Quando si fondono i gusti in cucina, tra quelli del nord e quelli del sud, il risultato è eccellente.
L'Oresgnazza è il dolce del nord che è arrivato fino al mio palato, attraverso la bravura di Zia Mary.
Nella mia famiglia il nord, cioè Fiume, oggi Rieka, è stata una costante presenza, là ha vissuto la più bella giovinezza mia madre Bianca, là si è sposata, nel Duomo, mio padre Alfredo, andato apposta da Salerno a prendersela, per riportarla nella sua terra. Lei era nata, come tutta la sua famiglia, in provincia di Napoli, Casalnuovo, ma aveva vissuto parte della sua vita nella bella città mitleuropea. Sicché nella mia casa accanto agli struffoli, "o tortano bruscenato"i casatielli , i taralli e le pastiere, si sono sempre uniti strudel e palacinke. Ma veniamo "Oresgnazza " un dolce di una prelibatezza unica ad esclusivo appannaggio di Zia Mary, la moglie di Zio Carmine, il primo fratello dei 7 di mia madre, nata a Veglia, oggi Krk , nell'ex dalmazia..Proprio oggi è sulla mia tavola della vigilia, zia Mary, nonostante l'età, non ha fatto mancare la tradizione.
Per quanti volessero cimentarsi ecco la ricetta fotografata dagli appunti che la zia ha gelosamente conservati
Ciò che piace, ma proprio tanto, di Maurizio
de Giovanni, ad ogni suo incontro e quello del Giullare non fa eccezione, è
l’aria scanzonata con la quale approccia il pubblico, battuta pronta, dialogo
vivace e rispetto per chi gli sta di fronte. Un anti personaggio, senza le
fisse e le manie convulse di chi ha raggiunto il successo. Bravo.
Maurizio ha avuto l’ incontro fatale con la
scrittura da un tiro burlone dei suoi amici, i
quali, come dice spesso raccontandosi e quasi a scusarsi, lo iscrissero ad un concorso
per scrittori di gialli, considerata anche la sua passione per tale genere. Se
oggi, però, dopo il successo, Maurizio ha esigenza di comporre, per vizio
attaccatosi addosso, lo vuole fare nel modo più naturale possibile, mantenendo
intatta la sua vita, la sua passione per la squadra del Napoli, il suo amore
per la città, il suo modo di essere padre, marito, uomo del quartiere e
compagno dei suoi amici. Non due vite parallele, quella di scrittore e di uomo,
ma una sola, in cui ogni volta travasa un po’ dell’una nell’altra. Le sue
trame, infatti, non sono mai cronaca secca di uccisioni ma lo spunto per scrivere
della sua anima, delle sue passioni, racconti filtrati dai suoi occhi, dalla
sua psiche.
Con
questa premessa, all’appuntamento del venerdì “Incontro con la scrittura”, che
da quest’anno il Teatro del Giullare porta avanti con successo, si è presentato
Maurizio de Giovanni, per proporre la sua nuova creatura, “Buio”. Il clima è di
assoluta familiarità con il piccolo
teatro trasformato in un salotto, un po’ più allargato, nel quale, lo si
capisce subito, circola amicizia benevola. Si assiste e con vero piacere all’informale,
bene così, ma sostanziale presentazione del simpatico toscano, suo amico, Luca
Badiale e si ascolta rapiti la lettura di alcune pagine interpretate con trasporto da
Brunella Caputo, Davide Curzio, Cinzia Ugatti, Amelia Imparato, Caterina
Micoloni, Augusto Landi e Rocco Giannattasio.
“Batman, Batman”, irrompe la voce
inconfondibile di Davide Curzio per trasferirci nel buio pesto di Dado, il bambino rapito della trama.
(I
Bastardi di Pizzofalcone, guidati dal commissario Palma, vengono chiamati per
indagare su un nuovo caso difficile. La situazione è estremamente delicata,
perché riguarda il rapimento di un bambino. Lui ha otto anni ed è il figlio di
un imprenditore che gode di grande fama. Gli agenti Romano ed Aragona iniziano
ad indagare sulla vicenda, cercando di individuare elementi utili che possano
ricondurre all’autore del rapimento e alla conseguente liberazione del bambino.)
