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sabato 31 maggio 2014

Incostieraamalfitana.it ottava edizione, serata inaugurale presso l' Hotel la Bussola di Amalfi



Venerdì 30 Maggio 2014, ore 20.00
AMALFI – HOTEL LA BUSSOLA
Serata inaugurale “..incostieraamalfitana” 2014
Premio “costadamalfilibri”
Salotti letterari
Maurizio de Giovanni, Luigi De Pascalis, Roberto Riccardi, Marco Vichi, Giampaolo ...Simi, Massimo
Mongai, Errico Passaro, Nicola Verde, Luigi Cecchi, Maria Bellucci “Verità imperfette” (Del Vecchio)
Giusella De Maria “Io non sono ipocondriaca” (Mondadori)
interviste di Franco Bruno Vitolo
letture di Brunella Caputo
Madrina della serata Daniela Brancati, già direttore del TG3 e prima donna direttore di TG
 
 
 
Il filmato si riferisce all'evento del 2013
 
 
 
 

venerdì 30 maggio 2014

Addio a Massimo Vignelli, ma a Salerno è vivo per il suo brand


 
 
 
 
Ho appreso con profondo dolore della morte a New York di Massimo Vignelli, uno dei massimi esponenti del design e dell'architettura mondiale, un grande italiano. Mi stringo alla cara signora Lella ed ai figli in questo momento.
E' stato un onore per me e per la nostra città aver potuto godere della sua amicizia e della sua opera creativa. E' stato un gesto di amore per l'Italia la sua decisione di collaborare con la nostra Amministrazione qualche anno fa. Rimane per me indimenticabile l'immagine di grande umanità, di eleganza, di sobrietà personale che lo caratterizzava. Scompare con Massimo Vignelli un grande maestro di cultura e di vita.
 
                                   Vincenzo De Luca Sindaco di Salerno
 
 Voglio ricordare, una volta di più, la straordinaria figura di Massimo Vignelli, il più grande designer al mondo, un genio della comunicazione, dotato di qualità umane e culturali eccezionali. In questi giorni ho ricordato, con una punta di amarezza, quello che ha sofferto quando ha deciso di lavorare con noi. Ricordo le lettere di insulti che ricevette da Salerno, ricordo che qui arrivò persino Striscia la Notizia. E tutto questo per una sciocchezza, perché lavorò quasi grat...is per il Comune di Salerno. Lo ha fatto per confermare il suo affetto per l’Italia e per il Sud, per lasciarci la sua traccia, la sua eredità culturale. Quello che successe in quei giorni fu una vergogna, perché quando si parla di grandi personalità, si può condividere o non condividere un lavoro, ma certo non si può mancare di rispetto.
Devo tanta gratitudine a Massimo Vignelli: è stato uno degli incontri umani più straordinari che io abbia avuto la fortuna di compiere nella mia attività istituzionale, uno degli incontri che mi ha lasciato di più in termini di arricchimento umano. Stiamo valutando la possibilità di istituire un premio per il design e l’architettura contemporanea intitolato alla sua memoria, per legare il nome della nostra città al suo nome incancellabile


Vincenzo De Luca Sindaco di Salerno
 
Fonte: L’espresso

E’ morto martedì mattina a New York Massimo Vignelli, il famoso designer italiano che negli anni ‘70 disegnò una versione stilizzata della mappa della metropolitana di New York che divenne parte dell’iconografia della Grande Mela. Non era in scala e non era neppure fedele nelle distanze fra i diversi punti della città. Ma era tuttavia chiarissima con quelle righe colorate ed eccessivamente orizzonati e verticali che hanno aiutato milioni di newyorkesi e di visitatori a non perdersi nel labirinto della subway.

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Vignelli con sua moglie Lella fece molto di più che disegnare la mappa del metrò. Da questa parte dell’oceano a partire dal 1966 sviluppò una brillante carriera: rifece il logo all’American Airlines, lavorò per Ford e Ibm, disegnò per la Xerox e la Gillette. Per decenni questa coppia italiana fu tra i volti più noti della New York che conta.

 

New York che conta.

Presenti agli avvenimenti più importanti, fotografati alle soiree più celebrate, invitati agli eventi più ambiti i Vignelli hanno contribuito in modo positivo all’immagine dell’Italia a New York. Ma non si trattava solamente di immagine. Anche di sostanza. Ricevette prestigiosi premi e riconoscimenti fra cui la Gold Medal della AIGE, il premio National Lifetime Achievement del museo Cooper-Hewitt. I suoi lavori sono esposti al MoMA e al Metropolitan Museum, oltre ai più importanti musei del design a Gerusalemme, Monaco, Amburgo e Montreal.

Già malato non aveva mai perduto la sua vivacità e il suo senso dell’umorismo. A suo figlio Luca aveva detto che gli sarebbe piaciuto essere presente al suo funerale. Da vivo, naturalmente, per vedere come sarebbe stato.

Con la scomparsa di Massimo all’eta di 83 anni (era malato da tempo), si chiude un’epoca. Ironicamente si chiude anche l’epoca delle mappe della metropolitana. Oramai basta un’applicazione dello smartphone per non perdersi.

 

Massimo Vignelli (Milano, 10 gennaio 1931New York, 27 maggio 2014[1]) è stato un designer italiano.

Nel corso della sua lunghissima carriera, sempre affiancato dalla moglie Lella, Massimo Vignelli si è occupato di svariati rami del design. La sua produzione spazia dal graphic design (area nella quale sarà più prolifico), al prodotto fino alla progettazione di esibizioni, una linea di vestiti e diverse sedute per marchi importanti come Poltrona Frau, Knoll, Acerbis International, Heller e Poltronova. È riconosciuto come uno dei più grandi maestri del modern design, avendo curato l'immagine di svariate fra le più importanti aziende al mondo. Tra queste figurano American Airlines (identità progettata nel 1967 e rimasta in uso fino all'inizio del 2013), Benetton e Ford. A partire dagli anni sessanta, inoltre, è stato uno dei principali artefici del rinnovamento della grafica italiana e americana, avendo importato negli Stati Uniti, con Unimark International, la metodologia progettuale tipica del modernismo europeo.
 
