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lunedì 9 maggio 2016

Al Teatro Genovesi di Salerno fuori concorso “Mamma” di Annibale Ruccello Compagnia MaTrema di Napoli

 
 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
 
Una vecchia sedia usurata, impagliata con fili grossi, confusamente fuori dal telaio, simili a capelli scarmigliati di donna e con la spalliera rivolta al pubblico, fa bella mostra di sé. Prelude ed allude alle personalità, che di volta in volta abbraccerà ed ascolterà nella parlata così particolare dei pezzi teatrali di Annibale Ruccello, giovane commediografo di Castellammare di Stabia, prematuramente scomparso in un incidente stradale. Un linguaggio, il più conosciuto tra le lingue dialettali, di sapore antico, con parole in disuso, con altre che richiamano lontane e perse tradizioni, eppure appena si ascoltano, ritornano intatte alla memoria. Un magico mondo cristallizzato dall’idioma e in più punti evocativo, per il racconto di belle favole, di quelle ascoltate dinanzi al fuoco e riportate dalla figura più anziana di   famiglia. La conoscenza orale si fa avanti ed è proprio una favola ad iniziare lo spettacolo dal titolo: “Mamma, piccole tragedie minimali”, fuori concorso, all’interno della serata conclusiva del 1° maggio, del Festival Teatro Città di Salerno. Ad esibirsi è la Compagnia MaTrema di Napoli. Adattamento di Angela Garofalo e Monica Palomby. Quattro scene interpretate magistralmente dalle attrici Roberta Frascati, Angela Garofalo, Monica Palomby, Caterina Di Matteo.
Dal fondo stinto di bianco, un grumo nero, rannicchiato e prono, striscia biascicando una litania, riguardante un fratello violento e traditore, assassino della sorella. Si avvicina alla sedia procedendo all'indietro, mostrando piante di avampiede sofferenti e logore. “Ce steve na vota, na mamma, nu pate e doie figlie” e tra gli spazi vuoti della spalliera della sedia si snoda il racconto a tinte forti, di violenze praticate e subite da “Catarinella”, senza scrupoli e vittima di tali aberranti condizioni. Gatta furba e tragicamente vuota che paga con l'altrui indifferenza le sue malefatte condannandosi così ad una realtà grama e pesante e che solo nel finale si aggiusterà.
Storia di un delirio mistico religioso, è la seconda scena, nei suoi aspetti più degradanti e deplorevoli. La donna, un soggetto borderline s’impossessa della scena, con un linguaggio tragico, duro e inappellabile che caratterizza una deriva antropologica, ancora presente in certe realtà e canta un inno sacro alla Madonna, che si stampa sul fondale. “E se non me la canto io una vrenzola di inno sacro, voi monache non ci pensate proprio?” e va avanti per tutto il monologo con riferimenti di un recente passato, Orietta Berti, per citarne uno, ingiuriando e maledicendo a chi la tiene rinchiusa.

E’ la volta poi di un terribile mal di denti, della terza donna in scena che dà la stura ad una serie di invettive contro sua figlia, rea di essersi messa con un ragazzo di rango inferiore ed di lui “prena”.  Priva di freni inibitori per il dente dolorante, con un linguaggio sboccato e crudo apostrofa la malcapitata con epiteti volgarmente coloriti e nessuna meraviglia se il finale si conclude tragicamente.
 La sindrome ansioso-ossessiva, gravemente compulsiva, di cui soffre, infine, l'altra madre, la manifesta passando e ripassando spasmodicamente, lo straccio della polvere sull’inerte e silenziosa sedia, mentre sgrana lamentele stridule e nervose, con richiami sguaiati verso i figli, responsabili di esserci.
 Quattro squarci di vita ai margini, vissuti nella spasmodica ricerca di una identità, che non appartiene più a loro ed interpretati magistralmente dalle brave attrici, con una caratterizzazione perfetta e minuziosa, nella quale si scorgono voce, sguardo, mimica facciale, mobilità del corpo ed interamente l’anima.
Maria Serritiello
 
 

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