E
così il “Buio”, sottolineato dall’ottima scelta musicale di Virna Prescenzo ,
s’impossessa del teatro, un tutt ‘uno di respiri, di silenzio, di attenzione e desiderio di
penetrare fino in fondo i personaggi della trama. Maurizio ascolta sorpreso, meravigliato
egli stesso delle sue parole scritte,
gli attori, ebbene sì, hanno
trasformato, anche per lui, in magia, ciò che ha elaborato in solitudine.
E
quando le parole pregnanti di presentazione dell’ottimo Luca Badiali portano Maurizio e la nuova
avventura dei Bastardi di Pizzofalcone,i sei poliziotti che operano a Napoli, al centro della
scena, si capisce subito che la serata avrà una svolta confidenziale, perché
Maurizio ha esigenza di trasferire se stesso in persone che vede là di fronte. “La
nuova trama dei Bastardi di Pizzofalcone vede la sua genesi” dice “ perché ho
sempre avuto nel cuore di ripercorrere le orme di Ed McBain, famoso giallista e sceneggiatore americano, di
origine italiana, infatti era figlio di immigrati italiani originari
di Ruvo del Monte, Potenza. “Ed
McBain”, continua, “scrisse le storie dell’ottantasettesimo distretto,
capovolgendo la mappa di New York, per cui nelle storie entrarono i ceti
sociali meno abbienti, con la loro vita quotidiana. Un posto dove si può fare
la stessa operazione è Napoli, ed io l’unico, o altri giallisti napoletani, a
poterlo fare”. Ed ancora “io scrivo per immedesimazione non sono distaccato
come gli scrittori veri, per cui stare dietro alla storia del bambino rapito mi
ha comportato atroci sofferenze.” Con semplicità passa a parlare di sport che ha un solo nome, “Napoli” e di
come ha sistemato e con signorilità, tutta partenopea, il ruvido Matteo Salvini,
a proposito dei cori di sfottò. Luca Badiali lo riporta a parlare delle sue
trame e lui lo fa con piacere, ma non per autocelebrarsi ma perché parlare gli
piace come quando va dal barbiere o a passeggiare nel quartiere.
Scrivere
di Napoli, l’ambientazione dei suoi racconti, senza che la sua aria dolce ti
soffi sul viso, non è concepibile ed ecco la lettura di “Maggio” spargersi
intorno attraverso le dolcissime voci di Brunella Caputo, Cinzia Ugatti, Amelia
Imparato e Caterina Micoloni, unite a quelle più ruvide di Augusto Landi e Rocco
Giannattasio, mescolate al “Buio” e alla possente voce di Davide Curzio. Prima
che la serata abbia termine, Maurizio de Giovanni regala, quale prezioso dono,
la lettura di un toccante racconto. Due personaggi, l’amore infinito e il
distacco impossibile.
Grande
Maurizio, con le tue storie intense ed intimiste, scrivi anche per noi che non
sappiamo farlo, torna presto e raccontaci ancora.
Trova portafoglio con 5 mila euro e lo consegna al Sindaco per far si che vengano devoluti ai più poveri
Protagonista del nobile gesto, un operaio 56enne delle provincia di Vicenza
Un operaio 56enne di Lugo, in provincia di Vicenza, ha trovato per terra un portafoglio con 5 mila euro e lo ha consegnato al sindaco della città, in modo tale che l’amministrazione potesse ricavarne il premio per il ritrovamento e devolverlo ai più bisognosi.
Una storia in perfetto clima natalizio, accaduta venerdi scorso quando l’uomo, di ritorno a casa con il suo motorino, ha notato il portafoglio per terra:
“Mi sono fermato con la moto, l’ho raccolto e dentro c’erano 5 mila euro. Ero incredulo. Sul momento ho pensato di andare dai carabinieri. Poi mi sono detto che avrei potuto fare due regali di Natale, uno a chi ha perso il denaro, e un altro a chi è meno fortunato”
Ai giornali locali l’uomo ha dichiarato quindi di essersi recato in comune e di aver consegnato il portafoglio al vicesindaco pregandolo di informare la polizia:
“So che il Comune si impegna ad aiutare le persone bisognose Ricordandomi che per legge spetta il 5%, ho pensato che in un momento di crisi fosse giusto destinare il premio per il ritrovamento a chi è in difficoltà. A me non interessava la ricompensa, sono molto più felice di poter fare qualcosa di buono per la comunità e visto che leggiamo sempre di furti e truffe, ogni tanto può far piacere anche vedere un esempio positivo, soprattutto per i giovani.”
