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venerdì 21 marzo 2014

“S. U. D.” della Compagnia teatrale “La Cantina delle Arti” di Sala Consilina (SA)” al Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno.


www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

E’ con  “S. U. D.” che  La Compagnia teatrale “La Cantina delle Arti” di Sala Consilina (SA) ha partecipato al Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno. Il terzo spettacolo in gara di domenica 9 marzo, anch’esso a sfondo sociale, è tratto dal libro del giornalista Salvatore Medici  “Fermento, al Sud c’è fermento” per la riduzione drammaturgica di Enzo D’Arco, che ne è anche l’interprete. Un quasi monologo, il suo,  interrotto, di tanto intanto, da leggiadri volteggi e caute parole di Antonella Giordano, sì da spezzare la grezza energia e l’intensa vigoria da lui espressa.  

Settanta minuti non bastano per vociare ciò che affligge il Sud, né il testo, sia pure di forte denuncia, sgombra il campo dalle speranze che caparbiamente si alimentano. Enzo D’Arco, con la sua energia e la sua fisicità tutta meridionale, non altissimo, barba folta, per nulla  curata, capelli ricci, non si arrende, combatte e vuole che il Sud utopicamente raddrizzi la schiena. “Sdradicarmi’? dice  “la terra mi tiene e la tempesta se viene mi trova pronto” Un grido d’amore per l’amata terra, come se fosse una donna con la quale ha un onirico rapporto amoroso, si rotola nell’erba, se la tiene stretta e l’ama. Ma la storia che racconta il giovane del sud non ha in sé tanta dolcezza, anzi comincia col dire “…ho 36 anni  e per lavorare ho lasciato il mio paese che si trova nella terra bella del Vallo di Diana e sono qua in Svizzera, dove tutto è precisione, diritti e doveri e mi pagano per quanto rendo”. La realtà di queste terre è esattamente così, Enzo D’Arco la conosce bene, per essere la storia di tanti, troppi suoi compaesani, emigrati in terre straniere, per tornare al paese lasciato, solo nell’estati torride, per fastosi matrimoni o peggio per tristi lutti familiari, senza aver mai più goduto la sicurezza protettiva del paese. E’questo il Sud, il carrozzone  su cui, di volta in volta, tutti  sono saliti per i propri interessi, per gli sporchi affari. Maneggioni e  stupratori dell’ humus illibato, non ne sono mai mancati, anzi si sono triplicati via, via nel tempo. E’ questo il Sud che ha chinato sempre la testa, ripiegandosi su se stesso per la squallida miseria, quella che toglie la dignità, la forza di reagire e nega  ogni libertà di scelta. Senza scomodare gli approfondimenti sulla questione meridionale, una querelle dibattuta dall’unità d’Italia in poi, ben si comprende che il disagio socio politico del Sud è frutto di una grossa ingiustizia, un enorme abuso perpetrato ai suoi danni dai poteri forti.

 Il monologo prosegue vigoroso, Enzo D’Arco non si risparmia, se ne comprende la passione,  parla a voce alta, si sposta veloce  da ogni angolo del palcoscenico, interloquisce approcciando il pubblico con domande retoriche, a cui lui stesso risponde. Senza giacca, con la quale si è presentato, resta in canottiera blu, fa più operaio, più uomo del popolo, suda, senza curarsene, suona la grossa  tammorra, lo strumento vivo fatto di pelle animale, canta senza modulare la voce sui pezzi di Petra Montecorvino ed Eugenio Bennato, mette e rimette apposto tozzetti di legno, che metaforicamente dovrebbero rappresentare la sistemazione del Sud, ma inevitabilmente questi vengono scompigliati dalla compagna di scena, ed anche qui la metafora è chiara.

 “…Nella mia terra c’è fermento, molto fermento, però c’è anche leggerezza, battute, saper vivere con ironia, allo stesso tempo c’è malessere, ci sono sfoghi, opinioni rabbia, insomma c’è fermento, al Sud c’è fermento…”

Bisognerà pur mettere un punto, finirla con i soprusi, con le umiliazioni, sarà necessario essere capaci di prendere nelle mani  il proprio destino e viverlo da protagonista, non da assoggettato. La denuncia non basta più troppe le analisi intellettualistiche che nulla hanno portato al Sud.  Dopo  la riflessione, la consapevolezza e la denuncia occorre reagire e con forza guardando la propria terra con occhi imparziali, il pensiero libero, perché il Sud è amato e deve vivere. La conoscenza serve per poter interpretare la realtà, con la giusta lucidità e sentito orgoglio in quanto vivere al Sud è possibile.  E’ tempo di ritornare alla terra, alla madre terra, all’impagabile dono ricevuto,

perché lei ci prende alla testa e all’anima né  è possibile resistere … e allora andare ma poi tornare, tornare…”

sono le parole che con una certa commozione, sottolineate da tristissime note di fisarmonica, concludono l’atto d’amore, espresso dai lemmi, dal suono, dalla poesia (Rocco Scotellaro), dalla gestualità, dalla danza e dalla  passione che ha mosso tutto lo spettacolo.

Impeto, forza, ardore, orgoglio, energia, tutto questo è S:U:D, lo spettacolo rivolto a riappropriarsi della dignità delle proprie radici,  perché i giovani,  quelli passati d’età sono già fieri di appartenere, sappiano che è possibile considerare il riscatto, che non è vana  la speranza, che non è utopico il desiderio di ripresa, per l’errata convinzione a considerare il giro dei proventi economici altrove,  non certo a loro accanto, meno che mai al sud. Ma la  terra c’è, la forza giovane anche, perché non provare?

Indiscussa  l’energia e il vigore fisico di Enzo D’arco. Si è mosso con impetuosità  e naturale passione, il testo più che recitato è venuto fuori dal suo profondo, l’ha sentito come suo, così pure  la rabbia e l’orgoglio è di un uomo del sud, un risorgimentale d’altri tempi. Brava Antonella Giordano la cui levità, impressa nella danza, sparge intorno la bellezza che attraversa le nostre terre. Buona la scelta musicale di accompagnamento: Bennato, Montecorvino, Durante, Jovine, Raiz e Brusco, eccesiva invece nel finale la stesa  delle icone che rappresentano il meglio del sud.  Nella fierezza di appartenenza, non è il caso di esagerare, non dobbiamo convincere nessuno, Noi siamo!   

Maria Serritiello 
www.lapilli.eu





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