pavone' per la Lisciani Libri e 'La Terza sorella" per Salani, entrambi da poco nelle librerie''.
Nata a Milano il 5 ottobre del 1924 aveva compiuto da poco 95 anni vissuti in modo intenso e segnati da tanti incontri con Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Walter Chiari, Dario Fo, Giorgio Gaber, Eugenio Montale. Femminista attiva e convinta aveva studiato alla Cattolica di Milano e poi alla Sorbona di Parigi. Nel 1952 aveva iniziato a lavorare per l'allora tv pubblica, ed era così stata la prima presentatrice televisiva italiana. Tv che poi aveva a lungo frequentato, spesso come opinionista in tema di galateo e buone maniere, suo il best seller ''Signori si diventa le nuove regole dello stile'' per Mondadori, fino agli anni recenti e al debutto, nel 2012 come giallista..
"Non ho una ricetta, posso soltanto dire come è successo a me.
Sembrava una cosa qualsiasi. Non era una cosa qualsiasi: tumore al pancreas. Sicuramente faccio prima io ad andarmene che questo indesiderato a crescere e a farmi male. Una gara tra me e lui… vincerò io", aveva scritto qualche giorno fa in un pezzo per il sito web con cui collaborava. (ANSA).
Si è spento a Roma, all'età di 84 anni, il grande Fred Bongusto. Autore di canzoni italiane tra le più celebri e amico dell’isola di Ischia e Procida. Ciao Fred, io ti ricordo ancora con la giacca azzurra brillantinata, abbronzatissimo, in una serata estiva al"Parlamient" un locale all' aperto di Salerno. se.ma
Sono Liliana. Sono una donna. Sono italiana. Deportata. E a 90 anni, come a 13, perdo di nuovo la mia libertà. Come allora. Perché ebrea. ...
Ho dedicato la mia intera esistenza, sopravvissuta per puro caso allo sterminio in un campo di concentramento, alla memoria, alla testimonianza, per ricordare cosa è stato. Affinché non accadesse mai più. Certa che mai più saremmo scivolati di nuovo in quell’abisso. Ma mi sbagliavo. A 8 anni sono stata espulsa da scuola senza colpa. A 13 sono stata messa in un vagone bestiame e portata ad Auschwitz. E fino a 14 ho visto ogni giorno la gente morire attorno a me. Per tre volte ho visto medici in divisa nazista scrutarmi tra le ossa e decidere, con uno sguardo, se potessi essere sfruttata ancora o mandata nelle camere a gas. Ho sentito madri nella notte invocare i nomi dei propri bambini trascinati alle “docce”. E ho sentito i bambini chiamare le mamme. E tutto cominciò così. Come oggi sta ricominciando. Non invocando camere a gas e stermini. Ma facendo differenze tra “noi” e “loro”. E incitando all’odio noi contro loro. Cominciò così. Con gli stessi toni, lo stesso clima, lo stesso odio prima sottaciuto, poi “tollerato”, poi alimentato. E qualcuno dice ancora che oggi nulla è cambiato. Per oltre 70 anni non ho mai avuto bisogno della scorta. Oggi sì. Oggi sono di nuovo in pericolo. Perché ebrea. E perché chi odia, oggi, rispetto a ieri, si sente protetto, legittimato, autorizzato a rialzare la testa. Sono Cathy. Sono Francesca. Sono Maria. Sono Giovanna. Sono Valeria. Sono Marcella. Sono un’ebrea. Sono una donna. Sono Liliana.
Il mare di lavanda di
Cugna, in Brasile, esteso oltre lo sguardo e dove per un giorno intiero, Brunella Caputo, assieme al marito, è
stata a guardarselo ammaliata, è riportato, pari dall’immaginario, nella
scenografia del suo lavoro teatrale “Espera”.
Il palcoscenico è invaso
da foglie di carta di colore lilla, ottima simulazione della distesa di lavanda
brasiliana e null’altro, se non la poca luce dei riflettori, che avranno un
ruolo nel sottolineare i vari passaggi.
