FONTE:IL BLOG DI SALERNO SU VIRGILIO DI MASSIMO VECCHIO
Al via la digitalizzazione della sala del cinema Apollo di Salerno con la proiezione, venerdì 15 aprile, del film di d’animazione “Rio” in 3D. Una grande innovazione fortemente voluta dalla nuova gestione coordinata da Alessandro Vaglia, sempre attento al futuro del cinema. La digitalizzazione presenta molti vantaggi:,ha una qualità di gran lunga maggiore e trasforma ogni sala cinematografica in un centro di diffusione culturale, in quanto consente di proiettare eventi live, concerti di musica leggera, opere teatrali, partite di calcio, ecc.. Il D-Cinema (abbreviazione di Digital Cinema) consiste, in altre parole, in un nuovo modo di fare il cinema che ha pian piano rivoluzionato tutto il processo di produzione delle opere cinematografiche, dalla realizzazione fino alla proiezione nelle sale. Il vecchio analogico lascia così il posto al digitale e, mentre le vecchie immagini dipinte dalla telecamera sulla pellicola diventano semplici dati codificati su di un supporto digitale, si assiste ad un cambiamento qualitativo che coinvolge tutti gli aspetti del film. Qualità audio, qualità visiva delle immagini, migliore registrazione, archiviazione più semplice così come più semplici divengono le fasi di montaggio, riproduzione e distribuzione. Pochi sono i luoghi dotati della tecnologia necessaria per proiettare in digitale e, per questo, moltissimi film necessitano ancora della riconversione su pellicola analogica. L’Apollo è l’unico monosala della città che si è dotato del digitale. Addentrarsi nel mondo del digitale, però, significa elevarsi ad un nuovo concetto di comunicazione, ad una nuova gamma di emozioni e sensazioni non diverse, ma solo migliori, più nitide e fedeli alla realtà. Tutto poiché il digitale è stato in grado di scavalcare i classici difetti della pellicola; sfocatura, opacità, rigatura e grana, difetti congeniti dell’analogico, sono del tutto assenti nel digitale, il quale, invece, offre nitidità, brillantezza e fedeltà mai visti prima. Tanta tecnologia e tanta qualità in una grande semplicità: i film che utilizzano questo metodo non si servono della classica pellicola di poliestere per registrare il flusso audiovisivo, bensì si servono di telecamere che codificano il segnale audiovisivo analogico in un insieme discreto di dati (digitalizzazione). La registrazione ed archiviazione su supporto digitale permette inoltre di migliorare tutto il processo di post-produzione come il montaggio, la riproduzione e la distribuzione. Il digitale, assieme al 3D, porta il cinema ad una nuova dimensione. Il nuovo mondo proiettato sullo schermo è nitido, perfetto, in grado di colmare perfettamente il vuoto tra la vecchia pellicola e la realtà. Si può affermare che la realtà, oggi, ha una nuova forma, un nuovo colore ed un nuovo suono, ma, soprattutto, un nuovo nome: D-Cinema
QUANDO PRIMA DI OGNI FILM C'ERA "LA SETTIMANA INCOM"
MI PIACE RIPORTARE UNA RICERCA DEL 2000 SULLA CONDIZIONE CULTURALE DEGLI STUDENTI ITALIANI. SIAMO NEL 2011 E PER RAGIONI CHE NON STO QUI A RIPETRE, LA SITUAZIONE VA PEGGIORANDO......NON E'CATASTROFISMO...MAGARI LO FOSSE...
Fonte:"Corriere della Sera", 17 maggio 2000 Giulio Benedetti
L’8% dei laureati non sa utilizzare la scrittura.
Due italiani su tre, tra i 16 e i 65 anni, incontrano difficoltà più o meno grandi quando leggono e soprattutto quando scrivono. Di questa parte della popolazione adulta, un 34,6 per cento si colloca ai limiti dell' analfabetismo. Un altro 30,9 per cento possiede un patrimonio alfabetico limitato, tuttavia per mancanza di esercizio e di stimoli rischia di scivolare lentamente nell’analfabetismo. Ma quel che più stupisce è che del primo gruppo e in misura maggiore del secondo fanno parte anche dei laureati. L’allarme rosso sul «rischio alfabetico» è stato lanciato dal Cede (Centro Europeo dell’Educazione) che ha divulgato i dati italiani della seconda ricerca internazionale IALS-SIALS sulle competenze alfabetiche degli adulti, condotta nei Paesi dell' Ocse. Va chiarito subito che l’oggetto principale di questa ricerca, condotta per la prima volta nel nostro Paese, non sono i titoli di studio ma il rapporto tra il livello di istruzione del cittadino e la sua competenza alfabetica, vale a dire la capacità di raccogliere, comprendere e utilizzare informazioni contenuti in libri, tabelle o grafici. In altre parole si è indagato, come ha spiegato il direttore del Cede, Benedetto Vertecchi, su un complesso fenomeno sociale: ci sono persone che pur avendo avuto un'istruzione, sono poi incapaci di mettere in pratica quanto dovrebbero aver imparato. Il quadro allarmante è appena attenuato dal fatto che i giovani, come ha fatto notare il ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro, grazie al quotidiano lavoro con gli insegnanti sono riusciti a riscattarsi dal pesante fardello che grava sulle precedenti generazioni. L'ampiezza della popolazione adulta con difficoltà di lettura e scrittura infatti non può restare senza conseguenze, ha osservato De Mauro, sulla carriera scolastica di tanti ragazzi. La ricerca, oltre ad aver evidenziato un rischio di analfabetismo per due italiani su tre, ha individuato anche altri elementi negativi: un’esigua percentuale, appena il dieci per cento, di popolazione con un livello di istruzione post-secondaria. L'Italia, secondo un altro rapporto Ocse, presentato avant’ieri a Parigi, si conferma in fondo alle classifiche sia per durata della scolarizzazione che per i tassi di abbandono degli studi universitari. La ricerca mette anche in luce la povertà del contesto socio-culturale in cui ancora oggi vivono quote consistenti di cittadini. Analfabetismo e calo delle competenze alfabetiche crescono con l’età. I due milioni di analfabeti totali hanno tutti più di 45 anni. Sono cittadini che non hanno fatto in tempo a frequentare la scuola di base dopo la riforma della media inferiore avvenuta nei primi anni '60. I risultati più clamorosi della ricerca sono però quelli che riguardano i rapporti tra competenze e titoli di studio. L'8,35 per cento dei laureati italiani non è in grado di utilizzare la scrittura, mentre il 25,25 ha capacità un poco più elevate ma corre il rischio di arretrare al livello inferiore. Il 48,15 per cento se la cava e soltanto il 17,85 dispone di una competenza alta o molto alta in questo campo. Il dieci per cento dei diplomati incontra difficoltà nell'interpretare o nello stendere un testo scritto mentre il 33,5 è in bilico, nel senso che potrebbe retrocedere nella fascia precedente. Infine il 41,2 ha una competenza media e solo il 15 si colloca nella fascia alta o molto alta. «Non mi stupisco affatto — è stato il commento del professor Raffaele Simone, linguista, professore all’università Roma Tre — dal momento che i libri sono sempre meno utilizzati dai giovani».