 
 

 

 

 

 

 

Stuprate e impiccate due ragazzine di 14 e 15 anni. Dall’India arriva l’ennesima e terribile storia di uno stupro di gruppo




Fonte: fanpage.it

Orrore in India: branco stupra due ragazzine e poi le impicca

Secondo quanto riferiscono i media indiani le due vittime, una 14enne e una 15enne, erano cugine. Sono state violentate da una banda di balordi in un villaggio dell’Uttar Pradesh e poi impiccate a un albero di mango.


Dall’India arriva l’ennesima e terribile storia di uno stupro di gruppo. Di un rapimento, uno stupro collettivo, e della morte di due ragazzine di 14 e 15 anni. Sono i media locali a riportare quanto accaduto in un villaggio dell’Uttar Pradesh, nell’India nord-orientale. Le vittime sono due cugine adolescenti “dalit”, cioè senza casta, che sono state violentate da una banda di balordi e poi sono state impiccate a un albero di mango. I media indiani scrivono anche che sette persone, tra di loro ci sarebbero due agenti, sono state denunciate. L’agenzia di stampa Pti ha fornito ulteriori dettagli su quanto sarebbe accaduto: la violenza nei confronti delle due adolescenti sarebbe avvenuta nel villaggio di Katra dopo che le ragazzine, che vivevano nella stessa casa, sono misteriosamente scomparse ieri sera. Gli abitanti del villaggio hanno allora avviato una caccia all’uomo per trovare le tracce delle due giovani indiane ma purtroppo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa, sono arrivati solo in tempo per scoprire i cadaveri che pendevano da un mango nell’area di Ushait.

Denunciate sette persone per lo stupro di gruppo

A quanto pare inizialmente la polizia è sembrata restia a registrare la denuncia della scomparsa delle due ragazze, ma poi per la pressione popolare è stata costretta a farlo. Le indagini hanno rapidamente consentito di ricostruire quanto avvenuto: dal rapimento allo stupro e la denuncia di sette persone. Uno degli accusati è stato arrestato, ma molti altri sono latitanti. Per qualche ora la popolazione ha bloccato la strada Ushait-Lilawan attraverso cui i due cadaveri dovevano transitare verso l’obitorio, poi la situazione si è calmata e il traffico è stato ripristinato. La violenza di gruppo ai danni delle due giovani dell’Uttar Pradesh è solo l’ultima avvenuta in un Paese dove da mesi, nonostante l’attenzione della comunità locale e internazionale, si susseguono episodi simili. Episodi che spesso, come nel caso della studentessa 23enne violentata su un autobus di New Delhi nel dicembre del 2012 e morta dopo giorni di agonia, hanno portato a numerose e violente proteste di piazza.







I vizi in piazza2° Edizione di Dante De Rosa il 1° giugno al Quadrifoglio di Salerno


 
 
 

mercoledì 28 maggio 2014

Decreto Cultura: foto libere nei musei con smartphone, tablet e fotocamere digitali









Fonte: fotografidigitali.it
di Nino Grasso

Nel nuovo Decreto cultura sono presenti novità per il mondo della fotografia e della tecnologia in genere. Le nuove "disposizioni urgenti" sono state firmate dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 maggio, e includono la possibilità di effettuare liberamente foto all'interno dei musei con qualsiasi dispositivo elettronico.
Si tratta di novità fortemente volute dai luoghi della cultura e dell'arte italiana, nel tentativo di dissipare le difficoltà dei controlli, divenute progressivamente crescenti con il diffondersi di smartphone e tablet. Le nuove direttive escludono le normative in fatto di legislazione dei beni culturali in vigore fino a ieri, fra cui il divieto di scattare foto all'interno dei luoghi dell'arte.
Le nuove regole del Decreto hanno l'obiettivo di promuovere la "libera manifestazione del pensiero o espressione creativa" o la "conoscenza del patrimonio culturale". Gli scatti effettuati all'interno dei musei possono essere utilizzate, inoltre, per finalità di studio e per ricerca, ma in tutti i casi senza alcuno scopo di lucro.
Viene naturalmente vietato l'uso di qualsiasi tipo di flash o fonte di illuminazione artificiale durante lo scatto, così come qualsiasi strumentazione che richiede il contatto fisico con l'opera d'arte. Vietati anche l'uso di stativi e treppiedi.
Di seguito riportiamo il testo del decreto relativo alla "Semplificazione beni culturali, foto libere nei musei":
"Sono libere, al fine dell’esecuzione dei dovuti controlli, le seguenti attività, purché attuate senza scopo di lucro, neanche indiretto, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte dall’utente se non, eventualmente, a bassa risoluzione digitale.”

 

Ricordando Nicola Tota, pittore in Salerno e nel mondo a 10 anni dalla scomparsa

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Non ho conosciuto Nicola Tota e me ne dispiace, perché ciò che ho scorto nei suoi quadri, tenuti esposti dal 3 /10 maggio scorso, presso il Museo dell’Architettura Contemporanea, di Via Porta Elina, è una bell’anima. 27 i quadri, tra i tantissimi prodotti, per comporre la significativa retrospettiva del ricordo, a dieci anni esatti dalla sua scomparsa. Un affettuoso ossequio della famiglia, oltre che un atto dovuto, per dare memoria alla sua opera, prodotta in prevalenza, nel e per il territorio salernitano, ma apprezzato oltremodo anche all’estero.
 
