Contaminazioni è
il titolo della mostra di quest’anno e 2 gli artisti espositori: il
videomaker Licio Esposito e lo scultore Arturo Ianniello.
Il critico d’arte Cristina Tafuri, invitata a
stigmatizzare il suo punto di vista, nel suo intervento, così si è espressa.
La ventesima edizione di
“Stella in Arte” dimostra come la tenacia, il coraggio, ma anche la pazzia,
possano trasformare una “magnifica ossessione”, quella di Franco Massanova,
ideatore di tale rassegna a Stella Cilento, suo paese natale, in una realtà
artistica consolidata. E quest’anno, a riprova di quanto prima affermato, a
Stella Cilento sarà inaugurato il Museo Civico a lui dedicato.
Sono passati vent’anni e
se ti volti indietro li trovi tutti, e in questo lungo tempo trascorso molte
cose sono avvenute: la perdita dolorosa di Franco Massanova, che troppo presto
ci ha lasciati, la pandemia, la guerra in Ucraina, eppure tutti questi eventi
funesti non ci hanno mai fermato. Abbiamo vissuto Tempi sospesi durante il
covid, abbiamo trovato segni e derive in questo sfacelo dell’umanità, abbiamo
cercato con la nostra arte di lasciare Orme. La mostra di quest’anno è
intitolata Contaminazioni, per manifestare e contrastare il
compiacimento appagato e idolatrante per la cruda banalità della dimensione
urbana e, con essa, la feticizzazione degli oggetti che ne testimoniano i
modelli di esistenza, determinando un uomo alienato e oppresso dall’universo
artificiale e eminentemente sensorio da lui stesso creato. Anche i due artisti
invitati alla ventesima edizione di “Stella in Arte”, Licio Esposito e Arturo Ianniello
avvertono queste inquietudini, gli sgomenti, gli urti morali, avvertono una
condizione di angoscia in cui l’integrità della coscienza è minacciata da ogni
parte, in cui la stessa vita biologica è messa a repentaglio. Naturalmente si
rendono conto che con le loro opere non possono né vogliono esprimere i confusi
sentimenti delle persone, né vogliono prendere il posto del politico, del
giornalista, del demagogo. Compito dell’arte, come afferma Hegel, è quello di
portare a livello di coscienza i più alti interessi della mente. Quindi l’arte
deve occuparsi delle reali forme esteriori di ciò che esiste e l’artista sia
esso un poeta, un pittore o un musicista, dà forma concreta alle sensazioni e
percezioni. La contaminazione, quindi, avviene anche nel confronto dei due
artisti invitati, Arturo Ianniello, pittore e scultore, si serve di
materiale abbandonato per creare le sue opere, Licio Eposito videomaker,
da anni, racconta la società contemporanea con le sue contraddizioni usando la
“grammatica” del video. Nella storia dell’arte il riuso dei materiali relativi
alla produzione artistica è molto più frequente di quanto non si creda.
Certamente l’incredibile aumento dei rifiuti nel mondo moderno è un dato di
fatto ed è indubbio che l’abbondanza dello spreco nell’attuale civiltà
occidentale abbia portato a riflessioni etiche, politiche ed economiche di
estrema rilevanza e inevitabilmente, tali considerazioni sono entrate a far
parte anche della cultura artistica. Nell’arte contemporanea lo scarto è
diventato protagonista, ma il modo di rielaborazione varia: l’assemblaggio, è
la sua utilizzazione come elemento materico da comporre secondo schemi
astratti, l’inserzione, il suo collegamento ad altri materiali secondo libere
scelte dell’artista, il camuffamento e /o trasformazione, il suo uso nascosto
per non apparire ciò che è, e infine la riproduzione, la sua stessa
rappresentazione come oggetto di una diversa operazione creativa. Queste
operazioni sono state sperimentate da Arturo Ianniello rivelando da un lato
l’amore privo di pregiudizi per la forma in sé, per cui il bello è anche il
detrito, il relitto, dall’altro la riflessione sull’immoralità dello spreco e
la sua denuncia, esplicitata dal riciclaggio e dall’esibizione. Ianniello
recupera ciò che la società abbandona, soprattutto il ferro, le lamiere, gli
scarti industriali per produrre opere che dialogano con lo spazio circostante,
come queste realizzate per la mostra di Stella Cilento. Tra le sculture e la
natura, si instaura un rapporto univoco, quasi un corpo a corpo con gli alberi,
lasciando che le sue installazioni vivano nella terra come totem che indicano
la transitorietà della nostra esistenza. I rapporti tra le arti visive, il
video, la fotografia e il cinema (già considerato da Carrà nel 1914 (caldissima
oscurità cubica) hanno subito fin dai primi anni settanta profondi mutamenti.
