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mercoledì 28 maggio 2014

Ricordando Nicola Tota, pittore in Salerno e nel mondo a 10 anni dalla scomparsa

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Non ho conosciuto Nicola Tota e me ne dispiace, perché ciò che ho scorto nei suoi quadri, tenuti esposti dal 3 /10 maggio scorso, presso il Museo dell’Architettura Contemporanea, di Via Porta Elina, è una bell’anima. 27 i quadri, tra i tantissimi prodotti, per comporre la significativa retrospettiva del ricordo, a dieci anni esatti dalla sua scomparsa. Un affettuoso ossequio della famiglia, oltre che un atto dovuto, per dare memoria alla sua opera, prodotta in prevalenza, nel e per il territorio salernitano, ma apprezzato oltremodo anche all’estero.
 
Sulla brochure dell’evento si legge: “Suonavo per dimenticare la fame, suonavo per non morire, ma la mia grande passione era e restava la pittura”, parole, che si riferiscono alla sofferenza patita nella prigionia della guerra. Il giovane Nicola, infatti, nato il 9 luglio del 1923, a Lacedonia, in provincia di Avellino, si trovò, a meno di vent’anni, sbattuto in guerra come paracadutista sabotatore. Gli inglesi, prima di Natale del ’44, lo catturarono per rinchiuderlo nel campo di concentramento di Chiaravalle. Da lì fu deportato in Africa, precisamente ad Algeri. Che cosa inventare per non morire di fame, gli fu possibile, grazie alla musica, altra sua passione e così si trovò a suonare, il sax ed il clarinetto nelle serate per i soldati britannici. Lo spettro della fame si attutì ma non si allontanò del tutto, in quanto, tornato in Italia, fu di nuovo rinchiuso nei campi di concentramento, questa volta a Taranto e considerato dai soldati inglesi, lui, solo un patriota, un ex fascista, per cui non si decidevano a lasciarlo andare. Quando finalmente tutto finì, tornato libero, a casa riprese l’antica passione della pittura, ma essendo il dopoguerra non adatto a vivere di sola arte, si dedicò all’insegnamento. Fu, così, maestro nelle carceri di Salerno, allora situate nella parte alta della vecchia città e per trentadue anni, seguendo le strade tortuose, strette, appena illuminate dal sole, insegnò ai detenuti a dipingere, per aiutarli ad oltrepassare, sia il brutto della loro condizione, che a fornirgli un mezzo di sopravvivenza, una volta usciti fuori.  Quando terminava l’insegnamento, dopo una breve pausa, si ritirava nel suo studio, allocato in Vicolo Lavinia e si perdeva tra macchie di colori, particolari di un tutto, paesaggi, volti, immagini, fissate, per le sue tele intonse ma pronte, di lì a poco ad avere anch’esse una loro storia. Ecco, una vita semplice di un uomo buono, di marito affettuoso, di padre amoroso, per Enzo ed Anna Maria, prima e tenero nonno per i sui nipotini, dopo. Dice di lui Ermanno Guerra, Assessore alla Cultura del Comune di Salerno, tra l’altro, per un periodo, suo allievo: “…. Quella breve e bella vicenda mi ha offerto l’immagine di un artista pienamente nel ruolo, compiaciuto a tratti, poi autoironico, ma sempre generoso nel dispensare consigli e pronto a parlare con gioia e passione di pittura…”
La sua pittura, dal tratto a spatola, a pennellare colori, sì da farci entrare nell’anima l’energia del suo segno pittorico. Masse cromatiche che invadono le sue tele e Salerno gli dà la giusta qualità di cui ha bisogno, l’azzurro delle marine, il giallo spento di vecchi palazzi, il bianco schiumato di onde tempestose, il rosso ruggine, invariabilmente di fiori o di balconi, mentre il verde per le montagne a guardia, il nero per i vicoli bui, cosicché che tra gli orni colori, irrompono maestosi particolari di archi e di colonne, di scorci e di paesaggi, la città e la costiera. Quella sua pittura che varca i confini per essere esposta all’Hermitage Museum di San Pietroburgo, al Museo di Mosca, all’Accademia di Arti Straniere di Londra, di cui   egli stesso fu membro ad honorem. Il dipinto   “Italia anni ‘70”, esposto  a San Pietroburgo, si conquistò, tra le altre,   la recensione di Luigi Kalby, docente universitario di Storia dell’Arte, nella quale si evidenziò l’impegno civile dell’opera ma anche la disincantata adesione.
I quadri, situati in mostra, sono visibilmente il riflesso della sua anima ad iniziare dai passi innamorati intorno alla città, “Le Botteghelle”, “I Mercati”,” “Verso Trotula de Ruggiero”, L’Addolorata”, “la Fontana di Largo Campo”, citandone alcuni, per continuare con gli affetti familiari, come il viso bellissimo della nipotina Maria, dai perfetti lineamenti e  dagli occhi scurissimi, colore della notte e delle bomboniere di lei, per la sua prima comunione, piccole gouache di una bellezza e semplicità unica. Anche la borsa di Angela Guerra, sua nuora, di grezzo canapone, come si portava negli anni ’70, fu dipinta dal Maestro, su insistente sua richiesta, ora è incorniciata e fa bella mostra tra le opere esposte. Pittura familiare è anche la stupenda ballerina, impressa sulla locandina degli inviti ma che si mostra bellissima all’interno dell’esposizione. La fanciulla nel suo tutù d’impalpabile voile, in posa, eppure se ne scorgono visivi i volteggi, è sua figlia Anna Maria, appena sedicenne, di ritorno dal saggio. E’ questo il dipinto che più ha amato, era il 1969 e vi lavorò per molte ore nell’intento di cogliere la lievità della danza e della ballerina.
Nel visitare la mostra, insospettatamente, (n.d.r) scorgo nel tratto della sua pittura un che di familiare, come se avessi già visto i quadri del Maestro, eppure non ne avevo mai ammirata la bellezza. Mi sono incuriosita e vengo a sapere che Nicola Tota è stato l’allievo prediletto di Salvatore D’Acunto, il pittore salernitano, coetaneo di Alfonso Gatto, innamorato della pittura, della sua città e padre della mia amica Anna. Ecco dove avevo scorto i tratti o per lo meno la tecnica usata, lavorare a spatola per dipingere, mi aveva confidato sua figlia, mentre a casa sua ammiravo le tele, era stata una sua caratteristica precipua. L’allievo Nicola, attento e giovane talento, ne aveva assorbito intatta la pratica, trasferendola con precisa scrupolosità nelle sue opere. E’ stato significativo conoscere chi ha guidato la sua mano e ha perpetrato l’insegnamento con la propria genialità.
Nicola Tota ha continuato a dipingere fino all’ 8 gennaio del 2004, la pittura, la sua fedele compagna di tutta una vita, non l’ha mai abbandonato, anzi gli sopravvive e ce ne rimanda intatta la bella immagine.
Maria Serritiello
 
 
 
 
 
 

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