La censura libraria, nell’immaginario collettivo come nella realtà storica, ebbe i suoi più cupi fasti nel rogo dei libri: poiché se antico e molteplice è il nesso tra libri e libertà, non meno antica e molteplice è la reazione di divieto. Di roghi di libri è piena la Storia, e Polastron ce la racconta con grande esattezza documentaria e notevole emozione. Dall’antichità ai nostri giorni il bagliore, reale o metaforico, di quei fuochi ha puntualmente illuminato passaggi significativi e drammatici della vicenda umana, identificandosi talvolta con la volontà di distruzione di un intero popolo. Certo, il rogo è l’ultimo, estremo e rozzo passo di una più articolata storia di censure nei confronti del libero pensiero, ma la frequenza cui vi si è fatto ricorso dal Concilio di Nicea in poi è impressionante. E maggiore si fa con l’introduzione del libro a stampa, e con la moltiplicazione delle occasioni di lettura. Tra le vittime illustri, i libri ritenuti “luterani” o “eretici”; opere come l’Émile o, nella Germania nazista, i testi di autori “degenerati” come i fratelli Mann o Brecht. Ma anche, in una sorta di contrappasso, le opere gesuitiche bruciate in Francia nel 1761. Senza considerare, ovviamente, i libri ebraici, sempre guardati con sospetto e spesso distrutti. Un saggio avvincente e amaro, che conferma pienamente l’amara sentenza di Heine: “Si comincia bruciando libri e si finisce bruciando esseri umani”. Perché sì, è vero: “libro è libertà”.Un saggio storico di grande respiro, da leggere per non dimenticare e da far leggere ai nostri figli perché capiscano quale bene prezioso è la libertà di pensiero.
Intervista a Lucien X. Polastron
FONTE:“La Repubblica” 15 giugno 2004 di Fabio Gambaro
Dal saccheggio della biblioteca di Tebe, nel 1358 avanti Cristo, a quella di Bagdad, nel 2003. Più di tremila anni di roghi e distruzioni. Una lunga storia di offese al libro e alla cultura che finora non era mai stata raccontata nella sua globalità. Lucien X. Polastron, studioso francese, già autore di un apprezzato libro sulla carta, Le papier, 2000 ans d´histoire, ha provato a colmare questa lacuna. Nelle librerie francesi è giunto così Livres en feu (Deno l, pagg.430), un volume molto documentato che ricostruisce la «storia infinita della distruzione delle biblioteche», mostrando «i molti volti della barbarie» che, fin dalla più lontana antichità, ha preso di mira le pagine scritte e i luoghi in cui queste vengono custodite. «Ho iniziato a lavorare a questo libro nel 1992», racconta Polastron, «subito dopo l´incendio della biblioteca di Sarajevo. Gli autori di quell´atto criminale colpirono intenzionalmente la biblioteca per cancellare il carattere multiculturale del paese, di cui essa era il simbolo. Ripetevano così i gesti che i passato erano stati dei nazisti e di tutti coloro che, in ogni epoca e ad ogni latitudine, avevano preso di mira la cultura scritta.
Nel suo libro gli esempi non mancano...
«E´ una storia molto più ricca di quanto non si creda. Gli uomini infatti non appena si mettono a costruire le biblioteche, quasi contemporaneamente iniziano a distruggerle. Per Borges, la biblioteca nasce da un processo che non si conclude mai. Una biblioteca infatti non è mai finita. Allo stesso modo, anche la storia delle catastrofi che colpiscono le biblioteche è una storia infinita. Cambiano solo le modalità. Più le biblioteche sono grandi e più i rischi diventano importanti. Naturalmente ci sono le catastrofi naturali o gli errori umani, ma molto spesso la distruzione del patrimonio scritto è un atto deliberato.
Quali sono le motivazioni più frequenti?
