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lunedì 11 novembre 2013

Se la ragazza della porta accanto è una sconosciuta


Fonte: La Repubblica.it
di VERA SCHIAVAZZI

Vado a vivere in città. Lì, almeno, non mi conosce nessuno e nessuno sta a guardare quel che faccio». È cominciata così, con i condomini a torre da cento, trecento alloggi, ed è finita con due persone su tre incapaci di indicare anche solo il nome di chi vive sullo stesso pianerottolo. Solo un italiano su tre, tra chi ha più di sessant'anni, considera i vicini di casa "amici", e la percentuale precipita al 14 per cento tra gli adulti (36-60 anni) e addirittura al 13 tra i giovani. Per il 50 per cento i rapporti sono "buoni" (ma forse sarebbe meglio dire "inesistenti"), mentre un altro 50 parla con meno di 4 persone nel corso di un'intera settimana, compreso il "buongiorno, a che piano?" sibilato in ascensore. Sono numeri che il Comune di Firenze ha censito quattro anni fa, e che ora intende raccogliere nuovamente per misurare se e quanto abbiano funzionato le molte iniziative prese dalle città italiane per ricucire lo strappo: feste dei vicini, portierato sociale, negozi di prossimità, poliziotti di vicinato e così via. Le persone disponibili a aiutarei vicini sfiorano l'80 per cento, quelle che accetterebbero un aiuto non arrivano invece al 70. Nessuno dichiara di non voler soccorrere la signora della porta accanto, ma molti rifiutano di farla entrare in casa. Per il 30 per cento i vicini sono "soltanto vicini", cioè meno che conoscenti. Una causa condominiale costa in media 5.000 euro e dura come minimo tre anni, una persona su tre vive senza mai salutare i coinquilini. Spiega Lucia De Siervo, assessore a Firenze quando l'inchiesta fu promossa: «L'esigenza di riallacciare i rapporti era fortissima. Non c'è ancora un'inversione, i vicini restano lontani, ma si intravedono soluzioni: reti di solidarietà, consegne a domicilio che prima apparivano un lusso, percorsi sicuri e spazi per giocare». Come i playground per i bambini che i condomini newyorchesi costruivano già trent'anni fa, proprio come le «agorà» nate nei nuovi quartieri olimpici di Torino e oggetto di una guerra tra proprietari e inquilini, finita con un muro eretto a metà cortile (e poi rimosso) per non litigare troppo. Le liti condominiali rappresentano un terzo delle cause civili che intasano i tribunali italiani, durata media tra i 4 e i 7 anni. Ma c'è di più: l'assenza, o la rissosità dei rapporti con i vicini nuoce al welfare pubblico, che non ha più mezzi per assistere tutti quelli che ne hanno bisogno, e fa vacillare la vigilanza contro furti, vandalismi, spaccio di droga e reati ancora peggiori. Come spiega Antonio Ragonesi, responsabile per l'Anci, l'associazione dei Comuni italiani, della sicurezza urbana.
«Siamo partiti da altri obiettivi - dice Ragonesi - e ci siamo resi conto che poche cose come la rete di relazioni sociali tra vicini potevano essere efficaci. Per questo abbiamo sottoscritto un protocollo con gli amministratori di condominio, che dal 2012, con la nuova legge, hanno maggiori responsabilità». Per Ragonesi, «un vicino di casa attento è molto meglio di altri sistemi più tecnologici e tradizionali, come le videocamere». Così, invece del Grande Fratello, nei quartieri italiani, soprattutto in periferia, si ripropongono figure del passato: «L'agricoltore che vendea chilometri zero può rappresentare un'ottima occasione per bussare alla porta di un anziano - dice Ragonesi - così come lo spazio-gioco progettato nel cortile o il percorso protetto lungo le strade di quartiere peri bambini che tornano da scuola». A Torino l'Atc, l'agenzia che ha sostituito il vecchio Istituto della Case Popolari, ha dedicato al tema volantini, decaloghi e programmi. Tra cui uno memorabile: «Noi non litighiamo dai balconi», che vorrebbe istruire chi vive nei grandi palazzi dell'edilizia pubblica a moderare il tono di voce e il vocabolario da un terrazzino all'altro. Le statistiche dicono che si litiga prima di tutto per l'immondizia (60 per cento), poi per bambini e animali domestici rumorosi (50 per cento) e infine per altri rumori come aspirapolvere e televisione che si possono produrre anche se si è single, senza cani né gatti.