Ciò
che disturba di “Mulignane”, il pezzo portato in scena da Gea Martire, al
Teatro del Giullare di Salerno, il sette e l’otto dicembre scorso, è che la
presa di coscienza della protagonista sia dovuta passare attraverso la
brutalizzazione del proprio corpo.
Non
avere un nome, in una storia, è già indice di nullità e nel caso della
protagonista di “Mulignane”, è una certezza. La donna in questione è brutta ma
proprio brutta assai, occhiali spessi, nessuna grazia, vestiti senza gusto,
piena di malattie psicosomatiche e con l’aggravante che manca di un uomo al suo
fianco. Ha un lavoro che non la soddisfa, per via della prepotenza e la non
curanza del proprietario dell’agenzia pubblicitaria e di Carmela, l’altra
impiegata. E’andata a vivere da sola in una casa per proprio conto, ma sua
madre, avendo le chiavi, piomba e fiuta ogni traccia che potrebbe rivelarle la
presenza di una relazione. Ha anche due amiche, Anna Maria e Olga, accasate,
con le quali si vede ogni giovedì, quando si liberano dai mariti e con le quali
parla, ovvero loro parlano di cucina, di figli, di faccende domestiche e di
sesso, argomenti, i primi di nessun interesse per lei, dell’ultimo senza nessun
riguardo per il suo stato di “zitella”, ma tant’è almeno il giovedì pratica uno
straccio di vita sociale. Tutto è meglio di niente, perfino le “mulignane”,
quei segni lividi sul suo corpo, comprensivi di altri nell’anima. Quando appare nella sua vita
Peppino, il commesso dei pacchi, tutto sembra capovolgersi, anche lei ha un
uomo che però si rivela, di una volgarità estrema, dal sesso spinto, sadomaso e
feticista, ma la sua esistenza
finalmente viene ad essere omologata a quella degli altri. I loro
incontri sono una sequenza di vessazioni alle quali è costretta a sottostare,
tra lacrime e insostenibili dolori, e per esaltare le voglie e l’eccitazione
del mostro è costretta a dire “ Si, vatteme, famme male”. Capita però, che
l’esercizio alla sofferenza, fortifica e i ruoli si ribaltano e le “mulignane” diventano
ruoti di parmigiane bollenti per la vendetta finale, diversa dal solito che è
un piatto servito freddo.
Gea
Martire è l’assoluta, l’immensa interprete del monologo scritto da Francesca
Prisco, per la regia di Antonio Capuano. La donna da lei caratterizzata è
l’ennesima sua prova d’artista, sia per come l’interpreta e sia per come la presenta:
occhiali fondo di bottiglia, calati sugli occhi, maglietta grigia su di una
gonna longuette avion e capelli sciattamente tirati indietro, ritratto della
perfetta zitella. Il monologo ha inizio dal giorno del suo compleanno, uno in
più per sommarlo a tutti i suoi fallimenti ma soprattutto alla maledizione di
non avere un uomo accanto, secondo cui la discriminazione di essere donna è
doppia. Considerata poco più di un reietto, a cominciare dalle stesse del suo
genere, per finire alla madre, si consegna vittima immolata, non salvaguardando
nessuna parte di sé. Man mano che il racconto va avanti, sul viso e sul corpo
di Gea, si attaccano con crudezza gli infelici stati d’animo della povera donna.
La sua recitazione è così vera, da non sembrare tale, quando in cerca d’amore,
quello romantico, non trova altro che sesso brutale. La sottomissione alle voglie estreme dello zotico, prepotente e
volgare Peppino seguono la logica della
poca considerazione di se stessa, che
mai nessuna una donna dovrebbe avere. Il prezzo da pagare per una passeggiata o
per un incontro furtivo è alto e Gea, viso e corpo, ce lo mostra, mimando
drammaticamente il sesso rude, sbrigativo e crudele, subito dall’infame. E così,
come se il rozzo grossolano fosse in palcoscenico, per cui la voglia di
massacrarlo è prepotente, la brutalizza, la prende da dietro, l’incatena, la
picchia selvaggiamente e la lascia sfinita. In scena, Gea Martire, sul puf
circolare, si contorce dal dolore, si leva a stento, le membra tutte un livido,
una sequenza quella dello stupro di un
realismo così crudo, da scardinare l’animo di chi assiste. Un’interpretazione
stupenda ed amara, dalla quale ogni donna non può che uscirne sconfitta,
oltraggiata e svilita. Lo stato di soggezione in cui è caduta, nausea, prende
alla gola e rende furibondi e se questa è la provocazione dell’autrice,
tematica per altro non originale, è riuscita in pieno. I cambi di voce per
rappresentare lui e i balbettamenti per l’insicurezza di lei sono la conferma della bravura dell’attrice
molto apprezzata dal pubblico del Giullare. Nella prima parte del testo, ci
sono battute anche divertenti ma successivamente le risate si fanno amare e se
c’è qualche risolino ammiccante in sala, non è certo dovuto a donne, l’inserimento del dialetto di tanto in tanto, poi, rendono efficace ed agevole il monologo. La
gestualità, la mimica facciale e l’espressività del corpo, splendida la
trasformazione finale di Gea alla “Gilda”, nell’abitino rosso avvitato e chioma
leonina, sono uno splendido corollario alla sua interpretazione. La scena arredata semplice è al buio, con un
grosso puf rosa al centro e un
appendiabito a vista, dietro il quale Gea si veste e si spoglia nei veloci
cambi d’abito.