«Il libro contiene una memoria e una cultura di cui ci si vuole sbarazzare. Colpendo i libri, si colpiscono le persone che li hanno scritti e letti. E´ successo molte volte nella storia e continua a succedere ancora oggi. Recentemente, a Poona, in India, nel rogo di una biblioteca sono andati persi 30.000 volumi. Un gruppo d´indù voleva purificare i luoghi, solo perché un ricercatore americano vi aveva lavorato, formulando alcuni dubbi sulla parentela di un re a loro sacro. Per gli indù quel re era una divinità e quindi il dubbio sulle sue origini è stato considerato un atto di blasfemia. La profanazione era quindi da punire col fuoco. Nel rogo sono andati persi molti libri rari della tradizione indù, ma probabilmente gli incendiari non si sono neppure resi conto del danno che stavano facendo alla loro cultura.
Quando avvennero le prime distruzione di biblioteche?
«Nell´antico Egitto. Akhenaton distrusse la biblioteca di Tebe nel 1358 avanti Cristo. Aveva introdotto il monoteismo e, siccome pensava di detenere la verità, pensò di fare tavola rasa delle tradizioni religiose che lo avevano preceduto. I testi scritti dai sacerdoti di Tebe, che menzionavano altri dei, vennero distrutti. Akhenaton fece anche costruire una nuova biblioteca, che però, alla sua morte, venne incendiata dai sacerdoti per vendetta. All´origine degli attacchi alle biblioteche c´è sempre un odio politico-religioso, un odio nei confronti degli uomini che viene trasferito sulle opere scritte. Il sociologo Leo Löwenthal, poco prima di morire, ne ha persino tratto una riflessione psicanalitica, che però è rimasta solamente abbozzata.
Tutti conoscono il rogo della biblioteca di Alessandria. Che può dirne?
«Ad Alessandria, dove per la prima volta venne distrutta una biblioteca universale, sono nati contemporaneamente il mito della biblioteca e quello della sua distruzione. Molto probabilmente la biblioteca fu distrutta più volte, in parte o completamente, anche se poi il mito ha tramandato solo il rogo del 48 avanti Cristo. Quel primo incendio fu un danno collaterale della guerra. Cesare infatti non aveva alcuna intenzione di distruggere la biblioteca, più realisticamente pensava di rubarne le opere per portarle a Roma. Purtroppo, durante le guerre, le biblioteche rischiano sempre il saccheggio. Quando l´esercito dei vincitori occupa il territorio nemico sente il bisogno di colpire la tradizione intellettuale degli sconfitti. In particolare quella depositata nei libri. Lo hanno fatto i Mongoli, nel 1258, quando hanno raso al suolo le trentasei biblioteche di Bagdad. E meno di un secolo prima, Saladino, che voleva cancellare ogni traccia degli sciiti, mise a sacco la famosa biblioteca fatimida del Cairo, vendendone tutti i libri per pagare i suoi soldati.
Durante le crociate vennero distrutte delle biblioteche?
«Sì, ad esempio a Tripoli e a Costantinopoli. I cavalieri cristiani saccheggiavano per spirito di rapina, ma quando il bottino non sembra loro interessante, allora bruciavano tutto. Anche gli uomini della chiesa hanno molto contribuito a quest´opera di distruzione, nel tentativo di far scomparire la religione islamica. Più tardi l´accanimento nei confronti dei libri diventerà più sistematico.
Quando?
«Nella Spagna del XVI e XVII secolo, dove le biblioteche hanno tremendamente sofferto. L´inquisizione, animata anche da un forte razzismo nei confronti di arabi ed ebrei, ha organizzato molti roghi di libri. Non a caso, gli spagnoli hanno reso tristemente celebre la parola portoghese autodafè. Torquemada, Cisneros e molti altri vescovi hanno mostrato una furia senza pari nei confronti della pagina scritta. Inoltre, nel Nuovo Mondo gli spagnoli hanno cancellato tutte le tracce scritte delle civiltà anteriori. Il patrimonio scritto dei Maya e degli Atzechi era considerato opera del diavolo e come tale andava bruciato.
Talvolta, i biblioclasti sono al contempo bibliofili...
«E´ vero. L´imperatore cinese Qin Shi Huangdi, nel 213 avanti Cristo, unifica la scrittura e costruisce un´importante biblioteca, ma al contempo fa bruciare tutte le raccolte di testi del passato. Papa Leone X, colui che nel 1515 mise all´indice i libri considerati pericolosi, fu un bibliofilo appassionato che riunì nella sua biblioteca privata testi rarissimi provenienti dalle biblioteche di tutta Europa.
La pratica di arricchire le biblioteche con testi derubati altrove è molto diffusa?
«Moltissimo. Le Bibliothéque Nationale de France e la British Library contengono una gran quantità di opere rubate. Si pensi a tutti libri razziati da Napoleone in Italia, in Spagna o in Egitto. Anche la colonizzazione dell´Oriente ha permesso di portare in Europa migliaia di testi. La Cina, ad esempio, oggi reclama la restituzione di numerose opere che appartengono al suo passato, ma i francesi e gli inglesi per il momento non vogliono restituirli. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti si servirono senza scrupoli nelle biblioteche dei paesi occupati.
A proposito dei nazisti, lei ha messo in luce un episodio poco conosciuto...
«Come tutti sanno, a partire dal 1933, i nazisti organizzarono l´autodafè delle opere di autori ebrei e comunisti. Ma qualche anno dopo, per ordine diretto di Hitler, iniziarono a costituire un´importante biblioteca di testi della tradizione ebraica. Diversi specialisti furono sguinzagliati nelle biblioteche di tutta Europa, per saccheggiare le sezioni Judaica ed Hebraica. Riuscirono a raccogliere così tre milioni di volumi che furono trasportati a Francoforte. Nessun´altra biblioteca ebraica aveva mai raggiunto una tale dimensione. Lo scopo di tale operazione era lo studio del segreto degli ebrei. Naturalmente era un fantasma di Hitler, ma in quel modo molti libri preziosissimi furono salvati dalla distruzione. Alla fine della guerra la biblioteca è stata dispersa. Molte opere sono state restituite ai legittimi proprietari, come ad esempio i volumi delle sei biblioteche parigine della famiglia Rothschild. I libri rimasti senza proprietari sono finiti negli Stati Uniti, alla Library of Congress.
