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giovedì 22 giugno 2023

Living in the box. Aperiart al civico 23

 


di maria serritiello

Nei giorni scorsi , in occasione della presentazione della Rivista in Scatola n.4, al Civico 23 di Salerno , il critico d'arte Prof.ssa Cristina Tafuri è intervenuta con una lettura interpretativa dotta, chiara ed interessante, che  è piacevolezza  riproporla per intero.




Scatola , s.f. dal vocabolario Treccani, probabilmente metatesi del latino medioevale castula, di origine germanica. Involucro di forma varia, per lo più parallelepipedo, talora cilindrica, generalmente fatta di cartone, ma anche di legno, metallo, plastica etc., sempre munito di coperchio usato per contenere oggetti svariati.

L’idea di conservare in scatola l’opera che l’artista ha prodotto è una costante nel corso della storia dell’arte, con esiti diversi naturalmente.

 L’artista francese Christian Boltanski realizzò 646 scatole di latta arrugginita a rispecchiare la forza corrosiva del tempo che passa. All’interno di queste scatole l’artista stipò più di 1200 referti fotografici e 800 documenti provenienti dal suo studio prima di sgombrarlo. Tuttavia queste scatole non si possono aprire perché sigillate e consegnate all’oblio. Piero Manzoni sigillò 90 barattoli di latta uguali a quelli usati per la carne in scatola, ai quali applicò  un’ etichetta con la scritta “ Merda d’artista”, contenuto netto g.30. Conservata al naturale, prodotta e inscatolata nel maggio 1961. Non è previsto che il contenuto della scatoletta sia conosciuto dal fruitore, che se ne può accertare solo aprendola, dunque distruggendola e annientandone il valore. Sia nel caso di Boltanski che in quello di Manzoni, le loro scatole  non sono state realizzate per essere aperte, ma dettate dal fatto che l’opera d’arte si è trasformata in mezzo di comunicazione, per cui non è l’oggetto in sé, ma la carica eversiva e dissacrante che avvalora l’operazione artistica, ma anche dal fatto che il pensiero di questi artisti, le loro idee sono state accolte dalla critica. Nell’era del consumismo di massa tutto è impacchettato, chiuso, sigillato, a volte conta più il contenitore che il contenuto in uno slittamento significativo di valori. Non a caso Christo pensò di avvolgere monumenti aree di paesaggio con un tessuto che è capace di svelare le caratteristiche di ogni oggetto nascondendole. Tutto è sottovuoto, come i pensieri e le azioni e spesso anche l’arte, ultimamente non libera ma incastrata in un sistema dell’arte. Ma ci sono anche scatole che bisogna aprire per vedere e toccare il contenuto, perché è solo quello che dà valore all’operazione. Ci sono scatole che si aprono per far circolare immagini e idee in un flusso dinamico che estende il suo significato nel circolare liberamente, come cartoline dell’esistente. A scatola aperta puoi tirare fuori il lavoro di artisti che non hanno niente in comune se non accomunati ancora dall’idea che l’arte sia frutto di pensiero e di mani, di abilità e ricerca, di emozioni e fatiche, di ragionamento e di gioco, ma soprattutto di libertà. Apriamole allora queste scatole.

Cristina Tafuri



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