Vittorio Fagone, che ha seguito attentamente le nuove esperienze in questo
settore, scrive che “fotografia, cinema, video non si pongono come elementi
esterni di registrazione, accessori alle pratiche artistiche, ma come tecniche
che possono portare a una riformulazione dell’opera visiva, a una vera e
propria espansione dell’immagine”. Gli strumenti della videoart sono quelli tipici
delle trasmissioni televisive: telecamera, monitor, collegamenti in diretta, e
l’intervento dell’artista consiste principalmente nel trattamento elettronico
delle immagini, con modifiche di forme e colori realizzati al computer.
Naturalmente la sensibilità dell’ artista, la conoscenza dei mezzi a sua
disposizione fa sì che la sua narrazione si discosta profondamente da ciò che
altri mezzi di riproduzione delle immagini trasmettono, per costruire storie
con tecniche sempre più perfette, con immagini e suoniche, come nei lavoridi Licio Esposito, affascinano lo spettatore
o lo inchiodano allo schermo, sia quando racconta storie di artisti o registe
pioniere dei primi anni del cinema, sia quando entra nel tessuto della nostra
società, raccontando come solo lui sa fare l’uccisione di Peppino Impastato e
di Angelo Vassallo, senza declinare nell’orrido o nel violento, ma attraverso
immagini che recupera nelle pieghe della memoria.Nel video “Assurdo necessario”, un uomo
completamente solo in un paesaggio urbano desolante testimonia l’angoscia
dell’uomo moderno, in una società che ha determinato l’atrofia della
sensibilità, creando un essere che difficilmente merita di essere chiamato
uomo, un automa dall’occhio inespressivo, annoiato e indifferente, il cui solo
desiderio è la violenza in una forma o nell’altra. Le sue distrazioni preferite
sono gli stadi sportivi, la farsa, il sadismo televisivo, la dedizione alla
droga e il gioco d’azzardo. L’assurdo necessario allora. Licio Esposito con
maestria e, permettetemi, con grazia, racconta tutto ciò, e con i mezzi della
tecnologia, fa sì che stiamo ancora attorno al fuoco ad ascoltare storie.
Testo: Cristina Tafuri
Docente di Storia
dell'Arte presso Liceo Artistico "Sabatini - Menna" Salerno
8 anni per ritornare di
nuovo a Villa Guariglia, dove sono nati, senza però dimenticare i luoghi che in
questi anni hanno ospitato, ben volentieri, la pregevolezza dei concerti, con
la durata dal 4 luglio al 2 agosto. L’ Area Archeologica di Fratte si è più
volte animata per diffondere, in egual misura ora musica, ora teatro ed ora
canto. Un programma fatto di artisti prestigiosi, che con grande cura, Tonia
Wilburger, da 26 anni mette a segno senza mai sbagliare un’edizione. Con grande
capacità manageriale unita ad una passione che letteralmente la divora, riesce
a superare ostacoli, impedimenti, burocrazia, imprevisti ed avversità.
Coadiuvata da Patrocini: Provincia di Salerno, Comune di Salerno, Comune di
Vietri sul Mare e sostegni dal Conservatorio di Musica Giuseppe Martucci di
Salerno, Camera di Commercio, C. L. A, A, I, Imprese, Coldiretti Salerno, Fondazione
della Comunità Salernitana, Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, Acli.