Vennero razziate anche le biblioteche italiane?
«C´è un episodio noto. A Roma, due giorni prima della famosa retata del 16 ottobre 1943, i nazisti entrarono nella sinagoga del ghetto e portarono via due vagoni pieni di volumi rari. Il poeta Heinrich Heine - in una pièce dedicata ad Almanzor, colui che nel 980 a Cordoba fece bruciare la biblioteca dei califfi - ha scritto che, quando gli uomini cominciano a bruciare i libri, prima o poi finiscono per bruciare gli uomini. Mai profezia fu così tristemente vera».
Carlucci vuole una Commissione sui «testi comunisti».
La scuola è tornata al centro del dibattito politico. E, come sempre, sono state scintille a colpi di dichiarazioni. A innescare l'ennesimo scontro tra maggioranza e opposizione è stata la proposta della deputata del Popolo della libertà (Pdl) Gabriella Carlucci, appoggiata da altri 19 parlamentari pidiellini, di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta «sull'imparzialità dei libri di testo scolastici». Il progetto di legge è stato già depositato alla Camera il 18 febbraio scorso. TESTI COMUNISTI. I politici pidiellini hanno criticato ferocemente alcuni manuali scolastici, in particolare quelli di storia, colpevoli di «gettare fango sul premier Silvio Berlusconi», e di essere utilizzati come veri e propri mezzi di «indottrinamento» da parte dei professori «comunisti» per «plagiare le giovani generazioni a fini elettorali». A loro giudizio, i testi danno una visione degli eventi storici asservita al centrosinistra. Perciò, di fronte a questa situazione definita «vergognosa», i parlamentari del Pdl hanno ritenuto che il Parlamento non potesse «far finta di nulla» e per questo hanno chiesto l'istituzione della Commissione.
Le reazioni dell'opposizione: «Iniziativa da Minculpop» . Immediate le reazioni da parte degli esponenti del Partito democratico (Pd), che hanno invitato la maggioranza a ritirare la proposta di legge. «La richiesta avanzata dal Pdl per bocca della deputata Carlucci è vergognosa e da rispedire al mittente», ha affermato la capogruppo nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni, secondo cui l'iniziativa «nulla avrebbe da invidiare al Minculpop», essendo un chiaro tentativo di intimidazione «nei confronti della libertà di ricerca storica e di insegnamento». «SPETTACOLO DESOLANTE». Per la senatrice Vittoria Franco, «Il Pdl vorrebbe una scuola pubblica di regime, completamente asservita al potere del governo che vede i comunisti dappertutto. Forse Carlucci non sa che esiste il principio, sancito dalla Costituzione, della libertà di insegnamento nella quale rientra anche l'autonomia nella scelta dei libri di testo. Di analoga libertà, fino a prova contraria, godono gli editori nel pubblicare i volumi». Caustica anche la responsabile scuola del Pd Francesca Puglisi che, parlando di «spettacolo desolante», ha attaccato: «In tre anni la maggioranza ha progressivamente distrutto la scuola pubblica, umiliato chi ci studia, offeso chi ci lavora, sottratto risorse e abbassato tutti gli standard qualitativi». Anche la senatrice del Pd, Mariangela Bastico, non ha fatto sconti all'iniziativa del Pdl: «Sono il pluralismo e la libertà di insegnamento che fanno della scuola pubblica un fondamento della democrazia, costituzionalmente garantito, a irritare fortemente il premier e la maggioranza che gli fa sempre eco». «INIZIATIVA NAZIFASCISTA». A far da controcanto alle proteste del Pd anche Pierfelice Zazzera, capogruppo Idv in Commissione cultura alla Camera, che ha commentato l'iniziativa del Pdl ricordando «all'instancabile onorevole Carlucci, che sforna progetti di legge in batteria», che la Costituzione «sancisce un'Italia repubblicana, fondata sul lavoro e sulla resistenza alla dittatura nazifascista. Chi getta fango sulle istituzioni e sul nostro Paese è questo presidente del Consiglio che non ha più nessuna credibilità sul piano internazionale e che prende in ostaggio un intero Parlamento per sfornare l'ennesima legge ad personam».
Lo sconcerto degli studenti di Rete della conoscenza Il corteo degli studenti a Torino. (Foto Ansa) . A rispondere all'iniziativa dell'onorevole Carlucci, si è aggiunta anche l'associazione studentensca Rete della conoscenza: «Apprendiamo sconcertati la notizia sulla Commissione parlamentare di inchiesta sull'imparzialità dei libri di testo scolastici, giustificando questo con il fatto che la descrizione della storia politica recente del nostro Paese sia sbilanciata sui valori della Costituzione e della Resistenza». Secondo gli studenti fare intendere che «l'educazione a questi valori sia un male», non è che il tentativo «di distogliere l'attenzione dei problemi reali della scuola». STILE FASCISTA. La chiara proposta di mettere al bando i «libri comunisti», hanno continuaro i rappresentanti della Rete della conoscenza, «ricalca lo stile delle dittature fasciste», anche se «viene liquidato dicendo che questi libri non saranno messi al rogo, ma verranno segnalati agli autori i quali se non li correggeranno subiranno il ritiro dei testi dal mercato. Queste sono evidentemente le dichiarazioni più gravi».