Andrea
Bloise, l’interprete dei monologhi è seduto in un angolo del palcoscenico e
recita dolcissimo, nella lingua portoghese, la poesia Cunha scritta da Brunella. Vale la pena conoscerla tutta.
Cunha
C’è un posto nel mondo
che è un ‘attesa. / L’attesa di qualcosa che sarà. / L’attesa di uno sguardo. /
L’attesa di un sogno. /L’attesa di un respiro/ Il tempo è sospeso laggiù. Non
fermo, sospeso. / Attende. /Attende di guardare, sognare, respirare. /Attende
il viaggio. /E’ un’attesa abitata /Le attese si abitano, come i luoghi. /Il
tempo abita l’attesa del viaggio. / Abitare un’attesa è aspettare. /Aspettare
di guardare, sognare, respirare. / Aspettare il viaggio. /Il tempo aspetta, lì,
sospeso. /Tu aspetti. / C’è un posto nel mondo che è un’attesa.
La poesia fa parte di un
progetto letterario, coordinato dalla stessa Brunella, assieme ad altri 23, tra
scrittori e poeti, intorno al tema dell’attesa, da cui il titolo alla raccolta:
“Attesa Frammenti di pensieri”, presentato
alla Fiera del libro di Torino, la
scorsa edizione. Il libro consta di 4 parti: Il tempo, La verità, Il viaggio e
l’arrivo, ossia 4 modi di osservare l’attesa.
Ed Espera, che in
portoghese è Attesa, si estende, questa volta, sì con la parola, ma si accompagna
alla danza, dopo essere stata, la passata stagione teatrale, solo parola.
La nuova produzione dell’Associazione
Campania Danza, direzione
artistica Antonella Iannone coreografia Annarita Pasculli, Assistente
Annalisa Di Matteo, disegno
Luci e tecnica Virna Prescenzo.
Titanico, preciso,
accanito e di tutto riguardo, lo sforzo fatto da Brunella Caputo, nel tentativo
di dare corpo a suoi sogni, di coniugare al meglio tra loro, la sua sensibilità
letteraria e il suo antico amore per la danza o per dirla in altro modo,
provare a far danzare le parole o a far parlare certe movenze di passi. Si
potrebbe dire che non c’è una storia da raccontare. Ci sono momenti e
situazioni affidate alle parole prima e a passi di danza dopo. Ed é una danza
corale, di gruppo che occupa la scena e tiene avvinto a sé un pubblico
particolare vivaddio diverso, una volta tanto di giovani, giovanissimi la cui
variopinta presenza è di per sé una gran bella novità, ma già la passione della
danza è dei giovani se i loro compagni si muovono sul palco.
E la mente è sollecitata,
oltre ogni dire, nel rimestare tra le parole scelte: “Alla Fermata” di Rocco Papa e “Onesta è l’attesa” di Maria Concetta
Dragonetto, per esempio, misurate, calibrate e legate al tema dell’“Attesa”
Ecco questa prima nazionale è il tentativo di continuare un’operazione
largamente prevista, almeno nella mente, progetto oltre che elegante, che ha
evidenziato, se pure ce ne fosse stato bisogno, la poliedricità artistica della
regista e la sua sensibilità elegante, che unita alla bravura indiscussa della
coreografa,Annarita Pasculli, hanno dato corpo ad una creatura nuova. Un pezzo
a 4 mani, a corpi, ora intrecciati, ora inerti, ora semplici burattini, ora
corpi tesi a seconda delle parole. Un binomio perfetto, Caputo, Pasculli, che hanno dato vita ad un pezzo per un pubblico
smagato, voglioso di novità e soprattutto non disposto ad accettare operazioni
banali. Gli applausi finali, prolungati e sentiti, sono per dire grazie al
talento non solo di Brunella Caputo, ma a tutti gli altri interpreti, che hanno
saputo coinvolgere e trattare con delicatezza il cuore di ogni presente.
