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lunedì 26 marzo 2012

“Chi ha paura muore ogni giorno”. Giuseppe Ayala al Verdi di Salerno



FONTE:LAPILLI/SALERNO
DI MARIA SERRITIELLO

Salerno. “Chi ha paura muore ogni giorno” di Giuseppe Ayala non è solo il titolo del libro ma anche della la trasposizione teatrale che lui stesso ha rappresentato al Teatro Verdi di Salerno, in 5 serate dal 7 al 10 marzo u.s.

La sua, portata sulle scene, per oltre 100 repliche, in tutta Italia, è l’esperienza avuta con i magistrati-amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, al tempo del pool antimafia. E cosi per 5 giorni, il Teatro Verdi di Salerno, ha mantenuto accesa l’attenzione sulle due nobili figure, di eroi civili, uccisi dalla mafia, l’uno, Falcone, il 23 maggio 1992, l’altro Borsellino, il 19 luglio 1992, entrambi a Palermo.

Giovanni Ayala è stato il Pubblico Ministero che non ha perso mai un processo, anche perché, come lui stesso afferma, erano processi intentati da Falcone e Borsellino e neanche perde la scena in teatro, come fine dicitore. A questa testimonianza spettacolare, lui tiene molto e perché è un atto dovuto ai suoi due amici, al di là che fossero i magistrati di valore, e perché, tutto il lavoro, è un messaggio civile rivolto alle generazioni future per imprimersi nelle menti e nel cuore. “I giovani sono come una lavagna” sostiene “su cui si devono scrivere messaggi positivi, per essere recepiti come tale, purtroppo è vero anche il contrario e su quella lavagna si scrivono molte più cose che non aiutano la loro formazione”. Per questa ragione e con caparbietà, da anni, si dedica a portare la sua esperienza presso i giovani studenti delle scuole di tutta Italia, riconoscendo in ciò anche una forma di egoismo personale e cioè la piacevole sensazione di sentirsi utile.

Genesi dello spettacolo

La trasposizione teatrale di “Chi ha paura muore ogni giorno” la si deve a due fattori, uno di merito personale e cioè alla sua indiscussa capacità di oratore e l’altro alla casualità. Quest’ultima così la racconta: “Mia moglie fondatrice in Sicilia e presidente per 20 anni dell’organizzazione sulla ricerca del cancro, conosce Gabriele Guidi, figlio di Jonny Dorelli e Catherine Spak a Roma, dove cura lo spettacolo di sua madre. Sempre in cerca di fondi, prega la Spak, per farsi aiutare, di portare il suo spettacolo, sulla cantante Edith Piaf, in Sicilia. Catherine accetta, viene da noi e in quell’ occasione, mia moglie familiarizza di più sia con la Spak che con Gabriele, al quale da’ da leggere il mio libro e che questi, diligentemente, porta con sé in vacanza. Il giovane, a fine lettura, rimasto impressionato, mi chiama per congratularsi e quando gli espongo l’idea di farne uno spettacolo, me lo vedo dopo poco, dinanzi alla porta. ”

Lo spettacolo

Gabriele Guidi ha curato egregiamente lo spettacolo che a sipario sollevato mostra uno scenario scuro su cui si evidenzia uno schermo bianco, dove vanno in tragica sequenza immagini di repertorio. E le emozioni si susseguono subito, mentre la voce profonda, attraversata dall’accento dialettale, avvolge il pubblico, lo tiene stretto e gli fa provare il dolore della perdita. Un rappresentazione così intensa mancava da tempo al Massimo cittadino. Ogni passaggio viene sottolineato da grossi applausi, la condivisione si sente e si vede nei tanti occhi lustri, occhi che non sanno trattenere le lacrime, perché quel fatto, che è raccontato in scena, è la storia che ben si conosce e si è patita con dolore per i lutti susseguiti. Si assiste con il fiato sospeso, in un silenzio spettrale, neanche un colpo di tosse interrompe l’aria, rarefatta dalla consapevolezza che quello che si sta rappresentando, alla fine, sarà una triste mattanza. Già, proprio come nell’arena, quando la corrida designa la morte ineluttabile dei tori e ad essere macellati, allora e come ogni volta nel racconto, sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

La metafora

La lotta alla mafia, il magistrato che ha avuto certamente paura, ma non si è lasciato vincere da essa, la spiega semplicemente ed in modo estremamente comprensibile, nel prosieguo della rappresentazione, attraverso la calzante metafora della partita di calcio. “Dopo la morte di Aldo Moro” dice “lo stato scese in campo vincendo la partita contro i terroristi, perché non c’è macchina più potente dello stato quando scende in campo, ma non fu così con la mafia, per il semplice motivo che le maglie indossate dal potere e dagli uomini del crimine, per la difficile partita, furono scambiate. Altre parole non servono!

Le emozioni

L’amicizia con i due giudici, i tanti ricordi, le affettuose testimonianze, i divertenti aneddoti e gli spaccati semplici di vita vissuta con loro sono lì davanti ad ognuno in sala, scorre la loro vita ma anche la nostra, ad essi intrecciata, di quegli anni si ha viva la memoria e tutti ma proprio tutti sono in piedi, a fine spettacolo, per applaudire l’impegno civile di Falcone e Borsellino e l’accorata testimonianza di Giuseppe Ayala

Maria Serritiello
www.lapilli.eu

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