Per Sebastiano Somma
l’area archeologica è stracolma, già 8 anni fa è stato presente nell’area
etrusca con un altro spettacolo: Lucio incontra Lucio ed anche quella
volta fu successo. Si giunge nell’area di Fratte, piacevolmente discosta dalla
city, riuscendo anche a parcheggiare senza tanti giri, spinti dall’area afosa,
di questa estate infuocata e sull’onda del ricordo di Massimo Troisi, che con
il suo ultimo e straordinario film ‘Il Postino’ ci ha fatto conoscere o
riscoprire la carnalità delle poesie di Pablo Neruda. E ad apertura di
spettacolo, è proprio la poesia “Nuda” a richiamare le immagini del film, dove
un Troisi, scarno ed affaticato, la recita, emozionandosi. Lo spettacolo prende
il via alternando stralci di vita di Neruda, con musica, canto e danza. Sapremo
del suo incontro con Matilde Urrutia, una cantante e scrittrice cilena, del loro
folle amore, lui un uomo sposato, alla sua terza ed importante storia d’amore.
Non è sempre stato facile stare insieme, Neruda, infatti era ancora legato alla
seconda moglie, Delia del Carril, quando incrocia Matilde, per cui i loro
incontri clandestini furono vissuti tra Berlino, Nyon, Roma e nel paradiso dell’isola
di Capri, dove i due amanti si sposarono simbolicamente, uniti dalla luna, ma è
solo nel 1966 che si uniranno in matrimonio civilmente, per iniziare a vivere a
pieno il loro amore. All’interno della storia, c’è anche il golpe del generale
Pinochet e la morte del poeta, seguita di poco e non prima di essersi
rammaricato, perché svaniti i sogni di democrazia e di libertà. La musica che
ha accompagnato l’atto finale dello spettacolo, segno che Il Postino, è stata
l’idea ispiratrice dello spettacolo, è proprio il tema centrale del film,
scritto da Luis Bacalov, Oscar 1996. Mi
piace, qui, ricordare, che la musica del film è stata scritta, sì, da Luis
Bacalov, ma in collaborazione con i nostri musicisti italiani Sergio Endrigo
e Riccardo del Turco, una sentenza del tribunale ne attesta la certezza.
Lo spettacolo in sé poteva essere eccezionale,
per la passione di cui si occupa e cioè del grande amore tra Pablo Neruda e
Matilde Urrutia, ma non è andato al di là della sola sufficienza, per non aver
dato corpo al tormento amoroso dei due amanti; non si è avvertito il loro
pulsare, né hanno fatto sentire il loro sangue scorrere nelle vene, eh sì che
Neruda ne ha scritti di versi passionali. Una regia scolastica, dunque, una
recitazione disinvolta quella di Sebastiano Somma e Morgana Forcella e
senza stravolgere i canoni dell’emozione. Il bravissimo attore, interprete di
tante Fiction di successo, beniamino del pubblico, non solo femminile, indubbia
è la sua beltade, si è espresso con avarizia e senza convinzione, trascinando
con sé anche la moglie Morgana Forcella, ovvero l’appassionata, nella
realtà di Pablo Neruda, Matilde Urrutia. Anche gli stacchi dei ballerini, Enzo
Pedulano e Francesca Accietto, che dovevano rafforzare la passione
del racconto, sono stati troppi, interrompendo più volte il ritmo del recitato,
con un’inutile ripetitività. Il canto di Emilia Zamuner, è stato l’unico
ad incidere passione.
Un’altra serata
bellissima, delle 15 di ogni sera, stigmatizzate dal 15 luglio, gratuitamente,
nel sotto piazza della Concordia, con Ron che canta Lucio Dalla,
l’indimenticabile e poi il sipario si è chiuso sulla 35esima edizione del
Premio Charlot 2023. La passerella degli artisti che scendono in campo è sempre
di tutto rispetto, grazie, al Patron Claudio Tortora, che con tanta semplicità
riesce ad assemblare un programma di 15 serate, una più impegnativa dell’altra
e ad invitare a Salerno calibri artistici come: Massimiliano Gallo, Violante
Placido, Antonio Milo, Adriano Falivene, Maurizio Vandelli, Stefano Veneruso,
Francesco Montinari, Simone Tamaro, Corrado Ardone, Sergio Rubini, Francesco Di
Leva, Ornella Muti, Mogol, Peppe Iodice,
Massimo Masiello per citarli, più le celebrazioni dei compleanni di Lucio Dalla
e Lucio Battisti ((80 anni) e Massimo Troisi (70). Ed ancora per la sezione
Charlot Monello uno spettacolo delizioso “Transylvania” per la regia
di Antonello Ronga. Tutti personaggi, protagonisti del mondo dello
spettacolo, venuti al Premio Charlot, per ritirare l’ambita statuetta che li
premia e li celebra.
