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sabato 30 marzo 2013

"Ferdinando" di Annibale Ruccello al Teatro Antonio Ghirelli di Salerno

teatro ghirelli foto























Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Nel weekend scorso, al teatro Ghirelli di Salerno, è andato in scena "Ferdinando", il capolavoro del compianto Annibale Ruccello, morto prematuramente per un incidente stradale, scritto nel 1985. La regia è stata curata da Arturo Cirillo, per la Fondazione Salerno Contemporanea, che ne è stato anche interprete
Trama
La baronessa Clotilde Lucanigro, alla morte del marito, si rintana in una villa della campagna napoletana. E'assistita, per i suoi malanni immaginari, da Gesualda, una sua cugina povera e nubile. Tra le due donne, non certo di carattere facile, s'insinua Don Catellino, prete di famiglia, che ogni giorno, alla stessa ora, si porta al capezzale della baronessa, offrendole il conforto religioso. In effetti il prete frequenta la casa per un suo utile, che si rivela essere l'acida Clotilde. A sconvolgere la piatta esistenza e gli equilibri stratificati dei tre, ci pensa, un giorno, all'improvviso, Ferdinando, un giovane efebico, lontano parente di Clotilde, rimasto orfano. Nulla, in quella casa, in seguito, alla sua sconvolgente presenza, sarà come prima.
Commento

Tutto l'allestimento dell'interessante lavoro è risultato di ottima qualità, dagli abiti scuri delle due donne così  simili alla tonaca del prete, alla cupa atmosfera che si sparge su ogni quadro rappresentato e fino alla fine, dalle luci spente, a volte fioche, che sottolineano il chiuso del luogo dove la solitudine regna incontrastata. Il pubblico, non distratto da orpelli  scenografici, che sono gli stessi per tutta la durata della riduzione in un unico atto, ha avuto la  possibilità di seguire il testo attentamente  e goderne  tutta la sua bellezza. Sfilano, così, parole, usanze, battute, proverbi, densi di napoletanità perduta e mai volgare.  Due tempi  di dialetto frizzante, vivace, preferito all'italiano, perché come dice Clotilde, è lingua straniera. Il più delle parole che compongono il testo di Ruccello, sono quelle che fanno parte del patrimonio culturale nostrano, comune e passato e che riecheggiano piacevolmente tra il pubblico, risvegliandone il ricordo: A rote ro tiempe, ieteca, cu licenza parlando, mamme re sette muntagne,  a lechhe a mecche e a ciceregnola, o spirete e vaville, uno ricette chille ca ceaie l'uocchie a mugliera, freve terzegne, te manchene e parole a rinte o battesime, tuosseche e tanto altro. Il dialogo, così, tra i quattro protagonisti è serrato ed inframmezzato dalle  voci  arcaiche, con citazioni  latine e i rimandi culturali, come  Posilicheata di Masilio Reppone, pseudonimo di Monsignore Pompeo Sarnelli. Il testo è colto, anche se appare popolare, I temi evidenziati, dall'omosessualità al desiderio della carne a tutte le età, dall'inganno alla corruzione, sono contenuti di grosso spessore. Gli incontri fisici, che girano a turno tra i protagonisti, sono dettati da un desiderio eccessivo e malato, mai dall'amore, nel senso letterale della parola, ma solo dal desiderio della carne.  La scena è sempre la stessa, cupa, oscura, presagio di ciò che dovrà succedere, ma cambiano i personaggi e la loro veste morale, lungo il percorso rappresentativo.
Interpreti
Bravi i quattro attori: Sabrina Scuccimarra ( Donna Clotilde), Monica Piseddu (Donna Gesualda), Nino Bruno (Ferdinando) e Arturo Cirillo (Don Catellino) a caratterizzare i personaggi dell'opera, in particolare è da apprezzare  la recitazione scandita e puntuta di Sabrina Scuccimarra, la baronessa Clotilde, che rappresenta la donna forte, sagace e furba, una matriarca, di sì, nobili origini, ma con la praticità spiccata della popolana. Gesualda, Monica Piseddu, ha interpretato con agilità il personaggio della parente povera e vessata, raggiungendo punte di drammaticità e suscitando finanche compassione. Il prete, Arturo Cirillo, ha reso una recitazione spontanea, lineare, pulita, anche se la sua figura, più delle altre, non alimenta, certo, simpatia per la rozzezza delle maniere spicce e poco spirituali. Quanto al  giovane Ferdnando, Nino Bruno, s'impossessa della scena per non abbandonarla fino alla fine. Tutto ruota intorno a lui, alle sue fattezze di giovane uomo, alle nudità  che con finta ingenuità mostra a tutti, unica sua arma per piacere. La compiaciuta malizia, che nel testo c'è, andando avanti nella rappresentazione, si paleserà un premeditato piano e la tresca morbosa e sensuale perderà tutti.
Regia
Buona la regia di Arturo Cirillo, al suo terzo incontro con la drammaturgia di Ruccello, dopo "L'Ereditiera e "Le cinque rose per Jennifer" che, alla rappresentazione classica di Ferdinando, aggiunge e in modo opportuno, la spirale lasciva e sensuale, rappresentata con intensità interpretativa.
 Le scene dello spettacolo sono di Dario Gessati, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Badar Farok e le musiche di Francesco De Melis.

Maria Serritiello








   

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