NEL SUO BLOG, COSI' SI DESCRIVE
Noi siamo diversi Avete mai provato ad applaudire con una mano sola?
Sono Gabriella Carlucci, l’altra mano.
Classe 1959, nata per caso (padre soldato) ad Alghero ,udinese di adozione, tutte cose che hanno segnato profondamente la mia vita.
Gli anni, infatti, erano quelli del boom, della speranza, della fatica, il Friuli,la terra della mia infanzia e adolescenza fatta di gente concreta,operosa e determinata, un’educazione severa fatta di traguardi da raggiungere, senza scorciatoie, grandi valori in cui credere e forti esempi da seguire.
E’ così che sono arrivata alla politica: un impegno d’assolvere con serietà al servizio del mio Paese.
Retorica? Qualcuno può anche pensarlo, ma, lo dico al netto della presunzione, non che ero, allora, una sconosciuta senza arte né parte (ho due lauree e parlo cinque lingue), alla ricerca di un’ultima occasione.
A trent’anni avevo alle spalle l’esperienza d’inviata speciale della mitica trasmissione di Enzo Tortora, Portobello, la conduzione di due edizioni dell’altrettanto mitico Festival di Sanremo, poi ci furono gli anni di Buona Domenica, senza contare le altre trasmissioni che mi hanno visto impegnata per oltre vent’anni sul piccolo schermo: insomma avevo fatto tutto quello che una ragazza che sceglie la tv come lavoro poteva sperare di fare.
Arriva, a metà degli anni novanta, l’incontro politico con Silvio Berlusconi che già conoscevo come editore ed amico. Per essere precisi, siamo nel 1994 e mi capita di leggere il programma di Forza Italia: la mia adesione fu immediata ed entusiastica.
Così immediata ed entusiastica che un capo struttura di Mediaset (avete letto bene) mi rimproverò aspramente e cominciò uno strano periodo professionale, fatto sempre di fatica e dedizione ma in una sorta di limbo: “Per tutelare la mia immagine”, dissero.
Siccome nessuno conosce bene Gabriella Carlucci come Gabriella Carlucci stessa, il tutto servì ad accelerare una decisone presa.
E allora via con l’impegno e la propaganda, parole vecchie ma esprimono bene l’agire politica.
Non arrivavo digiuna di politica, nel ‘68 avevo nove anni (si deve sempre citare per civetteria e perché segna l’inizio del grande conformismo di sinistra), ma nel ’92 ne avevo qualcuno in più, inoltre ho avuto la fortuna (per scelta per formazione) di girare il mondo, percui la mia non poteva che essere una scelta profondamente democratica e occidentale e radicalmente anticomunista: per la libertà bisogna essere disposti alla buona battaglia.
Organizzai, con qualche sodale, la lettura teatrale de “Il libro nero del comunismo” laddove si raccontava, finalmente, senza infingimenti né salamelecchi, la vera natura di quella sventurata ideologia, che lutti e devastazioni ha seminato per il mondo. E non ha ancora finito.
In una di queste performance incontro Silvio Berlusconi, che apprezza il lavoro che mi propone di candidarmi alle elezioni politiche del 2001.
Questa volta a differenza del ‘94 accetto.
Mi spediscono in un collegio uninominale considerato perso dalla destra e vinco.
Il resto è storia recente, la ricandidatura nel 2006, il record di presenza in aula, …. numeri due legislature.
Non è che da parlamentare la mia vita migliora, anzi, l’impegno e la passione aumentano.
Sono l’orgogliosa mamma di Matteo e siccome ho scelto di essere madre cerco di fare quello che qualunque donna fa per suo figlio…lo stesso vale come moglie.
Certo, il Parlamentare, l’Aula, le Commissioni, il Collegio elettorale in Puglia, l’attività di conduttrice televisiva che non ho mai abbandonato (è il mio mestiere), non lasciano molto spazio. Però, si può fare e si fa!.......
Nel segno della dualità, tema cardine, per l’annata teatrale del Teatro del “Giullare” di Salerno, è stato rappresentato e con successo, “Indirizzo sconosciuto”, tratto da un racconto di Katerine Krussmann Taylor. La scelta è casualmente caduta sul pezzo, grazie ad Eduardo Scotti, giornalista salernitano di Repubblica, che avendo scovato il libro su di una bancarella e letto in treno, tra un viaggio e l’altro, l’ha proposto, per la versione teatrale, al “Giullare”. La storia, nel suo impianto, è semplice e conduce per mano, attraverso la lettura di alcune missive, intercorse tra i due protagonisti, dal 12 novembre 1932, al 3 marzo 1934, lo spettatore.
Trama
Due amici, il tedesco Martin Schulse e l’ebreo Max Eisenstein fanno affari insieme, nella galleria d’arte di New York. Quando Martin decide di tornare in Germania, il suo paese si sta avviando verso l’esperienza nazista. Attraverso lettere, spedite all’amico, Martin racconterà l’ascesa del Fuhrer e man mano il suo consenso. Il sentimento di amicizia, che li aveva legati un tempo, s ‘inquinerà per sempre, fino a diventare odio.
Il valore del racconto
Il racconto di Kathrine Kressmann Taylor, scritto nel 1938, racchiude in 73 pagine un vero capolavoro. 18 lettere e un cablogramma, per una corrispondenza iniziata il 1932 e che finirà nel 1934. L’epistolario ha una forza nel raccontare che non è solo ricordo degli orrori del nazismo, ma, alla luce della Storia, è monito contro tutte le intolleranze razziali, etniche e nazionaliste.