Interprete sensibile e duttile è Andrea
Bloise, sempre pronto a calarsi, facendolo come meglio non si può, nei più
svariati personaggi affidatigli. La sua recita amabile, in portoghese, di Cunha,
ha regalato un pregio in più allo spettacolo.
In scena: Cristian Cianciulli, Pier Paolo
Lara, Giorgio Loffredo, Francesco Morriello e Samuele Stanghellini
“Stessa
stella” con Pasquale Palma e Gennaro Scarpato,
è una sit-comedy, scritta da entrambi, portata in scena al Teatro Ridotto di Salerno, al fine di andare oltre le gag, gli sketch e i
personaggi a raffica, come Bimbominkia, Vivo
D’Angelo, Eddy Scampia per Pasquale
Palma interpretati, nei vari anni della trasmissione televisiva di successo “Made in Sud” e la bravura di Gennaro Scarpato, attore e scrittore e
uno dei tre Malincomici, che già
s’impose all’età di 14 anni in tv a Festa
Italiana, una trasmissione su Rai1 del 2009, presentata da Caterina Balivo.
Giovani e napoletani
entrambi tentano e fanno bene a crearsi un vestito attoriale nuovo, sì da
lasciare un segno deciso. Diciamo, un salto di qualità, che ci sta tutto, con
il genere rappresentato: sit-comedy, nota anche come commedia cittadina,
un genere del teatro moderno, tratto dall’antichità inglese. Palma non ha
snaturata la verve comica, la dialettica a mitraglia, la naturale padronanza
della scena e la sfrontata voglia coraggiosa di metterci la faccia e sfidare
così il pubblico a tributargli gli applausi, che merita, ma potevano anche non
essere scontati. Applausi sinceri, dunque, calorosi e frequenti. Due attori,
rivelatisi bravi, tanto da far dimenticare, senza spocchia, i personaggi con
cui hanno iniziato, abili a presentare una creatura agile, leggera, gioiosa,
dal risultato incerto fino alla fine, quale la “Stessa Stella”. In un mini
locale, essenzialmente addobbato, si svolge il tutto, l’amico di Palma,
proprietario e sposo il giorno dopo, vive la vigilia in tranquillità e non sa
che fra poco gli cadrà il mondo addosso perché gli piomba in casa Pasquale, con
la sua infelicità, essendo stato lasciato dalla fidanzata e la domanda che gli
pone secca, come può sposarsi se lui, suo amico, soffre. Due tempi nel quali si
affrontano tematiche quale l’amore, la felicità e l’amicizia avvertita come
sacrificio e condivisione totale. Il
finale imprevedibile ci sta e ci piace pensare che Palma e Scarpato proseguano
su questa strada di qualità, sia per come si sono espressi, sia per la
scrittura leggera ma di contenuto.
E’ di sabato 19 ottobre, 21,15, la riapertura del Teatro Ridotto di Salerno, per
l’inizio della stagione di “Che Comico
2019 - 2020.” Ad andare in scena è il noto attore salernitano: Lucio Bastolla, con “Stasera nulla di
nuovo”, lontano dalle scene da un bel po’, per essersi dedicato al cinema. La
sua ultima fatica, “Passapartù- Operazione
Doppiozero”, è uscita nelle sale in quest’estate.