Eccezionale,
Gea, come sempre, come ogni volta nel rappresentare l’universo femminile.
"È tempo di coprirsi, non dimenticate di indossare la sciarpa più calda che avete. Meglio se realizzata a mano, all'uncinetto". Potrebbe essere questa l'ideale didascalia o sottotesto delDoodle animato di oggi, 21 dicembre 2013, dedicato al "Primo giorno d'inverno", con relativo link diretto alla ricerca "Solstizio d'inverno".
Oggi, dunque, assisteremo allanotte più lunga dell'anno e si darà inizio a quel percorso che terminerà astronomicamente con l'equinozio di primavera. Il sitoMashable, a questo proposito, svela alcune curiosità connesse al solstizio. Tra queste:Ricade oggi, alle 18.11, infatti, quel fenomeno atteso due volte l'anno che corrisponde al momento in cui il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l'eclittica, il punto di declinazione massima o minima. Nell'emisfero boreale, il primo si verifica nel mese di giugno con il valore massimo di declinazione positiva; il secondo con declinazione negativa in inverno. L'appuntamento segna anche l'inizio della stagione estiva o invernale, almeno in senso astronomico.
- L'inverno meteorologico è iniziato almeno tre settimane fa;
- Ogni anno l'orario del solstizio cambia di circa sei ore ed è per questo che sono stati introdotti gli anni bisestili, funzionali a recuperare il ritardo accumulato di 24 ore ogni 4 anni;
L’intelligenza canina e la capacità di comprendere il comportamento umano sono il frutto di una selezione naturale, ma anche di un lungo cammino fatto insieme
L’uomoindaga da millenni il comportamento dei cani ed è da essi a sua volta indagato, scrutato e compreso. Il legame fra uomo e cane è antico ed è stato favorito dalla capacità di questi ultimi di digerire gli amidi che ha dato loro la possibilità di essere addomesticati.
Ora, una ricerca condotta dall’Abertay University di Dundee, ha gettato una nuova luce sui legami emotivi e di affetto che si creano fra l’uomo e il cane.
La ricerca è durata 18 mesi su 24 cani divisi in tre gruppi: 1) addestrati, 2) addestrati domesticamente, 3) randagi. Il team di lavoro coordinato dalla docente Clare Cunningham ha scoperto che la capacità di prevedere i nostri comportamenti non è solamente innata, ma si accresce di generazione in generazione. Il comportamento dei cani si fa, dunque, più raffinato.
I cani hanno accettato gli uomini come loro partner sociali, grazie al processo di addomesticazione e, per questa ragione, hanno affinato, sempre di più, la capacità di interpretare il loro comportamento. Ma l’aspetto più sorprendente e meno indagato è che queste abilità possono essere trasmesse da una generazione a quella successiva, con un progressivo miglioramento delle capacità di comprensione. Lo studio mostra come la risposta agli ordini sia svincolata dall’addestramento, ma connessa al grado di familiarità che il cane ha con il proprio padrone. Come si è giunti a questo “patto” fra uomo e animale? Da una parte con unaselezione naturale che ha provocato un’evoluzione genetica, dall’altra con un percorso comune che ha permesso ai cani di perfezionare queste abilità con l’esperienza. Se un cane ci riporta un bastone non è una questione di addestramento, ma una questione di affetto, un legame emotivo su cui la scienza non potrà, comunque, mai dirci abbastanza.