Sulla brochure dell’evento si legge: “Suonavo per dimenticare la fame, suonavo per non morire, ma la mia grande passione era e restava la pittura”, parole, che si riferiscono alla sofferenza patita nella prigionia della guerra. Il giovane Nicola, infatti, nato il 9 luglio del 1923, a Lacedonia, in provincia di Avellino, si trovò, a meno di vent’anni, sbattuto in guerra come paracadutista sabotatore. Gli inglesi, prima di Natale del ’44, lo catturarono per rinchiuderlo nel campo di concentramento di Chiaravalle. Da lì fu deportato in Africa, precisamente ad Algeri. Che cosa inventare per non morire di fame, gli fu possibile, grazie alla musica, altra sua passione e così si trovò a suonare, il sax ed il clarinetto nelle serate per i soldati britannici. Lo spettro della fame si attutì ma non si allontanò del tutto, in quanto, tornato in Italia, fu di nuovo rinchiuso nei campi di concentramento, questa volta a Taranto e considerato dai soldati inglesi, lui, solo un patriota, un ex fascista, per cui non si decidevano a lasciarlo andare. Quando finalmente tutto finì, tornato libero, a casa riprese l’antica passione della pittura, ma essendo il dopoguerra non adatto a vivere di sola arte, si dedicò all’insegnamento. Fu, così, maestro nelle carceri di Salerno, allora situate nella parte alta della vecchia città e per trentadue anni, seguendo le strade tortuose, strette, appena illuminate dal sole, insegnò ai detenuti a dipingere, per aiutarli ad oltrepassare, sia il brutto della loro condizione, che a fornirgli un mezzo di sopravvivenza, una volta usciti fuori.  Quando terminava l’insegnamento, dopo una breve pausa, si ritirava nel suo studio, allocato in Vicolo Lavinia e si perdeva tra macchie di colori, particolari di un tutto, paesaggi, volti, immagini, fissate, per le sue tele intonse ma pronte, di lì a poco ad avere anch’esse una loro storia. Ecco, una vita semplice di un uomo buono, di marito affettuoso, di padre amoroso, per Enzo ed Anna Maria, prima e tenero nonno per i sui nipotini, dopo. Dice di lui Ermanno Guerra, Assessore alla Cultura del Comune di Salerno, tra l’altro, per un periodo, suo allievo: “…. Quella breve e bella vicenda mi ha offerto l’immagine di un artista pienamente nel ruolo, compiaciuto a tratti, poi autoironico, ma sempre generoso nel dispensare consigli e pronto a parlare con gioia e passione di pittura…”
La sua pittura, dal tratto a spatola, a pennellare colori, sì da farci entrare nell’anima l’energia del suo segno pittorico. Masse cromatiche che invadono le sue tele e Salerno gli dà la giusta qualità di cui ha bisogno, l’azzurro delle marine, il giallo spento di vecchi palazzi, il bianco schiumato di onde tempestose, il rosso ruggine, invariabilmente di fiori o di balconi, mentre il verde per le montagne a guardia, il nero per i vicoli bui, cosicché che tra gli orni colori, irrompono maestosi particolari di archi e di colonne, di scorci e di paesaggi, la città e la costiera. Quella sua pittura che varca i confini per essere esposta all’Hermitage Museum di San Pietroburgo, al Museo di Mosca, all’Accademia di Arti Straniere di Londra, di cui   egli stesso fu membro ad honorem. Il dipinto   “Italia anni ‘70”, esposto  a San Pietroburgo, si conquistò, tra le altre,   la recensione di Luigi Kalby, docente universitario di Storia dell’Arte, nella quale si evidenziò l’impegno civile dell’opera ma anche la disincantata adesione.
I quadri, situati in mostra, sono visibilmente il riflesso della sua anima ad iniziare dai passi innamorati intorno alla città, “Le Botteghelle”, “I Mercati”,” “Verso Trotula de Ruggiero”, L’Addolorata”, “la Fontana di Largo Campo”, citandone alcuni, per continuare con gli affetti familiari, come il viso bellissimo della nipotina Maria, dai perfetti lineamenti e  dagli occhi scurissimi, colore della notte e delle bomboniere di lei, per la sua prima comunione, piccole gouache di una bellezza e semplicità unica. Anche la borsa di Angela Guerra, sua nuora, di grezzo canapone, come si portava negli anni ’70, fu dipinta dal Maestro, su insistente sua richiesta, ora è incorniciata e fa bella mostra tra le opere esposte. Pittura familiare è anche la stupenda ballerina, impressa sulla locandina degli inviti ma che si mostra bellissima all’interno dell’esposizione. La fanciulla nel suo tutù d’impalpabile voile, in posa, eppure se ne scorgono visivi i volteggi, è sua figlia Anna Maria, appena sedicenne, di ritorno dal saggio. E’ questo il dipinto che più ha amato, era il 1969 e vi lavorò per molte ore nell’intento di cogliere la lievità della danza e della ballerina.
Nel visitare la mostra, insospettatamente, (n.d.r) scorgo nel tratto della sua pittura un che di familiare, come se avessi già visto i quadri del Maestro, eppure non ne avevo mai ammirata la bellezza. Mi sono incuriosita e vengo a sapere che Nicola Tota è stato l’allievo prediletto di Salvatore D’Acunto, il pittore salernitano, coetaneo di Alfonso Gatto, innamorato della pittura, della sua città e padre della mia amica Anna. Ecco dove avevo scorto i tratti o per lo meno la tecnica usata, lavorare a spatola per dipingere, mi aveva confidato sua figlia, mentre a casa sua ammiravo le tele, era stata una sua caratteristica precipua. L’allievo Nicola, attento e giovane talento, ne aveva assorbito intatta la pratica, trasferendola con precisa scrupolosità nelle sue opere. E’ stato significativo conoscere chi ha guidato la sua mano e ha perpetrato l’insegnamento con la propria genialità.
Nicola Tota ha continuato a dipingere fino all’ 8 gennaio del 2004, la pittura, la sua fedele compagna di tutta una vita, non l’ha mai abbandonato, anzi gli sopravvive e ce ne rimanda intatta la bella immagine.
Maria Serritiello
 
 
 
 
 
 

Lapidata a morte dalla sua famiglia per aver sposato l’uomo che amava





 
 
Fonte:  Fanpage.it

Accade in Pakistan: circa venti familiari della donna avrebbero aggredito lei e suo marito con pietre e bastoni in pieno giorno. Tutto sarebbe accaduto dinanzi all’Alta Corte e a una folla di curiosi. 