Quando si dice la
continuità: Lucio Bastolla ha nel
sangue nel corpo nel cuore e nella mente la voglia di far rivivere, sia pure
per poco, la mitica figura di Nicola
Maldacea,attore,
comico e cantautore italiano, nato a Napoli il 29 ottobre del 1870 e
la bella sua esperienza del varietà. Già
il varietà o variété, nella
declinazione francese, genere di spettacolo teatrale di
carattere leggero, nato alla fine del XIX secolo a Napoli, ad imitazione del Cafè-chantantfrancese. In verità Lucio Bastolla, confessa,
che egli stesso crede poco a questa operazione nostalgia, perché sa, in
partenza, che essa toglie energia e vigore catartico, sia pure animalesco, con
cui si contraddistingue il teatro moderno, il quale è tutto teso, più a
strappare con la violenza, anzi quasi ad imporre l’applauso che non
all’elicitazione. Si presenta elegante, con vestito nero, gilet, camicia bianca
e già si ha un’idea di come proseguirà lo spettacolo, che risente, a giusta
ragione, infatti per anni ha lavorato con lui, di un altro mostro sacro del
varietà, Vittorio Marsiglia, inteso,
però, più come cabaret a tempi veloci, che non come spettacolo completo di rivista.
L’inizio è proprio macchiettistico, una tiritera veloce che poco ha di sensato
ed una scaricata di barzellette, repertorio noto di grandi barzellettieri, da Gino Bramieri a Waler Chiari, passando
per Carlo Dapporto, ebbene
nonostante si trattasse in ogni caso di macchiette e gag note per i più
attenti, quasi nessuno ha resistito a non ridere ed a ridere di cuore, per il
suo modo pulito garbato e sempre sul pezzo del salernitanissimo Lucio. La
grazia mai troppo affettata, ammiccante e complice al punto giusto, per le sue
eloquenti faccette, sia pure iconiche di quel tempo e per una versatilità
avvolgente, nel carpire la partecipazione del pubblico che ben volentieri si è
lasciato trascinare dal guitto gentile e rigoroso. Perfetta la sua imitazione
di Gastone di Ettore Petrolini. Il pubblico sapeva e voleva essere complice di un
signore di una scena ancora fascinoso e invaso dal fuoco sacro del Teatro, sia
pure solo finalizzato, ultimo epigone, a rinverdire la bella époque, come
testimonial di un tempo passato, ma che è ancora in grado, se presentato con la
bravura di Lucio Bastolla, di far ridere e divertire con signorilità e tempi
giusti.
Sono fuori dall'ospedale, in autoambulanza, che tra due ore e tredici minuti mi condurrà al Fatebene Fratelli di Napoli. Fa molto caldo e sono dolorante. Prima di archiviare definitivamente il ricovero precedente, voglio dirvi, tanto per farvi immaginare l'esperienza estrema provata, che per ripararmi dal freddo della notte, mi sono dovuta avvolgere nella carta per sostituire la coperta che non avevano, sarò sembrata una mummia e solo nell'autoambulanza, dai volontari, il giorno dopo, accortosi della spinale, me l'hanno sfilata. Un sollievo immediato che potevo provare dal giorno prima.
Arrivo al pronto soccorso, sempre in codice rosso e dopo aver espletato immediatamente le formalità, sono ricoverata nella stanza numero 104 del reparto di ortopedia. La stanza è di sei posti, con aria condizionata e due televisori disposti in alto in modo da essere visti da tutti gli ammalati. Mi guardo intorno ed i visi degli ammalati mi fanno subito simpatia, tranne una, che ha una spalla mal conciata, siamo tutti là per la rottura del femore.
Storia
L’Ospedale Madonna del Buon Consiglio Fatebenefratelli fa parte dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, che gestisce nel mondo più di duecento strutture sanitarie. L’Ordine si ispira all’ operato di San Giovanni di Dio, che nella prima metà del 1500 svolse in Spagna il suo apostolato a sostegno degli infermi e dei bisognosi. Alla sua morte, nel 1550, la schiera dei discepoli incominciò a diffondere il messaggio di carità e di ospitalità ereditato dal Santo, fondando vari ospedali sia in Europa che in altri continenti.