Un video veramente bellissimo che riassume come siamo diventati grazie all’uso eccessivo dei cellulari.
Al giorno d’oggi penso tutti hanno un cellulare, magari anche due. Ma pensandoci attentamente, per cosa lo utilizziamo? Siamo diventanti schiavi di esso? Ormai la parola cellulare è a dir poco antica, nel senso che è stata sostituita con la più cool “smartphone”.
Si potrebbe dire che l’uso del cellulare sia diventato quasi un ossessione. E’ inutile mentire. Ci sono persone che lo portano ovunque, anche quando vanno a dormire, magari sotto al cuscino o vicino al comodino. Ebbene si, il cellulare è diventato quasi più di un amico. Ma fondamentalmente, è assolutamente necessario trascorrere una buona fetta della propria vita con questo amico immaginario?
Ecco il perchè di questo video, “I forgot my phone”, diventato a dir poco virale, che ci mostra, per l’appunto, come è cambiata la nostra vita da quando siamo in ‘balia’ dei nostri cellulari!
Particolarmente versatile e fecondo, esordì con opere di impegno sociale osteggiate dalla censura dell'epoca.
Nelle sue commedie, molto rappresentate all'estero (in Russia, per esempio, Classe di ferro e Farfalla... farfalla sono considerate quasi dei classici e vengono continuamente rappresentate), seppe sperimentare diversi stili, passando con disinvoltura dalsimbolismo al neorealismo, dal surrealismo al teatro dell'assurdo.
Le commedie di Nicolaj sono caratterizzate da una critica ironica del modo di vivere contemporaneo, attraverso la descrizione della classe borghese e piccolo-borghese colta nella sua vita quotidiana.
È stato anche apprezzato traduttore di opere teatrali straniere, soprattutto dal francese (Anouilh, Claudel,Duras)
Commovente Reazione di un Leopardo quando Scopre il Cucciolo della sua Preda
Lui è un predatore – un killer elegante e furtivo. Si avventa sulla sua preda e la uccide con un colpo di zampa. Poi, all’improvviso, qualcosa si muove tra la pelliccia dell’animale morto, e la legge della giungla viene riscritta. Vede strisciare fuori dalla sua vittimaun minuscolo neonato – un babbuino che ha solo un giorno. In quel momento, il giovane leopardo dimentica di essere un cacciatore, eaccudisce il piccolo babbuinocome se fosse il suo cucciolo.
All’odore del sangue, un branco di iene si riunisce per banchettare. Legadema, come è stato chiamato il leopardo dalla troupe che ha fatto il video, porta con attenzione il baby babbuino su un albero, si dimentica della sua preda, ora è prioritario proteggere il cucciolo. Lì, coccola il neonato e cerca di dargli calore durante la lunga notte africana. “E’ stato come se la natura avesse ribaltato completamente la situazione“, spiega Dereck Joubert, un regista che ha seguito Legadema per tre anni e mezzo nel suo habitat naturale, il Delta del Botswana, tra le pianure alluvionali verdeggianti note come Africa’s Garden of Eden.
“Lei aveva ucciso la madre, ma poi abbiamo visto il piccolo babbuino appena nato sul terreno, continua a raccontare Dereck. – Stava strisciando e abbiamo pensato che stavamo per assistere alla sua uccisione, invece il neonato si è diretto verso il giovane leopardo. Legadema si è fermata per un attimo, a quanto pare non sapendo cosa fare. Poidelicatamente lo ha preso in bocca tenendolo per la collottola e lo ha portato su un albero per tenerlo al sicuro“. I babbuini sono acerrimi nemici del leopardo, e una delle loro principali fonti di cibo, ma Legadema – la parola locale che sta per “la luce dal cielo” – con la piccola scimmietta non è stata predatrice, ha prevalso il suo istinto materno.
La troupe ha vegliato tutta la notte. ”Diverse volte, il baby babbuino è caduto dall’albero, – afferma Joubert. -Ogni volta, Legadema correva giù per prenderlo prima che arrivassero le iene e lo riportava al sicuro sull’albero. Il babbuino avrà chiaramente visto Legadema come una madre surrogata. Per diverse ore non si è mossa da lui.Legadema era come un gatto in cerca del proprio gattino, piuttosto che un predatore con la sua preda. Era attratto dal cucciolo curioso, faceva la parte della madre, e si è dimenticata che era una cacciatrice. E’ stato davvero straordinario e molto commovente da vedere….“.