 
Martedì scorso in Pakistan una donna è stata uccisa da una ventina di persone dinanzi a una folla di curiosi. Si trattava di una 25enne di nome Farzana Parveen: come scrivono i media stranieri, sarebbe stata uccisa perché “colpevole” di aver sposato l’uomo che amava. La donna per questo sarebbe stata lapidata a morte dalla sua stessa famiglia. A dare notizia del drammatico episodio sono la polizia locale e l’avvocato difensore: l’aggressione sarebbe avvenuta dinanzi a un Alto Tribunale del Pakistan. I dettagli della morte della 25enne sono stati forniti da Naseem Butt, un funzionario di polizia. L’uomo ha raccontato che la donna sarebbe stata aggredita insieme a suo marito da circa venti esponenti della sua famiglia. Tra questi c’erano suo padre, i suoi fratelli e anche un ex fidanzato. Farzana Parveen è stata colpita con pietre e bastoni in pieno giorno e ha riportato gravi ferite: sarebbe poi stata dichiarata morta poco dopo in ospedale.
 
 
La relazione della donna con suo marito non era stata accettata dalla famiglia - Lo stesso funzionario di polizia ha raccontato che la vittima si era sposata con un uomo, Mohammed Iqbal, dopo un fidanzamento durato diversi anni. Una relazione che però non era mai stata accettata dal padre e dai familiari della giovane donna. Il padre di Farzana, secondo quanto ha spiegato l’avvocato della donna, aveva anche presentato una denuncia di rapimento della figlia in cui si accusava lo sposo. La coppia però aveva sempre contestato l’ipotesi. Secondo i dati della Fondazione Aurat, organizzazione che opera per la tutela delle donne nel paese, circa in 1000 sono vittime ogni anno di “delitti d’onore”. La cifra potrebbe anche essere più elevata dato che la Fondazione Aurat produce i dati in base agli articoli di giornale e il governo non compila statistiche nazionali.
 
 
 
 





domenica 25 maggio 2014

Anche su Milano Nera web press è riportato la festa noir di Salerno

 
Fonte: Milano Nera Web press
 
Oggi festa noir a Salerno
 
 
Festa noir per presentare l’Associazione Culturale “Porto delle nebbie”, che apre, con il tesseramento, a tutti gli appassionati di letteratura (ma non solo) gialla, noir, thriller, poliziesca, legal, hard boiled. La festa si svolgerà sulla scena di un crimine, con effetti luce choc e musica da brivido, lettura di brani tratti dal libro di Simenon che ha dato il nome all’associazione, gialli scontati in vendita, buffet noir e brindisi “col morto”. Dopo un reading a sorpresa, i soci fondatori “sveleranno le prossime mosse della banda”. Ospiti d’eccezione saranno i “complici” di “Porto delle nebbie” Maurizio de Giovanni e Cristina Marra. Parteciperanno altri scrittori. Sei i soci fondatori di “Porto delle nebbie” : i giornalisti Massimiliano Amato e Piera Carlomagno che è presidente dell’associazione, la regista e attrice Brunella Caputo vicepresidente, l’ostessa noir Sabrina Prisco segretario, lo psichiatra Corrado De Rosa e lo storico Marcello Ravveduto, tutti instancabili lettori di gialli e anche già inseriti nel circuito dei giallisti italiani. Ora si attendono le adesioni. Prezzo della tessera, che sarà valida fino a dicembre: 5 euro. La prima avventura dell’associazione è stata la rassegna letteraria “Vittoria in giallo” cominciata a Napoli a febbraio con la presentazione della raccolta di racconti di Maurizio de Giovanni “Le mani insanguinate”, nelle sale del nuovo spazio culturale della Fenailp, in uno storico palazzo di via Vannella Gaetani, proprio nei pressi di piazza Vittoria. Ma un’altra importante esperienza attende l’associazione che ha organizzato la sezione gialli di “Salerno Letteratura” il festival che per il secondo anno invaderà slarghi, vicoli e palazzi storici del centro antico di Salerno per un’intera settimana dal 23 al 29 giugno. “Porto delle nebbie cerca di offrire motivi di cultura e di divertimento a chi è appassionato di letteratura gialla e noir, una tendenza già molto diffusa nel nord dell’Italia, dove abbondano rassegne, concorsi, festival sul genere – ha detto la giornalista Piera Carlomagno, Presidente dell’associazione – L’idea era già nell’aria da qualche anno. Finalmente l’associazione c’è e ha cominciato a operare subito. La festa noir del 25 è un ulteriore passo avanti: ora apriamo a tutti gli appassionati di gialli o di letteratura, ma anche di teatro oppure di buona cucina. Ci saranno rassegne letterarie, incontri, cene e feste, una serie di ‘agevolazioni alla cultura’ che presenteremo la sera del 25. Speriamo di essere in tanti. La scelta del nome è un omaggio a Simenon, un maestro, mentre Maigret è uno degli investigatori più affascinanti, le sue indagini sono frutto di intuito e intelligenza, ma anche di fatica, di passione, di caparbietà. Il porto richiama un luogo di mare, come Salerno, e la nebbia è un elemento noir di grande suggestione. Anche il riferimento alla frase giornalistica, agli insabbiamenti, al cover up, non è casuale, per testimoniare il nostro impegno, dell’associazione e individuale, verso la società e i suoi mali veri”.
 
Domenica 25 maggio, ore 19,30, Teatro del Giullare, Salerno
 
 
 
 

Scorci d' Arte nella mia città

 
 
 
 
 
 
La mostra fotografica è il risultato dell'omonimo concorso, terzo step del I Torneo di fotografia Città di Salerno, organizzato presso il Museo Diocesano di Salerno, a seguito del Protocollo d'intesa con la Soprintendenza BSAE di Salerno e Avellino e la Diocesi di Salerno. La mostra è dedicata a un’inquadratura tutta ...personale della propria città, immortalata nelle sue prospettive, angolazioni, scorci particolari che la rendono unica agli occhi di chi la osservi. Scatti non di semplici panorami, ma un punto di vista artistico della realtà che ci circonda e che ogni giorno viviamo.