Il pensiero della scrittrice
Ma c'è un luogo in cui possiamo sempre trovare qualcosa di autentico: il focolare di un amico, dove poter condividere le nostre piccole preoccupazioni, trovare calore e comprensione, dove i meschini egoismi sono inconcepibili e dove libri, vino e chiacchiere danno un significato diverso all'esistenza. Allora sappiamo di aver conquistato qualcosa che nessuna falsità può corrompere e ci sentiamo a casa.” (Kathrine Kressmann Taylor.
Gli Interpreti e l’allestimento
Due colossi in scena: Davide Curzio ed Andrea Carraro, perfetti nel ruolo, non un cedimento, non una sbavatura, due protagonisti che si sono contesi, all’ultima battuta, la simpatia del personaggio, l’applauso, il consenso. La scena è allestita scarna, senza fronzoli di abbellimento, ma ornata da oggetti che rivelano l’identità e il lavoro dei personaggi :la scrivania, un registratore di cassa a manovella, la “Churchill”, la lampada verde, old fashion ed una vecchia poltrona, da un lato della scena, dall’altro, invece, un candelabro a sette braccia, cornici accatastate di varie misure, una cassa, qualche tappeto arrotolato. La scena è in penombra, i due personaggi si muovono quasi al buio, per rafforzare l’idea che il consenso, dato ad Hitler, è cieco. Ogni tanto, però, l’azione dei due s’illumina ed un grosso schermo, dal fondo, proietta immagini d’epoca, bellissime ed inedite, ricercate pazientemente e con grande sapienza, negli archivi russi da Vittoria Carraro
Andrea Carraro, che il pubblico è abituato ad apprezzare, più come accurato regista degli spettacoli del “Giullare”, ha, invece, giustamente interpretato il personaggio, calibrando la voce, l’immagine e la cattiveria. Martin Schulse, per ogni volta in scena, ha avuto la fisicità sovrastante di Andrea Carraro, che dello spettacolo è anche l’attento regista. Una bravura in più rilevata, tanto da chiedersi se sia stato più attore o più regista del coinvolgente pezzo della Taylor. Ma questo lui non ce lo dirà, per essere l’appassionato di sempre, di tutto ciò che fa teatro.
Davide Curzio, che del teatro salernitano ( e non solo), è la “Voce, come ogni volta, si è speso in maniera eccellente. La lettura delle missive è perfetta, l’intonazione è quella giusta, l’espressione la più adatta ed i movimenti sono accorti e lenti. La sua voce, sempre limpida, calda ed avvolgente, così accorata è nella supplica, come inespressiva e fredda nell’odio, arriva in modo diretto allo spettatore e si fissa nelle menti, anche dopo lo spettacolo. Il dialogo epistolare, ingaggiato con l’amico-nemico, è da Davide, recitato in maniera raffinata, le parole acquisiscono finanche sensualità, per il calore impresso e così il vissuto di Max – Davide, attraverso la sua recitazione, viene recepito come un’ingiustizia e ci convince che ci appartiene. Intensa e di una fisicità struggente è l’espressione di Davide, nel passaggio magistrale, quando, architettata la vendetta, capisce del successo pieno. Una bella prova, dell’inimitabile attore, che si è aggiunta a tutte le altre del suo percorso artistico.
CAST:
Max Eisenstein Davide Curzio
Martin Schulse Andrea Carraro
Costumi: Vittoria di Fluri.
Montaggio Video: Sal Labadia.
Allestimento: Bartolomeo Brancaccio.
Materiale di ricerca: Vittoria Carraro e Davide Curzio
Con una solenne cerimonia, presso il Salone dei Marmi del Palazzo di Città del Comune di Salerno, è stata conferita la cittadinanza onoraria al Maestro Mario Carotenuto. La prolusione è stata affidata a Massimo Bignardi dell’Università di Siena. Il sindaco di Salerno, On.le Vincenzo De Luca, nel suo intervento, ha detto: Mario Carotenuto è l’interprete delle nostre immagini, della stagione di rinnovamento sia della dimensione urbana con le nuove prospettive che fanno di Salerno uno dei ‘cantieri’ più vivaci dell’urbanistica e dell’architettura contemporanea. il Sindaco Vincenzo De Luca ha conferito, a nome del Consiglio Comunale e della cittadinanza tutta, la cittadinanza onoraria al maestro Mario Carotenuto che con la sua arte multiforme ha amato ed onorato la città.
