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mercoledì 19 ottobre 2011

Nessuna indulgenza per i violenti, ma i fatti di Piazza San Giovanni non mi hanno sorpreso: è fisiologico



FONTE:TISCALI.IT
DI MARCO LODOLI


Sia chiaro, chiarissimo: nessuna indulgenza con chi spacca la città, terrorizza la brava gente, getta fango sulle giuste rivendicazioni di migliaia di pacifici dimostranti. Però devo riconoscere che la battaglia di Piazza San Giovanni non mi ha sorpreso. Sarà che lavoro in una periferia di poche speranze, sarà che ho conosciuto tanti ambienti diversi, i borghesi e i disgraziati, gli artisti, i cattolici, i fascisti, i comunisti, i tutto di tutto e i niente di niente, sarà perché non ho molte idee, ma guardo di continuo il paesaggio che muta, e cerco di capirlo, di orientarmi. Sarà per tanti motivi diversi, ma l’esplosione di violenza di sabato pomeriggio non mi ha meravigliato.



Viviamo in una società capitalista che negli ultimi decenni ha sviluppato naturalmente meccanismi precisi di esclusione. Bisogna essere competitivi, preparati, aggressivi perché non c’è posto per tutti, questo mi pare evidente. Chi ce la fa esulta, chi non ce la fa si dispera. Questa logica inevitabilmente produce i vip del Bilionaire, i ricchi con i conti nascosti in qualche isola lontana, gli speculatori, i nababbi, i privilegiati. Qualcuno è stato fortunato, qualcuno ha avuto senza merito una vita di velluto, e magari c’è anche chi lavora sodo - grandi professionisti, tecnici eccellenti, innovatori geniali - e viene premiato con fior di quattrini. Ma come possiamo stupirci del fatto che questa stessa società, così generosa con i vincenti, sia feroce con chi resta sconfitto?



E’ praticamente fisiologico che una compagine sociale così iniqua nella distribuzione dei doni e del carbone contenga in sé molta desolazione e molta rabbia. Per ogni stella che brilla in cielo ci sono mille persone nella stalla. Per ogni sorriso sul rotocalco patinato dei giovani e belli, ci sono diecimila smorfie di pena sulla carta straccia della miseria. Così crescono i depressi, gli avviliti, i frustrati: quante persone conoscete che non amano più la vita, che si sentono fallite, escluse, scaricate dal treno che corre e corre? Quante persone nei bar, nelle strade, nelle case si lamentano, sbuffano, succhiano psicofarmaci, bevono troppo, fumano troppo, si sfondano di tristezza?



E’ questo il gioco in cui siamo capitati. Si distribuiscono le carte: uno ha quattro assi perché è fortunato o perché bara, e gli altri perdono le dieci fiches che hanno davanti. E allora parliamoci chiaro: una società che premia chi ce la fa e dimentica chi non ce la fa, che produce e coccola un’elite, non deve stupirsi se nelle sue viscere cresce anche qualche manipolo di disperati pronti a sfasciare tutto. E’ fisiologico, pressoché inevitabile. E’ la bilancia del mondo. Più fortuna getti su un piatto, più violenza si piazza sull’altro. Noi odiamo la violenza, ma non ci piace nemmeno una società che ingrassa pochi e lascia che tanti giovani si consumino nella disperazione. La disperazione, alla fine, rende pazzi, rovina tutto, distrugge tutto.

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