Espongono Dario Tisi, Valentina Pepe, Federico Fasulo, Alessandra Gaito, Anna Rita Palmieri, Edoardo Colace, Loredana Mollo, Carmine Nigro, Raffaele Maiorino, Chiara Lombardi, Claudio Carbone, Lina Crescenzi, Marco Palumbo, Enrico Giampietro, Mary Ciaparrone e Corinna Fumo.

L'inaugurazione si terrà domenica 25 maggio alle ore 17,00 e la mostra resterà visibile dal 25 maggio al 25 giugno 2014 presso il Museo diocesano di Salerno.

Ingresso libero
Tutti giorni orario continuato dalle 9 alle 19, merc chiuso.
 
 

sabato 24 maggio 2014

Luci d’artista, un evento volano per l’economia e il turismo



Il bell'evento  delle luci di Natale di Salerno fa parlare ancora di sé nello scritto di Giuseppe Plaitano








 
 
Il carissimo amico "Peppe"  con un altro suo scritto per  dare  contributo al mio blog", ne aspetto altri ...

Fonte: Il Saggio mensile di cultura ( n.di marzo)
 di Giuseppe Plaitano
docente in discipline economiche e giuridiche
 
Luci d’artista, un evento volano per l’economia e il turismo
 
Si è giunti quest’anno a Salerno ormai all’ottava edizione della manifestazione denominata Luci d’artista che, così come nelle intenzioni dell’Amministrazione comunale, non è una semplice illuminazione a festa delle principali strade cittadine, ma un vero e proprio catalizzatore di eventi spettacolari e culturali, che solo in parte sono legati al tema natalizio.
In particolare l’evento consiste nell’installazione di luci artistiche durante il periodo che inizia da Novembre e termina al successivo Gennaio, utilizzando nelle varie edizioni temi sempre diversi, che hanno reso spettacolari alcuni dei luoghi simbolo della città rendendoli ancor più attraenti dal punto di vista paesaggistico e coreografico, nonché maggiormente animati dai numerosi visitatori che ne apprezzano gli allestimenti fotografando ogni minimo particolare (in totale sono coperti circa 27 km. con le luci).
La Villa Comunale, il Centro storico, piazza Flavio Gioia, piazza Largo Campo, il corso Vittorio Emanuele sono solo alcune delle principali location scelte per offrire, attraverso le luminarie, spettacoli ed ambientazioni svariate. Nel periodo strettamente legato alle festività non mancano i riferimenti ai simboli tipici della tradizione del Natale, come il monumentale albero di ghiaccio ogni anno più imponente e luminoso e la slitta con il Babbo Natale e le renne amati dai più piccini. Ma in altri luoghi è facile imbattersi, in tutto il periodo della manifestazione, in scenografie che riproducono ambienti da sogno e fantastici, quali il tema dell’astronomia, i paesaggi invernali, l’astrologia, gli ambienti dal sapore orientale e finanche riproduzioni di opere artistiche come la Primavera del Botticelli. Il centro storico diventa ogni volta un Giardino Incantato, dove i colori sfavillanti dei fiori (riprodotti tra l’altro con materiali riciclati), conducono il visitatore in una sorta di dedalo di stradine, che fanno scoprire tutte le ricchezze artistiche, i palazzi patronali e le innumerevoli chiese presenti in questi luoghi. Fanno da contorno a questo contesto le botteghe artigiane ed i negozietti che popolano queste strade, rendendo ancor più piacevole le passeggiate serali e che offrono i prodotti tipici del luogo, come manufatti in ceramica, in legno, creazioni artistiche inerenti al Natale (pastori e presepi) e prodotti enogastronomici. Ad arricchire ancor più l’attrazione dell’evento, la collocazione in alcune piazzette e slarghi di una miriade di bancarelle presso le quali è possibile acquistare i regali più originali o i souvenir più particolari.
Contemporaneamente si svolgono una serie di appuntamenti spettacolari collegati e “spalmati” durante l’arco dei tre mesi della manifestazione, nei cosiddetti luoghi contenitori della città. In ambienti e sale dei palazzi patronali (Palazzo Genovesi, Museo dell’arte contemporanea e Palazzo Fruscione) sono allestite esposizioni di arte, pittura e fotografia. Nei luoghi sacri (chiesa di San Giorgio ed il Duomo), che offrono una migliore acustica, si svolgono, invece, concerti di musica classica, tradizionale e natalizia. Meritano un discorso a parte gli eventi musicali all’aperto quando, sfruttando anche il clima gradevole nonostante l’inverno, nelle strade e piazze principali della città si esibiscono, nell’ambito dei festival a tema, gruppi musicali locali e corali provenienti da tutta Italia. Immancabili inoltre le esposizioni di presepi artistici presso i luoghi di culto (Tempio di Pomona, Sala S. Lazzaro) o le sale private, dove sono riprodotti con varie tecniche artistiche i capolavori degli artigiani napoletani e locali.
Connessa alle luci d’artista è la Movida dei giovani salernitani, che s’intensifica nelle giornate della vigilia del Natale e del Capodanno, durante le quali un fiume di ragazzi festanti provenienti da tutta Italia, inonda le strade cittadine a ritmo di musica diffusa dai pub e locali cittadini e raggiunge il culmine con il tradizionale concerto di piazza Amendola di fine anno con ospiti i migliori artisti del panorama nazionale nel campo musicale.
Nel periodo Luci d’artista a Salerno si assiste, insomma, ad un turbinio di emozioni e sensazioni per tutti i gusti che coinvolgono turisti e residenti, che indubbiamente ha non trascurabili risvolti macroeconomici per tutti gli operatori del settore turistico, commerciale e della ristorazione, ma che provoca, sfruttando il traino delle Luminarie, uno stimolo notevole anche per tutti coloro che promuovono ed organizzano manifestazioni ed eventi culturali ed artistici nel centro cittadino.
Giuseppe Plaitano
dal mensile" Il SAGGIO
 
