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lunedì 25 novembre 2013

Al Teatro delle Arti di Salerno è stato presentato “Il pallone di pezza”con Claudio Lardo





Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

La scena del Teatro delle Arti di Salerno, il giorno 8 novembre, si presenta oscura, nero pece, così come deve essere. Di lì a poco, 14 ragazzini, tra i dieci e i 14 anni, morranno nella narrazione di un fatto vero, sulla piazza di Buccino, un paese distante 50 km da Salerno, mentre giocano a pallone, con una sfera di pezza. 
Claudio Lardo, l’unico narratore ed interprete di questa struggente storia, è là in un angolo, alla scrivania, illuminato da una fioca luce di una lampada, intento a tastare una vecchia macchina da scrivere, un’ Olivetti verde pallido, per riscrivere la storia di una testimonianza orale, raccolta dal giornalista e scrittore Enzo Landolfi, anni addietro, nel libro“Vite in gioco” e portarla in teatro all’attenzione del grande pubblico. E così il ticchettio insistente dei tasti irrompe nel silenzio rarefatto del teatro per annunciare la storia de “Il pallone di pezza”. 
E conosciamolo quel lontano episodio del 16 settembre 1943, uscito dalle pieghe della memoria di Maria, la piccola fanciulla di allora, oggi tenera ottantaduenne, eccezionalmente presente in sala, testimone oculare dell’immane sciagura e grazie alla quale il racconto. 
Aveva 12 anni la piccola Maria, quel 16 settembre del ’43 e se ne stava affacciata alla finestra, tralasciando per poco i pensieri foschi e la paura. Sotto di lei, nella piazza polverosa del suo paese, 14 ragazzi, tra cui il fratellino Antonio di 10 anni, divisi in 2 squadre, giocavano a pallone con una sfera di pezza. Quel giorno era un giorno di guerra e di lì a poco la giornata avrebbe mostrato tutta la sua ferocia. Nel frattempo ai ragazzi, di giocare era sembrata l’azione più naturale, l’attività più compatibile per la loro età, la sola che li avrebbe allontanati, per qualche ora, dai rumori vigliacchi della guerra, dalla miseria della fame e dalla paura folle di ogni allarme, quando abbandonata la propria casa, ci si doveva infognare nei rifugi. Nella Piazza San Vito di Buccino, questo il paese, a circa 50 km da Salerno, quel giorno si sentivano, solo le grida spensierate dei fanciulli che rincorrevano il pallone, tentando di vincere ognuno la partita, padroni com’erano dello spazio, gli uomini, infatti, erano al fronte a combattere, mentre le donne e i vecchi, nel paese, a tentare di mandare avanti la vita. 
Sta di fatto che il 16 settembre del 43’ non era sorto come un buon giorno o per lo meno non come un giorno di guerra uguale ad altri. Maria, intanto, guardava i giovani amichetti e sorrideva gioiosa di felicità riflessa per la giocosità del fratellino, che nella piazza si faceva valere, calciando il pallone, ricavato da pezze di fortuna, tenute unite dallo spago. Un fagotto rotondo di panno floscio per l’ultima loro felicità. La fine venne improvvisa dal cielo, annunciata maligna dal rombo di un aereo che, senza imbarazzo, oscurò per sempre quel lembo d’azzurro. Il gioco s’interruppe di scatto, ma fiduciosi i ragazzi rivoltarono 14 teste in su, la mano sulla fronte a filtrare il sole, per meglio seguire il volo. Ah, l’innocenza dei fanciulli di quell’epoca! Ed ecco che sui loro capi, si abbatterono precise raffiche di fuoco, falciandoli tutti. 
Il rombo si allontana osceno, soddisfatto per l’azione compiuta, si è in guerra e non vi è cura di sapere chi fossero le vittime. 
Ora sulla piazza muta e segnata dal lutto, 14 corpi sono i testimoni, nel dolore di chi li piange tutt’ora, dell’orrore della guerra, mentre la partita di pallone metafora di una vita semplice, il materiale della sfera ce la rivela, si è conclusa senza mai iniziare . 
Maria impietrita si ritira dietro ai vetri, chiude ermeticamente la finestra e con essa per sempre nel suo cuore il ricordo, corre fuori sprezzante del pericolo e si lancia nella Piazza San Vito per soccorrere le vittime della feroce sventagliata, sul selciato, in una pozza di sangue giace, tra gli altri, il piccolo Antonio, suo fratello, con ancora stampato sulle labbra il sorriso innocente di chi si fida, di chi la morte non riesce proprio a capirla. 
Claudio Lardo, l’eccezionale interprete di questa storia, che pochi conoscono, anche laddove è accaduta, ha avuto il pregio di rimuovere la dimenticanza del passato, così facile ai nostri giorni. L’episodio, riscritto con cura e grande sensibilità dall’attore salernitano, misuratamente rientra tra la grande storia nazionale e la micro storia del piccolo paese. 
La piazza è là, i ragazzi anche e si preparano a giocarsi l’onore sportivo con un pallone di pezza, che presto sarà di colore rosso, intinto del loro sangue. Contraltare allo slargo è lo schermo bianco, che troneggia al centro della scena, dove s’appuntano i film luce, commentati in modo solenne da uno speaker del tempo, mentre il sonoro cade addosso come un’insidia inaspettata, con il rombo degli aerei. Il suono triste di una fisarmonica dilata mestizia intorno, preannunziando ciò che dovrà succedere. Ignari, i ragazzi più piccoli pongono domande a quelli più grandi “ ma quisti chi so, l’ inglise o i tedeschi? E la tedeschia addò se trova?” Il dramma si avvicina ed è nella voce del bravissimo Claudio Lardo, nel ritmo incalzante del suo racconto, ripetuto ossessivamente ogni volta e d’accapo, come per fissare l’episodio nelle vene, nel sangue, nella mente e nel cuore di tutti i presenti. Nessuno dovrà dimenticare i 14 ragazzi e se i loro nomi e la loro storia si fisseranno nelle nostre menti rimandati da padre in figlio, non saranno morti invano. E’ l’oblio a far perire veramente, il ricordo, invece, “ad egregie cose l’animo accende”. Bravo Claudio Lardo ad aver interpretato intensamente e con trasporto i una storia dimenticata. La sua fatica, ma sopratutto il suo cuore si è visto in scena, un grande cuore affogato da lacrime e commozione. 
Nella poltrona della prima fila del teatro è rincantucciata “La piccola Maria “che come dicono i titoli di coda, proiettati sullo schermo, ha 82 anni. La tenera signora, mentre assiste alla storia della sua vita, è chiusa in se stessa, occhi asciutti e pensieri rivolti a quel giorno. Gli anni della piccola signora, sì, perché mentre in scena va avanti la sua vita, ha ripreso fisicamente quell’età, dodici anni, nascondendoli dietro ad un sorriso, lo stesso che dispensa a tutti quelli che le si avvicinano, per condividere il triste giorno di settant’ anni fa. Appare a disagio, lei le lacrime le ha piante in tutti questi anni, da sola e lontano dagli applausi dei presenti. Ora, però, è visibilmente contenta, Antonio suo fratello, le è di nuovo accanto, piccolo e giocoso e senza che il fuoco amico degli inglesi abbia lasciato la triste traccia. 
Enzo Landolfi, che ha raccolto la testimonianza da Maria Cipriani, anni fa, ha gli occhi lucidi e il cuore gonfio di emozione, mentre le si avvicina.

Maria Serritiello 
www.lapilli.eu




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