Contaminazioni è
il titolo della mostra di quest’anno e 2 gli artisti espositori: il
videomaker Licio Esposito e lo scultore Arturo Ianniello.
Il critico d’arte Cristina Tafuri, invitata a
stigmatizzare il suo punto di vista, nel suo intervento, così si è espressa.
La ventesima edizione di
“Stella in Arte” dimostra come la tenacia, il coraggio, ma anche la pazzia,
possano trasformare una “magnifica ossessione”, quella di Franco Massanova,
ideatore di tale rassegna a Stella Cilento, suo paese natale, in una realtà
artistica consolidata. E quest’anno, a riprova di quanto prima affermato, a
Stella Cilento sarà inaugurato il Museo Civico a lui dedicato.
Sono passati vent’anni e
se ti volti indietro li trovi tutti, e in questo lungo tempo trascorso molte
cose sono avvenute: la perdita dolorosa di Franco Massanova, che troppo presto
ci ha lasciati, la pandemia, la guerra in Ucraina, eppure tutti questi eventi
funesti non ci hanno mai fermato. Abbiamo vissuto Tempi sospesi durante il
covid, abbiamo trovato segni e derive in questo sfacelo dell’umanità, abbiamo
cercato con la nostra arte di lasciare Orme. La mostra di quest’anno è
intitolata Contaminazioni, per manifestare e contrastare il
compiacimento appagato e idolatrante per la cruda banalità della dimensione
urbana e, con essa, la feticizzazione degli oggetti che ne testimoniano i
modelli di esistenza, determinando un uomo alienato e oppresso dall’universo
artificiale e eminentemente sensorio da lui stesso creato. Anche i due artisti
invitati alla ventesima edizione di “Stella in Arte”, Licio Esposito e Arturo Ianniello
avvertono queste inquietudini, gli sgomenti, gli urti morali, avvertono una
condizione di angoscia in cui l’integrità della coscienza è minacciata da ogni
parte, in cui la stessa vita biologica è messa a repentaglio. Naturalmente si
rendono conto che con le loro opere non possono né vogliono esprimere i confusi
sentimenti delle persone, né vogliono prendere il posto del politico, del
giornalista, del demagogo. Compito dell’arte, come afferma Hegel, è quello di
portare a livello di coscienza i più alti interessi della mente. Quindi l’arte
deve occuparsi delle reali forme esteriori di ciò che esiste e l’artista sia
esso un poeta, un pittore o un musicista, dà forma concreta alle sensazioni e
percezioni. La contaminazione, quindi, avviene anche nel confronto dei due
artisti invitati, Arturo Ianniello, pittore e scultore, si serve di
materiale abbandonato per creare le sue opere, Licio Eposito videomaker,
da anni, racconta la società contemporanea con le sue contraddizioni usando la
“grammatica” del video. Nella storia dell’arte il riuso dei materiali relativi
alla produzione artistica è molto più frequente di quanto non si creda.
Certamente l’incredibile aumento dei rifiuti nel mondo moderno è un dato di
fatto ed è indubbio che l’abbondanza dello spreco nell’attuale civiltà
occidentale abbia portato a riflessioni etiche, politiche ed economiche di
estrema rilevanza e inevitabilmente, tali considerazioni sono entrate a far
parte anche della cultura artistica. Nell’arte contemporanea lo scarto è
diventato protagonista, ma il modo di rielaborazione varia: l’assemblaggio, è
la sua utilizzazione come elemento materico da comporre secondo schemi
astratti, l’inserzione, il suo collegamento ad altri materiali secondo libere
scelte dell’artista, il camuffamento e /o trasformazione, il suo uso nascosto
per non apparire ciò che è, e infine la riproduzione, la sua stessa
rappresentazione come oggetto di una diversa operazione creativa. Queste
operazioni sono state sperimentate da Arturo Ianniello rivelando da un lato
l’amore privo di pregiudizi per la forma in sé, per cui il bello è anche il
detrito, il relitto, dall’altro la riflessione sull’immoralità dello spreco e
la sua denuncia, esplicitata dal riciclaggio e dall’esibizione. Ianniello
recupera ciò che la società abbandona, soprattutto il ferro, le lamiere, gli
scarti industriali per produrre opere che dialogano con lo spazio circostante,
come queste realizzate per la mostra di Stella Cilento. Tra le sculture e la
natura, si instaura un rapporto univoco, quasi un corpo a corpo con gli alberi,
lasciando che le sue installazioni vivano nella terra come totem che indicano
la transitorietà della nostra esistenza. I rapporti tra le arti visive, il
video, la fotografia e il cinema (già considerato da Carrà nel 1914 (caldissima
oscurità cubica) hanno subito fin dai primi anni settanta profondi mutamenti.
Vittorio Fagone, che ha seguito attentamente le nuove esperienze in questo
settore, scrive che “fotografia, cinema, video non si pongono come elementi
esterni di registrazione, accessori alle pratiche artistiche, ma come tecniche
che possono portare a una riformulazione dell’opera visiva, a una vera e
propria espansione dell’immagine”. Gli strumenti della videoart sono quelli tipici
delle trasmissioni televisive: telecamera, monitor, collegamenti in diretta, e
l’intervento dell’artista consiste principalmente nel trattamento elettronico
delle immagini, con modifiche di forme e colori realizzati al computer.