Tragicamente, quando è arrivato il mattino, la squadra si è accorta che il piccolo babbuino non dava segni di vita. ”Pensiamo che era semplicemente troppo piccolo per sopravvivere alla notte senza la madre naturale e il sostentamento che gli avrebbe dovuto fornire“, afferma Joubert. ”Quando è sorto il sole, Legadema si è resa conto che il baby babbuino era morto e gli è rimasta vicino ancora per un po’“. Dereck Joubert ha osservato questa scena durante le riprese per un documentario sulla fauna selvatica, ‘Eye Of The Leopard‘ -L’Occhio del Leopardo, che segue Legadema dalla nascita all’età adulta. ”Ci siamo imbattuti in un leopardo con il suo cucciolo che aveva circa una decina di giorni e abbiamo pensato di documentare la sua crescita fino all’età adulta dopo aver deciso di chiamarla Legadema, – spiega. – Stavamo riprendendo il leopardo quandoquesto piccolo cucciolo adorabile ha tirato fuori la testa dalla tana. Forse era la prima volta che si stava avventurando nel mondo esterno, ci ha immediatamente conquistati, cadeva in continuazione come se fosse ubriaca“.
Sul finire del loro progetto, la troupe che stava facendo il documentario ha lasciato che Legadema seguisse le sue orme in natura – ma di tanto in tanto vanno ancora a cercarla. Joubert aggiunge: “Abbiamo appena saputo che lei avrà presto un cucciolo di cui prendersi cura, proprio come quella minuscola creatura che aveva accudito con tanto amore“.
APPASSIONANTE, DIVERTENTE, ECCITANTE, IRRIVERENTE, UNICO, INIMITABILE, ASSOLUTAMENTE INNOVATIVO... gli aggettivi che il pubblico ha usato per descrivere lo spettacolo dei Malgrado Tutto a Salerno!
questo è ciò che Manuel e Davide si aspettano di leggere sulle maggiori testate giornalistiche il giorno dopo la prima del loro show!
i MALGRADO TUTTO il duo comico che mancava... ma del quale nessuno sentiva la mancanza! 20 e 21 Dicembre ore 21 Ingresso € 10.00 INFO 089 233998/327 4934684 botteghino@teatroridotto.com http://teatroridotto.com/news/
Nei
giorni scorsi e precisamente il 2 dicembre “Scritti di luce”, autori in
immagini e parole, il format ideato dalla brava Brunella Caputo, attrice e
regista, ha cambiato scenario e da Camera Chiara di Armando Cerzosimo, nel
cuore della city, dove si sono svolti i
precedenti tre incontri, si è trasferito presso il Ghirelli di Salerno. Il personaggio, che ha
illuminato la scena del nero teatro della Lungoirno, è Ruggero Cappuccio,
drammaturgo e regista teatrale italiano. La luce irraggiata sulla sua persona
da scatti di estrema bravura è riconducibile ad Armando Cerzosimo, un'artista
di eccezionale sensibilità, mentre le immagini di una purezza arcana,
sono di suo figlio Nicola. La serata, nella sua totale composizione è stata
curata da Brunella Caputo, che così presenta, il geniale intellettuale:
“ …Il suo mondo, il suo ambiente, le case, le
cose che lo circondano, il freddo, il caldo, la notte, il giorno, la luce che
ispira, che illumina i suoi scritti, le sue parole che nascono dalla luce della
sua ispirazione. I suoi scritti di luce.”
Si fa scuro in teatro e sul fondale di scena
si accendono immagini purissime, essenziali, descrittive e rigorosamente in
bianco ed in nero. Lui, Ruggero Cappuccio, modello perfetto, giovane ed antico,
un tutt’uno con il luogo, si avvia nelle stanze del primo palazzo, poi ce ne
saranno altri due da visitare, guidati dalla macchina da presa del giovane
Nicola. Nel palazzo Coppola, di Valle Cilento, frazione di Sessa Cilento,
suggestivo e spoglio, anche le crepe, le impalcature, segno evidente di lenta
ristrutturazione, le finestre velate da impalpabili organze, le porte
accatastate, le mura spesse e scrostate,
hanno fascino, come la musica suadente di sottofondo di Alexi Murdoch
che accompagna. Si muove sicuro, ne conosce i passi, sale e scende scale, si
avvia in stanze vuote, ma a tratti s’attarda e vanno i suoi pensieri sulla bellezza di un tempo, mentre veli dal soffio estivo sollevati, mostrano
all’esterno scorci di natura incontaminata. Alto, giacca trattenuta disinvolta su
di un lato della spalla, baffi sottili, barba accennata sul viso, capelli con
un inizio di grigio, sigaro fumoso e occhi vivissimi sotto folte ciglia, si
aggira unendosi stretto ai chiarori e
alle ombre del palazzo. Quando si accendono le luci si fa molta fatica a
fruire, a colori, tanto il bianco e nero è restato impresso, l’immagine
presente di Ruggero Cappuccio, nel completo beige di velluto.
