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sabato 12 marzo 2016

Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno “Twentyone” con la Compagnia dei Cattivi di Cuore d’Imperia

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Twentyone di Manuela Anna Greco, liberamente tratto da “Maria vita mia” di Alberto Carli, per la regia di Gino Brusco e la Compagnia dei Cattivi di Cuore d’Imperia, è stata la terza rappresentazione in gara al Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno.
Da subito lo spettacolo prende, la dolenza di una madre che di lì a poco sarà rappresentata, lo impone e di sofferenza in un’ora tonda di spettacolo ce n’è. In scena Giorgia Brusco, esile, bionda, incarnato chiaro, corpo asciutto, ricoperto da una semplice veste bianca, è sola e scalza. Lo scenario è scarno, disegnato semplicemente da sfilati di plastica trasparente, che pendono ovunque e l’avvolgono in una specie di sacca fetale. Il pulsare amplificato del cuore rendono perfetta l’emozione di essere nel suo ventre, proprio come la creatura che dovrà espellere. C’è l’attesa e c’è la consapevolezza di essere come sua figlia, all’atto della nascita, il palloncino rosso che la rappresenta. Ogni madre si finge, durante i nove mesi della gravidanza, tutti i contorni del proprio sangue, così lei, ma che dovrà dolorosamente apprendere di sua figlia dagli occhi a mandorla, a causa della trisomia 21.
“Ciao...allora, tutto bene...E' una bambina." I medici lo chiamano. Lui va e appena si gira per farmi ciao con la mano. Aspetto. In silenzio aspetto. Ritorna. C'è un problema. La bambina ha un problema grave. Lo so. Lo sento. Lo capisco." I medici dicono che la bambina è affetta da sindrome di Down." "Ne sono convinti perché hanno visto che la linea palmare delle mani è unita. Dicono che questo è un segno inequivocabile. Per loro Maria Down."...
Sono parole che la gettano in un totale inferno e senza via d’uscita, l’inizio di un lungo travaglio che durerà l’intera vita. Il monologo va avanti, scavando in profondità tutti i passaggi che questa madre dovrà compiere per giungere alla serenità del cuore, ma non è facile, anzi, dovrà, fino allo sfinimento, dalla disperazione all’imprecazione, giungere alla sublimazione del dolore.
Una volta, consapevole che sua figlia è down, inizia la sua gigantesca battaglia contro tutti, contro quelli che non le danno speranza, contro quelli che non credono nel miracolo dell’amore, così fa di tutto per educarla a vivere una vita il più possibile normale, uguale a quella degli altri o magari senza tante differenze.
  “Avevo un quadro davanti. Anzi, no. Era una tela bianca. Io dovevo dipingere il quadro. La vita di Maria. Bambina, ragazza e donna down”
Non vuole leggere la pietà sul volto di chi guarda madre e figlia, così con una forza ossessiva, l’indirizza a saper gestire il proprio corpo in tutte le sue funzioni, sarebbe stato orrendo vederla colare bava agli angoli della bocca. In questo processo di madre “feroce” come l’avrebbe definita Pier Paolo Pasolini, compie un percorso essa stessa di accettazione della diversità, una mission di coraggio e di forza, perché la sua creatura abbia nuove possibilità di vita. Sa che non deve arrendersi e non lo farà, se vuole consegnarle un futuro il più accettabile possibile.
“In quella tela ci dovevo mettere la mia famiglia. Mia madre, mio padre, mio marito, Sara, la prima figlia, la più grande, di otto anni, e i miei fratelli. Anche a loro dovevo dare una speranza. E loro dovevano essere coinvolti perché sarebbero stati importantissimi per Maria. Maria doveva avere una grande famiglia intorno e, al tempo stesso, sentirsi lei parte importante e fondamentale. Ecco, io dovevo prospettare un futuro. E certo avrei dovuto lottare e impegnarmi più del normale”.
La pièce teatrale è drammaticamente reale, il corpo asciutto, scavato e l’espressione intensa del viso di Giorgia Brusco, ne danno la dimensione. Madre e figlia legate ad un solo filo, quello della disperazione di essere sole ed infatti intorno a questa madre coraggio e a Maria non c’è nessuno, tutte e due isolate, come anche il pubblico, in balia per un’ora, all’interno del disperante monologo e a fare i conti con i sensi di colpa.
Una grandissima interpretazione di Giorgia Brusco, per la tragicità, la rabbia, la disperazione ed i contorcimenti fisici. Perfetta la sua gestualità del viso mobile ed intenso, fino alle lacrime. Con la sua recitazione essenziale, dai toni alti, bassi, addolciti, striduli ed accompagnati da una fisicità estrema, Giorgia Brusco ha stigmatizzato un personaggio ricordevole. Il testo è invaso sì, da retorica a buon mercato, ma rende alla meglio gli stati d’animo che attraversano la donna. Ottima la regia di Gino Brusco, anche per la scelta di un tema così invasivo. Buona la selezione musicale che accompagna ed esalta i momenti salienti della rappresentazione, in cui si riconoscono, brani di Ludovico Einaudi ed il Dies Irae di Mozart.
Maria Serritiello
 
 
                                                            

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