Naturalmente la sensibilità dell’ artista, la conoscenza dei mezzi a sua
disposizione fa sì che la sua narrazione si discosta profondamente da ciò che
altri mezzi di riproduzione delle immagini trasmettono, per costruire storie
con tecniche sempre più perfette, con immagini e suoniche, come nei lavoridi Licio Esposito, affascinano lo spettatore
o lo inchiodano allo schermo, sia quando racconta storie di artisti o registe
pioniere dei primi anni del cinema, sia quando entra nel tessuto della nostra
società, raccontando come solo lui sa fare l’uccisione di Peppino Impastato e
di Angelo Vassallo, senza declinare nell’orrido o nel violento, ma attraverso
immagini che recupera nelle pieghe della memoria.Nel video “Assurdo necessario”, un uomo
completamente solo in un paesaggio urbano desolante testimonia l’angoscia
dell’uomo moderno, in una società che ha determinato l’atrofia della
sensibilità, creando un essere che difficilmente merita di essere chiamato
uomo, un automa dall’occhio inespressivo, annoiato e indifferente, il cui solo
desiderio è la violenza in una forma o nell’altra. Le sue distrazioni preferite
sono gli stadi sportivi, la farsa, il sadismo televisivo, la dedizione alla
droga e il gioco d’azzardo. L’assurdo necessario allora. Licio Esposito con
maestria e, permettetemi, con grazia, racconta tutto ciò, e con i mezzi della
tecnologia, fa sì che stiamo ancora attorno al fuoco ad ascoltare storie.
Testo: Cristina Tafuri
Docente di Storia
dell'Arte presso Liceo Artistico "Sabatini - Menna" Salerno
8 anni per ritornare di
nuovo a Villa Guariglia, dove sono nati, senza però dimenticare i luoghi che in
questi anni hanno ospitato, ben volentieri, la pregevolezza dei concerti, con
la durata dal 4 luglio al 2 agosto. L’ Area Archeologica di Fratte si è più
volte animata per diffondere, in egual misura ora musica, ora teatro ed ora
canto. Un programma fatto di artisti prestigiosi, che con grande cura, Tonia
Wilburger, da 26 anni mette a segno senza mai sbagliare un’edizione. Con grande
capacità manageriale unita ad una passione che letteralmente la divora, riesce
a superare ostacoli, impedimenti, burocrazia, imprevisti ed avversità.
Coadiuvata da Patrocini: Provincia di Salerno, Comune di Salerno, Comune di
Vietri sul Mare e sostegni dal Conservatorio di Musica Giuseppe Martucci di
Salerno, Camera di Commercio, C. L. A, A, I, Imprese, Coldiretti Salerno, Fondazione
della Comunità Salernitana, Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, Acli.
Per Sebastiano Somma
l’area archeologica è stracolma, già 8 anni fa è stato presente nell’area
etrusca con un altro spettacolo: Lucio incontra Lucio ed anche quella
volta fu successo. Si giunge nell’area di Fratte, piacevolmente discosta dalla
city, riuscendo anche a parcheggiare senza tanti giri, spinti dall’area afosa,
di questa estate infuocata e sull’onda del ricordo di Massimo Troisi, che con
il suo ultimo e straordinario film ‘Il Postino’ ci ha fatto conoscere o
riscoprire la carnalità delle poesie di Pablo Neruda. E ad apertura di
spettacolo, è proprio la poesia “Nuda” a richiamare le immagini del film, dove
un Troisi, scarno ed affaticato, la recita, emozionandosi. Lo spettacolo prende
il via alternando stralci di vita di Neruda, con musica, canto e danza. Sapremo
del suo incontro con Matilde Urrutia, una cantante e scrittrice cilena, del loro
folle amore, lui un uomo sposato, alla sua terza ed importante storia d’amore.
Non è sempre stato facile stare insieme, Neruda, infatti era ancora legato alla
seconda moglie, Delia del Carril, quando incrocia Matilde, per cui i loro
incontri clandestini furono vissuti tra Berlino, Nyon, Roma e nel paradiso dell’isola
di Capri, dove i due amanti si sposarono simbolicamente, uniti dalla luna, ma è
solo nel 1966 che si uniranno in matrimonio civilmente, per iniziare a vivere a
pieno il loro amore. All’interno della storia, c’è anche il golpe del generale
Pinochet e la morte del poeta, seguita di poco e non prima di essersi
rammaricato, perché svaniti i sogni di democrazia e di libertà. La musica che
ha accompagnato l’atto finale dello spettacolo, segno che Il Postino, è stata
l’idea ispiratrice dello spettacolo, è proprio il tema centrale del film,
scritto da Luis Bacalov, Oscar 1996. Mi
piace, qui, ricordare, che la musica del film è stata scritta, sì, da Luis
Bacalov, ma in collaborazione con i nostri musicisti italiani Sergio Endrigo
e Riccardo del Turco, una sentenza del tribunale ne attesta la certezza.
Lo spettacolo in sé poteva essere eccezionale,
per la passione di cui si occupa e cioè del grande amore tra Pablo Neruda e
Matilde Urrutia, ma non è andato al di là della sola sufficienza, per non aver
dato corpo al tormento amoroso dei due amanti; non si è avvertito il loro
pulsare, né hanno fatto sentire il loro sangue scorrere nelle vene, eh sì che
Neruda ne ha scritti di versi passionali. Una regia scolastica, dunque, una
recitazione disinvolta quella di Sebastiano Somma e Morgana Forcella e
senza stravolgere i canoni dell’emozione. Il bravissimo attore, interprete di
tante Fiction di successo, beniamino del pubblico, non solo femminile, indubbia
è la sua beltade, si è espresso con avarizia e senza convinzione, trascinando
con sé anche la moglie Morgana Forcella, ovvero l’appassionata, nella
realtà di Pablo Neruda, Matilde Urrutia. Anche gli stacchi dei ballerini, Enzo
Pedulano e Francesca Accietto, che dovevano rafforzare la passione
del racconto, sono stati troppi, interrompendo più volte il ritmo del recitato,
con un’inutile ripetitività. Il canto di Emilia Zamuner, è stato l’unico
ad incidere passione.