 
 
 
 
 

giovedì 22 maggio 2014

Sapremo mai la verità? Papa Bergoglio non deluderci

 

Papa Francesco che cosa ha di così inconfessabile la sparizione di Emanuela Orlandi?Rammenta e non è il caso che sia io a ricordartelo, che il Signore entrò nel tempio e frusto' i farisei "Sepolcri imbiancati"...Ripeti il gesto e dona la verità a tre famiglie , ma a tutte e tre ...anche se questo dovesse macchiare...la misericordia di Dio sarà generosa, Lui è vita "verità" e luce (Maria Serritiello)  
 
Fonte:Roma.corriere.it
di Fabrizio Peronaci

Josè, travolto e ucciso dal superteste
La madre ricevuta da papa Francesco

Il piccolo morì nel dicembre 1983 nella pineta di Castel Porziano, investito dal furgone guidato da Marco Fassoni Accetti, il fotografo che si è autoaccusato del sequestro di Emanuela e Mirella. La signora Garramon: «Subito le rogatorie»

di Fabrizio Peronaci

 
Papa Francesco incontra la mamma di Josè Garramon, il ragazzino uruguayano di 12 anni investito e ucciso il 20 dicembre 1983 nella pineta di Castel Porziano dal furgone Ford Transit guidato da Marco Fassoni Accetti, il supertestimone del giallo Orlandi-Gregori. Maria Laura Bulanti era tra quanti hanno salutato il pontefice al termine dell’udienza generale. Bergoglio, appena l’ha vista, si è dimostrato affettuoso e intrattenuto con lei, per informarsi sugli eventuali sviluppi. In particolare, il papa ha voluto sapere quale assistenza il Vaticano le stia dando, attraverso gli organi da lui incaricati, per fare luce sul mistero della morte del figlio.
Ricorso in Europa contro i magistrati italiani


La signora ha preannunciato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. «Da quando sono state riaperte le indagini contro ignoti per il rapimento e l’uccisione di Josè - ha detto - la procura di Roma non ha fatto nulla, l’inerzia è totale. Sono amareggiata di compiere questo passo che è contro l’Italia, ma qui non ho avuto giustizia». La vicenda è molto complessa: il caso Garramon è tornato in primo piano in quanto nel marzo 2013 il regista e fotografo indipendente Marco Fassoni Accetti, 58 anni, condannato a suo tempo per omicidio colposo e omissione di soccorso in relazione all’incidente della pineta, si è presentato a Piazzale Clodio e ha confessato di essere stato uno dei rapitori sia di Emanuela Orlandi sia di Mirella Gregori, scomparse nel maggio e giugno 1983. «Ero stato arruolato in un gruppo di intelligence e controspionaggio - ha messo a verbale il supertestimone indagato - formato da laici ed ecclesiastici , per lo più francesi e lituani, che si opponevano alla linea anticomunista di Wojtyla e alla gestione dello Ior guidato da monsignor Marcinkus. Le due ragazze furono prese per indurre il terrorista Agca a ritrattare le sue accuse ai bulgari di complicità nell’attentato dell’81. La figlia del messo pontificio fu scelta per ricattare il Vaticano, che avrebbe dovuto chiedere la grazia allo Stato italiano. L’altra ragazza per fare pressioni sul presidente Pertini». Partendo da questo duplice rapimento, attuato con l’inganno e la complicità di alcune amiche, ideato perché durasse poche ore, ma poi sfuggito di mano, come si arrivò al coinvolgimento di Fassoni Accetti nella morte del piccolo Josè?
L’indagato: «A Castel Porziano la Orlandi era in un camper»

Marco Fassoni Accetti, superteste indagato
Marco Fassoni Accetti, superteste indagato

La spiegazione resa dall’indagato in Procura non è mai emersa e il Corriere è in grado di rivelarla. Il 20 dicembre 1983 era la vigilia dell’uscita dal carcere di Serguei Antonov, il caposcalo della Balkan Air arrestato nell’ambito della cosiddetta «pista bulgara», che nel 1986 sarà assolto dall’accusa di aver aiutato il Lupo grigio a compiere l’attentato in piazza San Pietro . «Noi avevamo saputo della concessione dei domiciliari ad Antonov - ha messo a verbale Marco Fassoni Accetti - e questo per il mio gruppo rappresentava un risultato positivo. I vertici , a noi elementi operativi, chiesero quindi di interrompere le pressioni in corso nella pineta, nei pressi della villa del giudice Santiapichi, che era in predicato di presiedere proprio il processo contro la delegazione bulgara». Di quali azioni di «disturbo» si sarebbe trattato? «La Orlandi era con alcune nostre ragazze in un camper da tempo posizionato nei pressi della villa. Le avevamo fatto delle fotografie, senza spiegarle il reale motivo. Le pressioni, più che alla persona del giudice, erano rivolte ai suoi familiari, in particolare la figlia, e a funzionari del ministero di Giustizia, con riferimento alla composizione della futura giuria di Corte d’assise». Marco Fassoni Accetti, insomma, quella sera stava andando nella pineta per dire ai suoi sodali che era ora di «smobilitare». «Il camper doveva lasciare immediatamente la zona ed Emanuela Orlandi essere portata a Roma, nell’appartamento già usato per lei nel quartiere Monteverde».
«Mi feci arrestare per entrare a Rebibbia, dove c’era Agca»