L'8 Aprile presso il Complesso di Santa Sofia a Salerno è stata inaugurata la Mostra " Le Grandi Opere di Mario Carotenuto" che resterà aperta fino all'8 maggio
Biografia Mario Carotenuto nasce a Tramonti nel 1922. Dopo il Liceo a Nocera Inferiore e l’Università a Napoli, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove studia con Emilio Notte e Vincenzo Ciardo. Già nel 1945 dà inizio alla sua attività di disegnatore e pittore: nel 1948 partecipa alla Prima Annuale d’Arte tenutasi a Cava dei Tirreni; nel 1950 alla Mostra Nazionale organizzata a Nocera Inferiore. La sua prima mostra personale è del 1953 all’emeroteca dell’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno, presentata al catalogo da Aldo Falivena, mentre nel 1956, in piena adesione alla pittura realista, espone alla Galleria La Cassapanca di Roma. Successivamente amplia l’orizzonte della sua ricerca nei viaggi a Parigi, Madrid, Monaco, mentre diventano sempre più continui gli incontri con Filiberto Menna, Alfonso Gatto, Aldo Falivena, Domenico Rea, Paolo Ricci, Eduardo Sanguineti, Vasco Pratolini e Raphael Alberti: dagli inizi degli anni Sessanta, fino al 1965, dirige la Galleria “L’Incontro” di Salerno. In questo decennio la sua pittura apre a nuove esperienze, introducendo il collage, l’oggetto recuperato dal tessuto sociale, guardando alle esperienze new-dada: molte delle opere di questo periodo sono esposte nella personale organizzata alla Galleria “La Borgognona” di Roma nel 1965 presentate da Marcello Venturoli; nello stesso anno partecipa alla mostra “La critica e la giovane pittura italiana d’oggi”, organizzata dalla Galleria “Ferrari di Verona” e alle rassegne “Pittori Italiani in America”, (Galleria Roma, Chicago) e Arte Oggi (Dorn Kultury, Bratislava) entrambe del 1966. Di questi anni sono opere quali Santuario,Omaggio a Schwitters o anche il suggestivo Interno del 1965. Morisini recensendo la mostra romana, osserva che sono oggetti “estratti dal cassetto di umili cimeli di famiglia… Insomma è l’accostamento fantastico di documenti della superstizione o, comunque, di cose che appartengono ancora al presente, ma stanno scomparendo”. Sul finire degli anni Sessanta la sua ricerca artistica recupera l’impianto figurale, introducendo dei temi e degli spunti onirici, soggetti lasciati alla corrosione dei sogni, alle alterazioni delle atmosfere. In tal senso Venturoli scrive nel 1968 che ” tutta la recente pittura “surrealista” di Carotenuto è permeata di pittoresco e nasce dalla rinnovata fiducia nella realtà sensibile “. Nel 1969 la Galleria Il Catalogo di Salerno organizza una mostra antologica di opere dal 1943 al 1963, presentata in catalogo da Alfonso Gatto: nel 1970,espone alla Galleria Porta Romana di Milano, mentre nel 1971 tiene una personale alla Galleria l’Incontro di Cagliari. Gli anni Settanta segnano un momento decisivo, innanzitutto il recupero di una figurazione espressione di un attento sondaggio della storia dell’arte, quindi la pittura come “memoria della cultura “. Molte le mostre personali: nel 1972 alla Galleria Arte più, di Firenze; nel 1973 alla Galleria La Mediterranea, di Napoli e alla Diarcon di Milano. Nel 1970 Alfonso Gatto scrive ” La pittura di Carotenuto, qual’ è oggi, al punto di congiuntura della sua naturalezza e della sua ironica verità nella superstite poesia verginale ch’egli riesce a salvare indenne dalla propria violazione, come a saggiarla dalle prove in cui l’ha messa a rischio, prestandole tutti gli agguati della sua arte “. Nel 1978 espone in una personale alla Galleria La Nuova Sfera di Milano; nel 1979 La Galleria Il Catalogo di Salerno organizza una personale presentata da Vasco Pratolini, mentre nel 1981 è invitato alla rassegna Linea della ricerca artistica in Italia 1960/80 (Palazzo delle Esposizioni, Roma). Nel decennio Ottanta registra una nuova la pittura diviene confessione effusiva, sogno, relazione con il tempo e le immagini nascono le opere quali Il sogno di Giorgione, del 1981, il ciclo dedicato a Raffaello e poi le riletture da Velàzquez. Nel 1981 espone in una personale alla Galleria Rossi, di Parma; del 1982 è la grande antologica organizzata dal Comune di Teggiano e curata da Massimo Bignardi; del 1984 la mostra “Le bellissime” tenutasi alla Galleria Il Portico di Cava de’ Tirreni, presentata da Rino Mele; mentre nel 1988 è organizzata a Minori una grande mostra antologica con opere dal 1941 al 1988. Dello stesso anno è la personale “Le “Meninas” allestita presso la Galleria Il Catalogo introdotta da un testo di Rino Mele. Sempre la Galleria Il Catalogo organizza nel 2002, per festeggiare i settant’anni dell’artista, la mostra ”Festa di compleanno. Mario Carotenuto, il mare”, introdotta al catalogo da Enrico Crispolti; nello stesso anno tiene una mostra nella Chiesa di Santa Maria a Gradillo di Ravello, organizzata dalla Galleria Il Punto e presentata in catalogo da scritti di Michele Prisco, Gore Vidal e Massimo Bignardi. Nel 1994 tiene una personale alla Galleria La Seggiola di Salerno, nella quale presenta otto grandi dipinti eseguiti data questa de I sette vizi capitali nel quale realizza il dipinto La fermata. Nel 1995 è invitato alla mostra “Transiti Mediterranei” curata da Massimo Bignardi e Giuseppe Zampino ed allestita all’Istituto Italiano di Cultura di Vienna e successivamente a quello di Monaco di Baviera. Del 1997 è la personale alla Galleria dedicata agli “interni”. Del 1997 è la mostra “Il Tempo” allestita nella chiesa di Sant’Apollonia a Salerno, presentata in catalogo da Rino Mele, mentre nell’estate del 2000, la stessa sede espositiva, ospita la mostra “Mario Carotenuto – Paramenti Sacri” presentata da Paolo Apolito. Nel 2002 la Provincia di Salerno promuove un’antologica della sua pittura, dal 1938 al 1971; nello stesso anno il Comune di Vietri sul Mare ospita una mostra sull’intera vicenda spesa dall’artista in ceramica. Mario Carotenuto. Del 2005 è la personale, promossa ed organizzata dal Comune di Salerno, dedicata ai dipinti che l’artista ha realizzato nel suo soggiorno tunisino allestita nell’ex Chiesa di Sant’Apollonia; e la mostra “Notturno” allestita al Frac-Baronissi. Nell’estate del 2006 presenta allo spazio Fës Show room, di Minori la mostra “La spiaggia”; nel 2008 Massimo Bignardi lo invita alla XIII Biennale di Arte Sacra Contemporanea che si tiene al Museo Staurós e nello stesso anno tiene la personale alla Galleria Il Catalogo di Salerno, dedicata ad alcuni dipinti inediti realizzati tra il 1948 e il 1984. Ad ottobre del 2010 la galleria salernitana organizza una mostra dal titolo “Venti opere per il Presidente”, allestita injoccasione della visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Pochi giorni fa, una persona mi ha regalato una poesia. Che gesto inconsueto, in questi tempi di ostilità indifferenziata, di antipatie brucianti, di sgambetti reciproci. Questo mio conoscente in giacca e cravatta non è un artista bohemien, lavora sodo tutto il giorno, manda avanti la baracca come tutte le persone di buona volontà: e però ha conservato un angolo di cielo nella mente, dove guardare quando il mondo si fa troppo stretto e grigio. “Tieni”, mi ha detto, e mi ha dato un foglio con queste pochi e preziosi versi:
Gli altri sono troppi per me. di Mariangela Gualtieri
Ho un cuore eremita io. Sono impastata di silenzio e di vento. Sono antica. Mi pento, ogni volta che vado lontano dal mio stare lento, nella velocità della sera.
