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mercoledì 21 settembre 2016

Salerno città aperta...



Personalmente, di questa diatriba, mi resta un solo rammarico per questi ultimi anni di festa di San Matteo, nostro patrono,  non avere più l'evento di quand'ero bambina e conservata intatta fino a tre anni fa. Un punto fermo nella vita si deve pur avere, per cui  non mi posso sentire affratellata con la festa dei dragoni della Cina o con l’october fest berlinese, per citarne qualcuna. Sono Salernitana e mi voglio connotare per tale, come quando da piccola mi guadagnavo il giochino alle bancarelle e il lettone dei miei genitori per vedere i fuochi d’artificio. Nostalgia canaglia!!!(SeMa)
 
Ebbene si, Salerno come Roma, "città aperta", per essere una città di mare accogliente. Negli anni 60', Salerno ha subito con semplicità e grande senso di fratellanza un' immigrazione dalle campagne, dalla provincia ed anche fuori da essa, da costringere i salernitani veraci a contarsi. Ciò non le ha impedito, però, di mescolare usanze, abitudini, cibo e tradizioni, come del resto avevano fatto, intelligentemente, i Romani, per il mantenimento  dell' impero e di condividere tutto quanto veniva loro offerto. Così nel tempo si sono sentiti  nella città dialetti cilentani, avellinesi,  lucani e calabresi, per via dell' Università mancante in quelle zone, mescolarsi alla musicalità del nostro dialetto. Dunque, Via Irno, Torrione,  Pastena, Mercatello,  interi quartieri, sono stati popolati dalle tante persone che a quel tempo erano in fuga dalle campagne per il mito della città, fenomeno di valenza mondiale. A tutte le usanze introdotte e condivise, Salerno si era preservata per sé, la festività di San Matteo, con i suoi riti e le sue memorie, ed era contenta della lunga processione, delle sei statue in fila, tre di esse dette dal popolo "e sore e San Matteo", per via dei loro capelli lunghi, che altro non sono che i santi martiri salernitani Gaio, Ante e Fortunato, quest'ultimo precedente patrono di Salerno, delle giravolte  al mare e ai monti, per invocare la protezione sui due elementi naturali presenti in città, dell'entrata del Santo in Comune, la casa dei cittadini, per ricevere l'omaggio del primo di essi, e non viceversa, come qualcuno ha erroneamente  interpretato ed ancora per impartire la santa benedizione affinché possa sapientemente la città, da Lui protetta, essere amministrata. Va detto, per chi non lo ricordasse che sul gonfalone del comune vi 'è l'effige del Santo, a conferma del forte legame di  San Matteo con la città. Lo stesso discorso è  per la caserma dei finanzieri, di cui Matteo è protettore per via della sua precedente professione di gabelliere, prima della chiamata di Cristo. Ma Salerno era contenta anche delle 6 bande al seguito di ogni statua e non per sfarzo nè per apparire, ma perché la musica aiuta a chi si monta sulle spalle (certo per fede o  per voto) un peso non indifferente, che nel caso della statua lignea di San Giuseppe, assomma ai 14 quintali. Si provi ad immaginare che cosa possa essere la corsa dei bersaglieri, senza il suono della fanfara, finanche in guerra, beh sì quelle risorgimentali, passando per la prima e la seconda guerra  mondiale,  c'era il trombettiere che dava la carica e se questi veniva colpito era prontamente sostituito, per dire che la musica ha un peso importante nel compiere certe azioni e sollevare le statue è una di esse.  E poi i fuochi, mentre si addenta un panino "buttunate "(ripieno) di milza, "un poetico scoppio di colori nella notte, lungo tutto il tratto del lungomare che va ad incunearsi nel magico panorama della spiaggia di Santa Teresa, dallo scorso anno rinnovata. Una festa semplice, familiare, per una città che vuole una volta all'anno ritrovarsi, invocando il diritto alla propria identità, alla propria radice, ai propri ricordi e per seminarne altri nelle generazioni future, sì da  non perderne il ceppo.
                        TUTTO QUA' ARCIVESCOVO MORETTI  
                                  difficile da capire?
Maria Serritiello
 
Qualche spunto sulla festa dal punto di vista antropologico
(Letture in web)

 

La festa è un momento della vita sociale  che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane, essa si caratterizza, rispetto al resto del tempo, per l'interruzione del lavoro produttivo.
L’assolutismo monarchico, il clero, il razionalismo utilitarista e razionalista si sono battuti insieme contro le feste, considerate attività e forme di associazione intrinsecamente sovversive, eversive, rivoluzionarie, portatrici di cambiamento, perché non motivate da esplicito ed utilitaristico rendiconto, ma rappresentanti un contesto ludico  e ricreativo, ambito di rigenerazione per il popolo in un tempo libero da obblighi a fini materiali. Ma già Rousseau aveva denunciato il carattere contradditorio di una concezione che pretende di ridurre la coesione, l’associazione e il legame sociale, collettivo alla pura razionalità utilitaristica, perché impedendo le feste al popolo, si elimina la voglia di vivere, l’istinto creativo e vitale e  perciò la motivazione stessa del lavoro. Soprattutto si distruggono le basi e i fondamenti della società, dal momento che gli individui sono respinti nell’isolamento, nella solitudine, eliminando le occasioni che promuovono socievolezza in ambiti di amicalità e interscambio affettivo. 
di Laura Tussi
 
Di mio aggiungo che le sacre rappresentazioni e per questo le processioni, nelle forme note, furono volute dalla chiesa per rafforzare la fede e le celebrazioni liturgiche sempre per sostituire i riti pagani preesistenti.
Maria Serritiello  
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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