Durante l’azione di spionaggio, però, accade la tragedia. Alle 19.20 del 20 dicembre 1983 Josè Garamon viene travolto dal Ford Transit in viale di Castel Porziano. «A bordo del furgone c’eravamo io e una ragazza tedesca, fiancheggiatrice della Stasi, da noi chiamata Ulrike, già presente , mesi prima, al momento dei prelevamenti di Mirella ed Emanuela». I due si divisero, lasciando il corpo del ragazzino sul ciglio della strada. Marco Fassoni Accetti andò a Roma in autobus e in piena notte tornò di nuovo in pineta, con una sua amica, Patrizia De Benedetti, nell’ambito di un progetto preciso: farsi arrestare, come poi avvenne alle 4, a poche centinaia di metri dalla villa di Santiapichi. «Il piano fu deciso quella notte. Io sarei dovuto entrare in carcere il giorno dopo, a Rebibbia, dove c’era anche il signor Agca - ha dichiarato ai magistrati Giancarlo Capaldo e Simona Maisto - e, attraverso un agente penitenziario corrotto, diffondere la voce che ero stato inviato dal Kgb per ucciderlo, se non avesse ritirato le calunnie contro la delegazione bulgara. Analoga minaccia , stavolta trasversale, doveva riguardare la sorella di Agca, Fatima, che promettemmo di voler raggiungere in Turchia e uccidere, come il Garramon, tramite un finto incidente stradale». In pratica, secondo questa ricostruzione, il nucleo occulto operante all’ombra del Cupolone si «impossessò» della morte (fortuita) del piccolo Josè per rafforzare le pressioni su Agca
La madre di Josè: «Il Vaticano vuole fare piena luce»

Josè Garramon
Josè Garramon

La mamma del ragazzino replica che «già il processo contro Accetti fu pieno di buchi, l’autopsia fatta su mio figlio è sparita» e oltretutto, oggi, «dalla Procura mi dicono che sarebbe inutile inoltrare rogatorie, in quanto non andrebbero a buon fine. Ma a me non risulta». E’ su questo aspetto che si innesta la novità dell’incontro all’udienza del mercoledì con papa Francesco. «Mi chiedo perché non venga fatta una richiesta formale di collaborazione al Vaticano - incalza Maria Laura Bulanti - dove, da parte mia, ho avuto rassicurazioni sulla volontà di fare luce». Il giallo Orlandi-Gregori, dunque, torna in primo piano in via indiretta: mentre il pontefice argentino sta ancora valutando se accogliere la richiesta di incontro a lui inoltrata più volte da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, la signora Garramon dichiara di aver già strappato, direttamente a Bergoglio o a qualche suo collaboratore, la promessa che la Santa Sede non si opporrà alle rogatorie. Nell’ambito dell’istruttoria che coinvolge Marco Fassoni Accetti, è pendente dallo scorso novembre in Procura la richiesta di audizione testimoniale di monsignor Pierluigi Celata, vicecamerlengo, che fu direttore del collegio San Giuseppe De Merode frequentato dall’indagato, e del cardinale Audrey Backis, franco-lituano, indicato come uno dei prelati «di riferimento» della fazione vaticana che si opponeva alla politica di Karol Wojtyla. Uno dei più inquietanti misteri del secondo Novecento torna insomma alla ribalta. Con una domanda preliminare, per restare a Josè, alla quale ora i magistrati devono tentare di rispondere: chi condusse il bambino in pineta e da cosa fuggiva il piccolo quando, correndo in mezzo alla strada, fu investito dal furgone? Giallo riaperto, e stavolta l’interesse di papa Francesco rafforza la speranza delle famiglie.

 
 
 
 
 





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martedì 20 maggio 2014

“Riflessi e Riflessioni” expo d’arte contemporanea II edizione



Sabato 24 Maggio alle ore 19,30
Palazzo Genovesi,
nel pieno centro storico della città di Salerno,
verrà inaugurata

La II edizione dell’Expo d’Arte Contemporanea promossa e curata dall’associazione Avalon Arte dal tema
                                           “Riflessi e Riflessioni”

L’interessante iniziativa, patrocinata dal Comune di Salerno, è certamente da segnalare sia per la qualità degli artisti presenti che per il tema affrontato. Iconografie immaginarie, dissertazioni poetiche dell’inconscio, fantasie, denunce politico- sociali espresse e rappresentate dai singoli autori in vari e differenti aspetti , forme e linguaggio.

 A presentare la rassegna il giornalista Rosario Ruggiero, intervento dell’assessore al turismo Avv. Vincenzo Maraio.

 Le opere dei 16 artisti saranno fruibili fino al 2 giugno, tutti i giorni dalle ore 10,30 alle 12,30 e dalle 17,00 alle 21,00. Ingresso gratuito

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Espongono: Maria Eterna Baratta, Donatella Blundo, Tommaso Campagnuolo, Anna Ciufo, Antonietta D’Amico, Mena D’Antonio, Adriana Ferri, Cono Giovanni Giardullo, Biagio Landi, Marco Petillo, Marta Cecilia Quintana, Paola Siano, Anna Rago, Cristiano Rago, Francesco Tortora, Santino Trezza.

 Allestimento a cura di Giovanni Memoli.
Addobbo floreale a cura di Floraesposito srl di Salerno


Come nasce un capolavoro – Psycho e il genio di Alfred Hitchcock



Fonte:Retrospettiva.com

scritto da il
 
Quella scena dura solo 45 secondi, ma occorsero sette giorni di lavorazione, 72 posizioni della macchina da presa. L’accoltellamento dura 22 secondi per un totale di 35 inquadrature e in nessuna di queste si può vedere il coltello affondare nel corpo di Marion; è il montaggio serrato che fa supporre allo spettatore quello che non si vede, ogni coltellata è un taglio del montaggio, in questo senso un “taglio” vero e proprio!

Janet Leigh così raccontava quella scena, quell’urlo dietro la tenda che è forse la scena più famosa della storia del cinema.
Quell’agosto del 1959 Sir Alfred aveva il contratto in scadenza con la Paramaount a cui doveva un ultimo film. Prima di partire per l’Inghilterra per le vacanze, la sua segretaria Dolores gli regalò un libro di cui si diceva un gran bene, un Horror di Robert Bloch: Psycho, che si ispirava ad un fatto realmente accaduto nel Wisconsin qualche anno prima.
Il viaggio era lungo e Hitchcock era un allenato lettore, quando arrivò a Londra telefonò alla Paramount e disse “ Abbiamo la storyline per il film!”.