A
Pier Luigi Rozzano, di Repubblica, il compito di introdurre il complesso
personaggio. Il giovane giornalista, essendo stato un suo allievo, ha dovuto faticare e non poco, per
contenere l’affabulazione, sia pure
piacevole e l’istrionismo di Ruggero Cappuccio, fiume in piena di parole colte
ma anche di aneddoti divertenti. Comincia così la narrazione delle sue case e
dei suoi scritti, uno, “Fuoco su Napoli”, un romanzo di grosso spessore ed
impegno narrativo che, all’inizio, principia con la notizia che Napoli, di lì a
sei mesi, sarà distrutta. Con voce
calda, impostata ed a toni bassi,
Ruggero Cappuccio parla, si spiega, si rivela con flemmatica lentezza, affinché
nulla si disperda, centellinando ciò che dice, grappoli di sapere che da lui si
piluccano volentieri. Legge con maestria, in un silenzio rarefatto, brani da
Fuoco su Napoli, il libro, che al Premio Napoli 2011, per la sezione “Letteratura italiana”,
conquistò il “Libro dell’Anno”. Scattano,
alternandosi alle parole, altre immagini e con esse altra casa, Palazzo Del
Giudice, appartenuto agli antenati di sua madre, suggestivo come il primo,
forse di più per lo stato conservativo migliore. Arredato e più vissuto, dai
tendaggi, ai libri, dal pianoforte ai divani e così per ogni stanza in cui,
Ruggero, principe e signore, eternamente triste, pensoso e con lo sguardo tra il passato illustre e la presente
decadenza, si confonde con il chiaroscuro della luce che filtra nitida. Altra
reading e sul fondale appare l’ultimo palazzo, quello di Serramezzano, il
meglio conservato, un luogo struggente e composto da una bellezza decadente,
dove Ruggero torna ogni volta alla ricerca del ventre materno. Quando ce lo
mostra, nel suo inquieto andare, quasi accarezza gli oggetti, con l’affetto
grato di chi è riconoscente per la tanta bellezza in cui è vissuto e di cui si è nutrito. Ma “Fuoco su Napoli” è là,
tra le parole finali della lettura,
mentre scorrono lentamente, dietro alle sue spalle gli scatti d’autore di
Armando Cerzosimo, gli stessi che nel boudoir del teatro sono stati fruibili in
mostra.
Brunella
Caputo, nell’ideare e curare il progetto “Scritti di luce” ed i Cerzosimo,
Armando padre e Nicola figlio, nel creare immagini fisse ed in movimento, sono una squadra perfetta per eventi
culturali di rilievo, un intreccio che funziona per come i personaggi vengono
trattati. Grazie all’armonico team ed all’indiscussa bravura, il 2 dicembre,
abbiamo conosciuto i luoghi formativi e le antiche vestigia di Ruggero
Cappuccio, il solitario genio delle nostre terre.
Papa Francesco è dal 13 marzo 2013 il 266º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, 8º sovrano dello Stato della Città del Vaticano, primate d'Italia, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice.
Il tango fa gli auguri a papa Francesco ballando a pochi passi dal Vaticano
Il giorno del compleanno del pontefice argentino, la compagnia Tango x 2 di Miguel Angel Zotto fa uno spettacolo all’Auditorium della Conciliazione, l’incasso è devoluto in beneficenza
Martedì sera il tango farà gli auguri di compleanno a Papa Francesco con uno spettacolo a pochi metri dal Vaticano. Il 17 dicembre all’Auditorium della Conciliazione, situato proprio sulla via che giunge in piazza San Pietro, la compagnia di Miguel Angel Zotto dedica lo spettacolo «TangoX2» a Jorge Maria Bergoglio, bien porteño nato a Buenos Aires nel 1936 e divenuto papa nel maggio del 2013. Il pontefice non assisterà allo spettacolo, che sarà interamente devoluto in beneficienza. Dal Vaticano inoltre fanno sapere che per i suoi 77 anni papa Francesco non farà feste, perché la tradizione vuole che si celebri il giorno dell’onomastico, ma i messaggi di auguri già sono cominciati a giungere da ogni parte del mondo e il primo “regalo” è proprio giunto con la vittoria dello scudetto argentino da parte del San Lorenzo, la squadra del cuore di papa Bergoglio.