La storia dei Fatebenefratelli in Italia ha inizio a Napoli. Qui, nel 1572 i frati Pietro Soriano e Sebastiano Arias fondarono nel borgo Chiaia il piccolo Ospedale S. Maria della Vittoria, prima tappa di un percorso che vedrà i Religiosi sempre presenti nel capoluogo partenopeo. Nel 1587, infatti, nacque in via Tribunali l’Ospedale S. Maria della Pace. Nel 1656 la loro presenza a Napoli risultò determinante per fronteggiare l’epidemia di peste abbattutasi sulla città. Nel 1853 i Fatebenefratelli caldeggiarono l’istituzione di una scuola teorico-pratica per medici, chirurghi e farmacisti e nel 1854 destinarono all’assistenza ai malati di colera una piccola casa di loro proprietà a Capodimonte. Nel 1867 i Religiosi subirono la confisca dei beni da parte dello Stato, ma proseguirono indefessi l’attività assistenziale e nel 1936 acquistarono l’ex Collegio di via Manzoni, dove nel 1937 inaugurarono l’Ospedale a tutt' oggi attivo, intitolandolo alla Madonna del Buon Consiglio.
La missione è:
- Avere la persona assistita come centro di interesse di quanti vivono e lavorano nell'ospedale o in qualsiasi altra opere assistenziale; - Promuovere e difendere i diritti del malato e del bisognoso, tenendo conto della loro dignità personale; - Impegnarsi decisivamente nella difesa e nella promozione della vita umana; - Riconoscere il diritto della persona assistita a essere convenien--temente informata del suo stato di salute; - Osservare le esigenze del segreto professionale, facendo in modo che siano rispettate anche da quanti avvicinano gli ammalati e bisognosi; - Difendere il diritto di morire con dignità nel rispetto e nell’attenzione ai desideri giusti e alle necessità spirituali di coloro che sono sul punto di morte, coscienti che la vita umana ha un termine temporale ; - Rispettare la libertà di coscienza delle persone che si assistono e dei collaboratori, fermi nell’esigere che si accetti e si rispetti l’identità del centro ospedaliero; - Valorizzare e promuovere le qualità professionali dei collaboratori, stimolandoli a partecipare alla missione assistenziale dell’Ordine; rendendoli partecipi del processo decisionale nelle opere in funzione delle loro capacità e dei loro ambiti di responsabilità ; - Rifiutare la ricerca di lucro, osservando ed esigendo che non si ledano le norme economiche giuste. Tali principi si comunicano con atteggiamenti di benevolenza e donazione che permettono di compiere la missione tra i poveri e gli ammalati. Ogni opera che si compie nella struttura è specifica e cerca di dare risposta ai bisogni di alcune persone; dunque la missione è evangelizzare il mondo del dolore e della sofferenza attraverso la promozione delle opere e degli organismi sanitari e/o sociali che prestano un’assistenza integrale alla persona. La nostra missione non si rivolge in maniera totale all’utente interno ma pone l' attenzione anche a quello esterno: non solo al malato ma anche ai suoi parenti e familiari.
Basta poco e comincio a fare amicizia, a chiederci i nostri nomi ad aspettare la visita dei parenti che diventano anche i nostri. Ferdinando, mio marito, va avanti e dietro da Ischia una fatica per far conciliare gli orari degli aliscafo a quello delle visite. La stanza viene pulita due volte al giorno, da un personale responsabile, prima che il reparto si sveglia del tutto, per iniziare le cure e la visita dei dottori, in seguito anche nel pomeriggio. Altra cosa da notare benevolmente è l'intransigenza sull'orario delle visite e di conseguenza delle uscite. Il cibo è appena mangiabile, ma si sa che l'ospedale non è sulla guida Michelin. Il personale infermieristico è competente, paziente, garbato, allegro, pronto ad ogni chiamata e ciò rende sopportabile il soggiorno.Tra gli infermieri ci sono suore, un fiore all'occhiello, per rispettare la dignità delle ammalate nelle operazioni più delicate, ma tutti hanno grande rispetto per ognuna. I mobili sono colorati di un blue intenso, in ogni stanza c'è il bagno, le pareti tinteggiate di bianco danno un senso di pulizia e di fresco. I pazienti sono curati secondo il fa bisogno, a me per esempio attaccano subito due sacche di sangue avendo l'emoglobina di valore bassissimo 5, per cui devo arrivare almeno ad 8 per subire l'operazione.Le 48 ore di cui parla il Presidente della Regione Vincenzo De Luca per le operazioni di femori sono una realtà, gli operati, già dal secondo giorno sono sottoposti a fisioterapia e seduti in mezzo al letto. L'eccellenza del reparto del Fatebene Fratelli è evidente e non voglio fare paragoni, ma quello che ho sotto gli occhi è tutt'altra realtà.