In realtà il libro di Bloch era davvero cruento, la donna sotto la doccia veniva addirittura decapitata. No, non era lo stile di “Hitch”, ci voleva uno sceneggiatore che riscrivesse la storia, la modellasse per lo stile del Maestro e che potesse passare la dura censura americana, che in quella scena avrebbe storto il naso per due motivi, il sangue rosso avrebbe avuto zero possibilità di passare la censura e il fatto che la doccia Janet Leigh doveva farla logicamente nuda.

Lo faremo in bianco e nero” spiazzò tutti Alfred. Si pensò soltanto al fatto che il sangue sarebbe stato più soft, ma in realtà l’idea del bianco e nero in epoca di grande entusiasmo per il colore nascondeva nell’artista una sua visione gotica, espressionista.
Del resto Hitchcock a Berlino prima della guerra fu o non fu l’assistente niente di meno che di Murnau in “ L’ultima risata”?

E le nudità? “ troveremo una soluzione”.

Per la sceneggiatura fu scartato James Canavagh, proposto dalla Paramount ma che Hitchcock e signora (assistente occulta del Maestro) definirono noioso, per questo “Hitch” scovò il giovanissimo Joseph Stefano, che non si lasciò sfuggire l’occasione della vita. Stefano spiazza il Maestro, lesse il libro e al primo incontro gli disse che questo film aveva una protagonista, cioè la vittima! Rovesciare il plot narrativo quindi, questa la sfida e scriverlo dal punto di vista di Marion e non del suo assassino; Marion,  che ha una relazione complicata, in un attimo di follia ruba i soldi al lavoro, Marion che scappa, si perde, incontra Norman si rende conto di quanto può esser brutta la vita in solitudine e allora decide di restituire i soldi. Deciderlo la rasserena, si sente meglio, fa una doccia purificatrice e allora… Ecco che entra la morte dietro quella tenda a sconvolgere tutto e a trasferire la scena verso “l’altro”. A Hitchcock piacque cosi tanto che le sue prime parole fu” dobbiamo farla fare ad una vera Star” .

Stefano lo aveva convinto, la protagonista era la vittima non l’assassino. Una novità incredibile per l’epoca. Il rapporto con lo sceneggiatore fu subito speciale, si vede da come poi il film fu scritto, non si parlò più del libro da cui si era preso spunto, i personaggi agivano secondo altri impulsi, che venivano in mente a loro due.

Nel libro Norman Bates è un uomo di mezza età, sovrappeso e senza nessuna qualità, Stefano riuscì a creare un uomo diverso, vulnerabile triste e di cui nonostante tutte le sue misteriose azioni presagio di follia se ne potesse provare compassione.
E dopo aver letto il personaggio Hitch disse ” che ne dite di Tony Perkins?”

Janet Leigh invece fu scelta tra le grandi star solo perché lei era cosi felice di lavorare con Hitchcock che non si preoccupò di morire nel primo tempo…E fu la sua fortuna.

Il resto del Cast fu scelto con cura, ma il difficile fu mantenere il segreto sul fatto che la mamma di Norman non esistesse in realtà, qualcuno si sarebbe potuto vendere la notizia, rovinando di fatto tutta la storia e il genio di Sir Alfred decise di spargere la voce che cercava una attrice per il ruolo della madre di Bates, cosi che nell’ambiente e tra i giornalisti nessuno sospettò di nulla.

Saul Bass era il “Picture assistant” di Hitchcock, i titoli di testa e di coda furono suoi, ma soprattutto disegnò benissimo tutta la scena della doccia, suggerì ogni inquadratura tanto che si sparse la voce ( o la fece spargere lui apposta) che l’avesse materialmente diretta. Ma Alfred Hitchcock mai avrebbe fatto dire un “ciack azione” a nessuno, in nessun film. Figuriamoci in una scena come quella!

La scena girata in uno spazio di quattro metri per quattro, con una controfigura completamente nuda soltanto per esser usata nel controluce della tenda, in cui Janet Leigh coperta di un pareo di seta bianco aderentissimo che copriva le parti intime non poteva fare. Fu scelta una certa Marli Renfro, che era una spogliarellista famosissima, che girò nuda per una settimana nel set, per la gioia di tutti i cameramen e i tecnici, beccandosi una mezza polmonite visto che l’acqua della doccia era sempre aperta.

Si diceva del segreto del film (la Signora Bates che è in realtà già morta ma che si scopre solo alla fine), ebbene, come salvaguardare la sorpresa a tutti?

Hitchcock aveva una risposta per tutto: pretese di non far entrare nessuno al cinema a film iniziato, perché diceva “chi entra dopo la scena della doccia non trovando Janet Leigh si chiederà dove sia”. E fu un successo, vietare l’ingresso “anche alla Regina d’Inghilterra”, come recitava il cartello della presentazione spingeva la gente ancor più ad andare a vederlo. Non si fecero “prime” per la stampa, neanche quelli che ci avevano lavorato lo videro, se non al Cinema. Lo stesso Joseph Stefano, che pure il film lo aveva scritto, raccontò che per vederlo con la sua famiglia andò al Cinema a Los Angeles, fece la fila come tutti e quando vide quello che erano riusciti a fare in quella scena della doccia gridò di paura come tutti in sala!
Era riuscito a sconvolgere il pubblico e ad entrare nella Storia.

Francois Truffaut di questo film che adorava diede la spiegazione migliore, che le racchiude tutte!  “Il film è fatto talmente bene che può indurre il pubblico a fare qualcosa che ormai non fa più – urlare verso i personaggi, nella speranza di salvarli dal destino che è stato astutamente lasciato intuire li stia attendendo. Il pubblico all’inizio teme per una ladra, poi nelle scene della pulizia della stanza del motel e dell’affondamento della macchina nella stagno teme che l’assassino non riesca a cancellare le tracce della morte della ragazza, nel finale desidera che sia catturato e costretto a confessare per conoscere il segreto della storia. Lo spettatore suo malgrado parteggia per i colpevoli e prova pietà per quel povero Norman, che (citando la scena finale) non farebbe male nemmeno ad una mosca”.
Grazie di tutto Sir Alfred.