Potrà la Festa dei Vicini, un appuntamento annuale di primavera ormai entrato nel calendario, che parte dalla Fesp di Parigi, la Fédération Européenne des Solidarités de Proximité, risolvere almeno in parte il problema? Forse sì, considerato l'impegno che Anci, Federcasa e altri producono: volantini da scaricare gratuitamente, un decalogo che prescrive di servire bibite di ogni genere, alcoliche e non, risolvere il problema dei «lontani di casa», riavvicinandoli e ricucendo i legami strappati mezzo secolo fa dai quartieri-dormitorio? La buona volontà c'è tutta: ognuno cucina qualcosa, si sceglie uno spazio comune, si mettono cartoncini o foglietti nelle buche di tutti, sedie per gli anziani, spazi liberi per i bambini. L'obiettivo non è del tutto disinteressato, come spiega Gualtiero Tamburini, economista, docente e esperto di mercato immobiliare: «Negli ultimi cinque anni, le compravendite in Italia sono diminuite del 50 per cento. Ma il valore degli immobili nel suo insieme è sceso "soltanto" del dieci per cento, e molti faticano a crederlo. Dipende dal fatto che le famiglie italiane sono meno indebitate di altre». Che cosa c'entra il buon vicinato? Moltissimo. Perché, spiega Tamburini, «se anche nelle nostre città, come è accaduto a Milano nella zona di via Sarpi, i cinesi vanno a vivere con i cinesi, i poveri con i poveri, gli africani con gli africani e i ricchi con i ricchi, i valori di mercato non potranno che scendere ancora». Mentre, avverte l'economista, il melting pot è un valore ineludibile delle nostre città: «Perché da noi un attico ha un prezzo diverso da un pian terreno, e ci costringe, se mai non lo volessimo, a convivere con persone e famiglie diverse». Inducendo i Comuni, da Torino a Perugia, da Lecce a Mantova, a promuovere incentivi peri nonni che accolgono uno studente nella loro stanza rimasta libera, ma anche per le famiglie che si occupano di un anziano. Il cohousing sociale dilaga soprattutto al Nord, dove nascono condomini per padri separati e donne maltrattate, giovani coppie e genitori single, che ricostruiscono a tavolino i legami che l'urbanizzazione e la nascita dei ghetti urbani rischiavano di cancellare. Le portinerie chiudevano, sostituite da alloggi improvvisati o studi professionali, il panettiere lungo la strada tirava giù la saracinesca e ai bambini veniva vietato di giocare a pallone in cortile, dove del resto lo spazio era stato divorato dalle automobili. Oggi vengono sostituite dal "portierato sociale", giovani che, a Torino e Milano, accettano di occupare gli stessi spazi della (ex) custode senza pagare l'affitto, ma in cambio di piccoli servizi a chi vive più in alto. Così nessuno rischierà di ammalarsi o addirittura di morire nell'indifferenza generale, o più banalmente di restare senza la sua medicina o la sua spesa per pranzo e cena. Senza contare i vantaggi economici: oggi oltre 200 milioni all'anno vanno sprecati in cause condominiali che non vedono la fine e non danno ragione a nessuno, rendendo più lunghi i processi per ogni altra ragione. Ne vale la pena, o non è meglio scuotere la tovaglia nella vasca da bagno e aggiungere un "come va?" al triste "salve" in ascensore? 



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