A tal proposito voglio ringraziare tutta l'equipe che mi ha operata il 7 agosto alle ore 15.00, di cui non ricordo i nomi se non quello del Dott.re Michele Ugliano. Mi dispiace non poterli citare ad uno, ad uno, ma la riconoscenza va uguale a tutti. Durante l'operazione mi sono anche divertita per la lievità delle loro mani e le battute scambiate.
I giorni seguenti all'intervento sono trascorsi a conoscerci meglio, Iolanda e le sue sorelle e Maria la nipote sono diventate un gineceo affettuoso nei miei riguardi, Paola la prima ammalata su cui ho posto lo sguardo al mio arrivo e le figliole gentili, la Signora Maria, una nonnina arzilla che la sera si faceva accendere RAI tre per guardare la puntata di "Un posto al sole", dice che non ne ha perso una da quando è andata in onda. In quell'angolo di Via Manzoni, con tutte le nostre sofferenze, siamo diventate una famiglia e a me ha fatto commuovere il clima che si è creato.
Un ringraziamento affettuoso va alla Signora Rosetta che mi ha aiutata a lavarmi, non potendo scendere dal letto. Assisteva Iolanda la notte e con me l'ha fatto con tanto amore. Ho voluto ringraziarla con un piccolo presente che non voleva accettare in nessun modo.Ho pregato Iolanda di farglielo prendere e lei arrabbiatissima è andata via.Quando è tornata la sera ci ha detto" Con i soldi che mi avete dato, ho comprato tutte candele per farvi stare presto bene" Sono rimasta di sale, mai nella mia vita qualcuno ha fatto per me una così bella azione. Mi sarei buttata dal letto per abbracciarla, accidente al femore...
L'animo dei napoletani è grande e se ti danno il cuore è per sempre, infatti la chiamo spesso ora che sono a casa nella mia città a Salerno.
Ecco, il mio diario è quasi terminato, la brutta esperienza iniziale si è tramutata in bene e conoscenza. Io stessa ho costatato che la Sanità Campana è tutt'altra cosa da come viene descritta dai giornali e dalle trasmissioni televisive. Solo attacchi mediatici, per gettare fango, le famose formiche c'erano perché qualcuno spargeva lo zucchero sui davanzali. Che ci vuole a diffamare, notizie false e voilà Napoli è sotto i riflettori di luce sporca. Spero che chi infanga la città comprenda che non le rende un buon servizio, Napoli è una capitale, una super città con bellezze da offrire ed amore da donare.Il Fatebene Fratelli, il reparto di ortopedia è un orologio svizzero funziona senza ritardi e con competenza assoluta.
Prima di andare via conosco altre due persone Maria Rosaria che assiste sua madre una dolce vecchina di 95 anni, con rottura di femore e Antonella che sostiene la madre Maria per la rottura della spalla destra. Le lascio con rammarico, ma è ora che vada. I volontari sono arrivati per trasportarmi ad Ischia dove c'è mio marito ad attendermi.E' il 12 agosto, e malgrado tutto sono contenta di essermela cavata alla meglio.Ischia-Casamicciola mi regala, almeno alla vista e al corpo non interessato, l'estate che ho perso a Ventotene.