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sabato 30 novembre 2013

Salvatore Cantalupo al Teatro A. Ghirelli di Salerno in Titanic (The end)


Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Dal 21 - 24 novembre  scorso al Teatro A.Ghirelli di Salerno i  Teatri Uniti in collaborazione con Accademia Amiata Mutamenti hanno presentato Titanic (The end), tratto da Hans Magnus Enzensberger, per l’ ideazione e la regia Antonio Neiwiller, in un’attuale visione di Salvatore Cantalupo. Lo spettacolo, di non facile approccio, poggia la sua forza, sia sulla fisicità degli attori, che  su di un linguaggio incomprensibile parlato da tutti. L’assenza di un testo e conseguentemente di parole, coinvolge la sfera più intima delle emozioni, le immagini come il dolore, la gioia e le varie sfumature dell’animo, passano sul volto degli interpreti e s’ irradiano.

Il teatro si presenta oscuro e alla maniera della parte maestra di una nave, per metà inabissata, avvolto dal fumo, che ne imita la nebbia e con lo sciabordio ritmato delle onde, l’eco che trasporta in mezzo al mare. Teloni arancioni, gonfi, ricoprono oggetti sfuggiti  all’affondo e tutto appare in abbandono. Sibila un suono ed un uomo, vestito di panni modesti, appare vagando, mentre compie in un rituale, gesti intorno, sfaccendando e traendo fuori da un baule, oggetti usati. Quando dà inizio alla parola, lo fa con un incomprensibile grammelot, dai suoni ostici e da nessuna espressione addolcito, anzi aggressivo ed imperativo.  Altro sibilo ed ecco che la scena si anima da sette attori, fuoriusciti dai  teloni, centrati in scena, che senza  articolare frasi di senso compiuto, manovrando tubi simili a nere bisce ed in una lingua oscura, anch’essi, interpretano la fame, la contentezza, la dolenza, il viaggio, l’amore, il ballo, il gioco. Pagine distribuite a tutti, poi, da uno di essi, servono a leggere, a soffiarsi, a strofinarsi il corpo e a salutare prima di appallottolarli. Con gesti lenti e movimenti cauti per centrare il viso, si truccano, lì, davanti al pubblico, cambiando maschera, cambiando destino. Il rumore dei passi, il suono pesante di una batteria ed ecco il chiudersi di colpo, dinanzi agli occhi, della vela, dell’immaginario transatlantico, dietro al quale, con delicato effetto di ombre cinesi, galleggiano lentamente, ormai persi, uomini e cose.

“Titanic The end” realizzato da Salvatore Cantalupo, interprete e regista, lui stesso, è un laboratorio tenuto per otto mesi, assieme a giovani attori  e nel quale riprende lo spettacolo del drammaturgo, regista ed artista geniale, Antonio Neiwiller, inserendovi solamente qualche spunto. Cantalupo è stato suo allievo e nel ventennale della morte del maestro, ha voluto così ricordarlo. L’attore considera, Antonio Neiwiller, il geniale artista napoletano, morto prematuramente a soli 45 anni, un pioniere che ha  utilizzato la teoria del laboratorio e del gruppo per far nascere qualcosa. La nave alla deriva, come già per Hans Magnus Enzensberger, lo scrittore tedesco ne “La fine del Titanic”, è la metafora, dell’odierna società che si è consegnata all’incomunicabilità e si capisce, così, anche l’invasivo grammelot usato da Neiwiller, prima e da Cantalupo, dopo, indice di chi non ha più comunicazione.   

Maria Serritiello
www.lapilli.eu






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