Papa Francesco
«TANGO X DOS» - Miguel Angel Zotto, il coreografo e ballerino che debuttò a Brodway nell’86 con Parfumes de Tango, è forse colui che maggiormente ha contribuito alla diffusione del tango ballato in Europa e in Italia. Nato a Buenos Aires da genitori di origine italiana, vive da due anni a Milano con la moglie Daiana, sua compagna di ballo e madre delle due figlie gemelle. È lì che ha fondato la Zotto Academy, scuola di ballo e milonga. «Lo spettacolo all’Auditorium è un omaggio a papa Bergoglio e il ricavato è devoluto interamente ai bambini poveri d’Argentina» racconta Miguel. «E’ uno spettacolo con altre tre coppie di professionisti, nel quale balliamo tutte le coreografie che ho messo in scena finora, una sintesi della mia carriera dedicata al Santo Padre». Papa Bergoglio nella biografia «El Jesuita» racconta che da giovane andava a ballare la domenica pomeriggio con gli amici e che ascoltare la musica di tango gli piace molto.
Piazza San Pietro all’Angelus della domenica (Ansa)
«EFFETTO» PAPA BERGOGLIO - Il papa argentino così umile e sempre vicino alla gente, conserva quel carattere porteño che fa sentire più che mai i suoi concittadini in Italia e all’estero coinvolti in una continua emozione. E mentre il turismo proveniente dal Sud America a Roma registra un aumento del 20% in pochi mesi, l’«effetto» papa Francesco continua a scaldare il cuore di Roma e della gente di tutto il mondo che giunge sempre numerosa alle udienze del mercoledì e all’Angelus della domenica, quando il pontefice si affaccia in piazza San Pietro gremita di folla. Papa Bergoglio ha già ispirato la musica di due nuovi tanghi, uno dei quali «Ahora, papa Francisco» di Eduardo «Muni» Rivero (con le parole di Enrico Bugatti) è stato eseguito per la prima volta nel monastero di Santa Catalina a Buenos Aires ai primi di novembre del 2013.
Casimiro Aín, «El Vasquito» ballò nel 1924 davanti a Pio XI
IL TANGO, LA STORIA E I PAPI- Non è la prima volta che il tango si avvicina al Vaticano. All’ inizio del ‘900 alcune cronache riportano che Casimiro Aín, «El Vasquito», un ballerino argentino che aveva fatto fortuna in Europa, ballò con la sua compagna davanti a papa Pio XI (1922-1939) il tango Ave María di Francisco e Juan Canaro. Era il primo febbraio 1924 e l’iniziativa era voluta dall’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Don Garcìa Mansilla, preoccupato di dissipare le nubi di immoralità che la Chiesa associava al tango, un ballo oscuro e peccaminoso. Altre cronache riportano che l’esibizione si svolse davanti a un altro papa, Benedetto XV. E altre cronache ancora raccontano che la prima esibizione di tango fu fatta davanti a Pio X nel 1914 per rispondere alle accuse dei vescovi di Parigi, che nel periodo in cui il tango cominciò a diffondersi tra i salotti dell’aristocrazia francese, erano preoccupati perché provocava «allusioni sessuali». Papa Pio X chiese di poter vedere un’esibizione, al termine della quale avrebbe detto: «È una danza che obbliga le sue vittime a ballare qualcosa di poco divertente, sarebbe meglio la danza friulana». Da allora il tango è stato sdoganato sì, ma con l’aggettivo di «noioso». Ma sembra che a ballare fossero stati due danzatori romani (fratello e sorella), preparati dal professor Pichetti a compiere una coreografia molto semplice.
Miguel Angel Zotto “Tango Por Dos”
Auditorium Conciliazione
Via della Conciliazione 4, Roma
Martedì 17 dicembre 2013 ore 21.00
Per info: info@conciliazionelive.com 06.32810333
LA SUA ELEZIONE
E LO SKETCH DI CROZZA CHE PIU' RAPPRESENTA IL SUO SPIRITO DI SERVIZIO.