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lunedì 26 marzo 2012

All’ Istituto Afano I di Salerno Don Aniello Manganiello



FONTE:LAPILLI/SALERNO
DI MARIA SERRITIELLO

Salerno. Non sempre la scuola utilizza momenti di grande intensità pedagogica per arricchire le lezioni frontali, ma quando lo fa è maestra di vita. L’occasione giusta, per emozionare gli allievi del liceo pedagogico Alfano I, è stata offerta da Don Aniello Manganiello, il prete che, per 16 anni, ha contrastato la camorra, a Napoli nel quartiere di Scampia.

All’interno della settimana della legalità, 12 – 19 marzo u.s., organizzata dall’Istituto, con il tema: “Impegno civile-culture e testimonianze per vivere legali”, si è svolto un interessante incontro-dibattito a cui hanno partecipato Gianfranco Valiante, presidente della commissione anticamorra della Regione Campania, Don Aniello Manganiello e i numerosi studenti del liceo stesso. L’incontro è stato curato e coordinato da Gilda Ricci, docente di spicco dell’Alfano I, che non perde mai occasione di proporre ai suoi studenti, contenuti culturali diversificati, una militanza, la sua, a 360 gradi da sempre. Nell’aula magna piena come un uovo di giovani allievi desiderosi di conoscere fisicamente chi ha avuto il coraggio di fronteggiare la camorra, ma anche di poter porre tante domande ed una in particolare: “ Come si riesce a fronteggiare la paura”, Don Aniello Manganiello inizia a parlare, testimoniando fattivamente la sua esperienza. “Sedici anni spesi a Scampia” dice “ non sono stati pochi, né facili ma sono stati utili, invece, a lanciare un messaggio ai giovani di quella realtà che la legalità non deve e non può essere parola vuota” A lezione di Don Aniello si apprende che la paura è sì una sensazione che si può provare ma è altrettanto vero che non si può consegnarsi ad essa. Per lui non è stato così naturale ma per amore della sua gente, come già per Don Giuseppe Diana, il prete ucciso dai malavitosi a Casale di Principe, prima di lui, ci è riuscito.

Quando fu assegnato a Scampia nel 1994, vi si trasferì malvolentieri, la sua, fino a quel momento era stata una bella esperienza, spesa nel Quartiere Trionfale Prati, dirigendo un oratorio, frequentato da 800 ragazzi dai 6 ai 30 anni, con un ventaglio di attività che andavano dalla musica, allo sport, dal volontariato a programmazioni culturali di vario tipo. Ma bastò poco al prete nostalgico del ’68 buono, dai capelli a caschetto e frangia sulla fronte, il viso difeso da un sottile velo di barba, solcato da rughe che non lo imbruttiscono e neanche l’invecchiano, ricominciare d’accapo, ispirandosi all’esempio degli oratori di Don Bosco. E’ stato definito in tanti modi e considerato un eroe, per aver contrastato l’organizzazione criminale, ma ciò non lo ha reso orgoglioso, anzi, il contrario perché, dice, “ una società che ha bisogno di eroi va verso la fine, non ha futuro. Ognuno deve svolgere la propria funzione, il meglio possibile, senza che ciò sia ritenuto un eroismo”. Un esempio di contrasto, ingaggiato con la camorra, ha raccontato, è stato quando tagliò l’allaccio di una condotta alle tubature del campo di calcio di proprietà della sua parrocchia, Santa Maria delle Grazie. Per questo furto era costretto a pagare, ogni volta, 5 milioni di lire, quanto il consumo non arrivava a 300 mila lire, alla volta. Un sopruso che chiedeva giustizia a chiunque e soprattutto a lui, educato dalla sua famiglia, a non subire la prepotenza di alcuno, servendosi della legge e non della violenza, per combattere la malavita.

Di questa sua esperienza a Scampia è nato un libro, scritto con la collaborazione del giornalista salernitano Andrea Manzi, dal titolo “Gesù è più forte della camorra”, un diario emozionante di quei giorni, per far sapere che Scampia e i suoi abitanti non sono lo scarto ineluttabile della società. Più dei riti religiosi perfetti, che pure svolgeva quotidianamente, funzioni nelle quali ogni cosa doveva avere la perfezione quasi maniacale, lui si dedicava a prestare aiuto ai malati di Aids, ai tossicodipendenti, a visitare le case dei camorristi veri, a condurre battaglie sociali in favore delle famiglie, liquidate troppo in fretta come malavitose. Insomma si prodiga nell’apostolato che è proprio alla sua funzione di prete, vive il quartiere dal di dentro, con la gente che vi abita, si riconosce nei problemi dei più deboli e li condivide realmente, diventando un tutt’uno con loro. Il suo apostolato, però, infastidisce e diventa scomodo per i mammasantissima del quartiere, per le alte cariche ecclesiastiche e per la classe dirigente della città di Napoli, tant’è che il premio per il suo daffare è il trasferimento a Roma in una parrocchia del borghese Quartiere Prati.

Ora, Don Aniello, pur obbedendo ai suoi superiori, vive, infatti lontano da Scampia, ha deciso di prendersi un periodo di pausa nel quale riflettere sulla forte esperienza vissuta e le conseguenze prodotte, una pausa utile per rasserenare il suo spirito tormentato e per scrivere ancora.

Nel lasciare l’Istituto Alfano I, che porta il nome del vescovo salernitano, abate, medico e letterato, istituto che è retto dal dirigente scolastico Antonio Lepre, Don Aniello lancia un monito ai giovani ed è quello che non si può assistere alla sofferenza dei fratelli in Cristo, e lui ne ha vista tanta, con indifferenza, la legalità, la moralità, la non violenza che mai siano parole vuote per ognuno di noi.

“Potranno strappare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera” è la scritta che appare sullo schermo acceso, un magnifico spot, per ribadire ad effetto la legalità, mentre i ragazzi, pregni di questa lezione di vita, lasciano l’aula magna soddisfatti.

Maria Serritiello
www. lapilli.eu

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