E io, che sono un frenetico, un ansioso, un divoratore di tempo, per un poco ho rallentato, almeno nella testa, ho lasciato che la sabbia scorresse senza fretta, ho preso fiato. E poi ho pensato: sarebbe bello se un giorno al mese tra amici e conoscenti e parenti ci si scambiasse poesie, proprio come pacche sulle spalle, per dire conta su di me, io ci sono e oggi ho queste parole da offrirti, e tu dammi le tue, le aspetto. Come ogni anno stiamo per entrare nella stagione dei grandi premi letterari, i romanzi incontrano la corruzione, la vanità, i soldi, la televisione, le spinte e gli spintoni. Ma la scrittura è altro, per forza deve essere altro, è un ponticello tra noi e le cose, un nulla che tiene uniti i frammenti, un’aria che apre nuove stanze. E allora dedichiamoci ancora alla poesia, regaliamo a chi vogliamo bene qualche verso importante, scriviamoli a penna su un foglio qualsiasi oppure stampiamoli con il computer, non importa.
Io ho scelto questo testo di Claudio Damiani, tratto dal suo libro più recente, “Poesie”, che ho tanto amato e per il quale ho provato a scrivere una prefazione:
Che bello che questo tempo È come tutti gli altri tempi,che io scrivo poesie come sempre sono state scritte, che questa gatta davanti a me si sta lavando e scorre il suo tempo, nonostante sia sola, quasi sempre sola nella casa, pure fa tutte le cose e non dimentica niente - ora è sdraiata ad esempio e si guarda intorno – e scorre il suo tempo. Che bello che questo tempo, come ogni tempo, finirà, che bello che non siamo eterni, che non siamo diversi da nessun altro che è vissuto è morto, che è entrato nella morte calmo come su un sentiero che prima sembrava difficile, erto e poi, invece, era piano.
Mariangela Gualtieri
Mariangela Gualtieri è nata a Cesena e si è laureata in Architettura all’IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammarturga. Fra i testi pubblicati: Antenata (Milano 1992), Fuoco Centrale (Bologna 1995), Nessuno ma tornano (Cosenza 1995), Sue Dimore (Roma 1996), Nei Leoni e nei Lupi (Bologna 1996), Parsifal (Cesena 2000), Chioma (2001).
Claudio Damiani
è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo, in Puglia, da madre romana e padre toscano dell’isola d’Elba, e ha passato l’infanzia in un villaggio minerario, ora abbandonato, ai piedi del Gargano. Dall’età di cinque anni vive a Roma, dove ha studiato laureandosi in Lettere e dove lavora come insegnante in una scuola superiore. Nel 1978 pubblica le sue prime poesie su "Nuovi Argomenti". Nel 1980, con Beppe Salvia, Arnaldo Colasanti e altri, fonda la rivista romana "Braci" (1980-84), e collabora attivamente a "Prato Pagano". Nel 1987 esce la sua prima raccolta poetica, Fraturno (Abete Editore), alla quale seguiranno, nel 1994, La mia casa (Pegaso Editore, con prefazione di Emanuele Trevi, Premio Dario Bellezza), e nel 1997 La miniera (Fazi Editore, Premio "Carnet"- Il miglior libro dell'anno). Un suo testo teatrale - Il rapimento di Proserpina - viene rappresentato nel 1986 a Roma al Festival di Villa Medici. Nel 1992, con Fabio Sargentini, cura un’antologia di artisti e poeti contemporanei: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L'Attico Editore). Nel ’95, per l’editore Fazi, cura il volume: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei. Sue poesie sono apparse in varie antologie (tra cui Des poétes in Italie, Liberté, n.213, 1994, Nuovi poeti italiani contemporanei, a cura di Roberto Galaverni, Guaraldi, 1996; Ci sono fiori che fioriscono al buio. Antologia della poesia italiana dagli anni Settanta a oggi, a cura di S. Caltabellota, F. Peloso e S. Petrocchi, Frassinelli, 1997; Contemporary Italian Poets, in Modern Poetry in Translation No. 15, King's College London, 1999), e quaderni collettivi (tra cui Poesia contemporanea. Secondo quaderno italiano, Guerini e Associati, 1992, con prefazione di Franco Buffoni