Il filmato
Prima di ogni serata,
presentate dal garbo e dalla professionalità indiscussa di Cinzia Ugatti,
che ha reso amabile anche le interviste di personaggi non di spettacolo, è
andato in onda il filmato del talentuoso regista, Antonello Ronga, che
celebra l’edizione corrente. Qualche parola in più per Antonello Ronga, oltre a
dire che è un bravo regista, bisogna volentieri spenderla, perché ha l’anima di
un fanciullo cresciuto, la sensibilità di un uomo buono e la capacità artistica
dei grandi protagonisti dello spettacolo, con l’umiltà di chi sa che crescere
nell’arte è una ricerca continua. Quest’anno il protagonista delle sue immagini
è stato Claudio Tortora, che nella sua mente, fin da piccolo ha avuto il
grande Charlie Chaplin. Maglietta rosa un filo di barba in più, lo ritroviamo
dinanzi la locandina dell’arena ad accarezzare il bozzetto di Charlot, quasi ad
evocare la sua immagine e magia la vede, la rincorre per le vie della città,
verso lo storico stadio Vestuti, tra i vicoli del centro storico, lassù in alto
all’Arechi, lungo il mare e verso il teatrino dei burattini ed il porto tra le
barche e le passerelle, fino ad arrivare a Largo Barbuti, dove sul palco, già
pronto per la tradizionale rassegna, c’è lui, il caro Charlot, che a gesti lo
invita, sempre, poi, a scomparire al suo avvicinare. Il grazioso omino non va
cercato fuori, nelle strade, Egli è nell’animo di Claudio Tortora, legato alla
sua persona, che manca poco ad una sua identificazione e non è detto! Il
messaggio subliminale di Antonello Ronga, è che 35 anni di questo ambito premio
è entrato nel tessuto della città e si colloca ogni metà luglio di ogni anno
come “cosa” salernitana. Grazie Antonello e grazie Claudio per questa poesia
iniziale ad ogni apertura di serata. In lontananza nel mio immaginario (N.D.R.)
sento l’evocatrice musica di “Luci della Ribalta” il film che mi fece conoscere
un così grande ed eccelso uomo di spettacolo.
La Gara
Una delle serate più
significative di quelle approntate per la kermesse è, senz’altro, quella
dedicata ai comici esordienti, che si sono sfidati gareggiando tra loro. Sono
stati di numero 6, tre donne e tre uomini ed il pubblico, muniti di penna e
foglio predisposto, hanno forato la preferenza. I concorrenti dal nome Rosa
Di Sciuva, Davide DDL, Raffaele Nolli, Lunanzio, Madame Vrainage e Serena
Tumbarello, invitati a produrre il loro numero da Alessio Tagliento,
umorista, autore televisivo e regista milanese, ma una vecchia conoscenza di
Salerno per aver condotto laboratori di preparazione alla comicità al Teatro
Ridotto di Salerno, si esibiscono dinanzi un pubblico attento, consapevoli
dell’importanza del premio. Nell’attesa dello scrupoloso conteggio, per
ingannare il tempo, una gradita e piacevole performance di Vicenzo Comunale,
Premio Charlot 2016. Lanciatissimo, ormai, si esibisce stabilmente a
Zeling, ottenendo successo di pubblico e di critica. Vincenzo è un ragazzo di
27 anni, che a soli 20 anni ha vinto l’ambito premio per la sua capacità di
affabulazione, i suoi monologhi, che scrive da solo, sono di elegante fattura,
la lingua italiana non gli è sconosciuta e le puntate in dialetto condiscono il
tutto. L’intelligenza gli è compagna e le sue osservazioni, ricche di spunti
del quotidiano, le riversa con naturalezza e semplicità sul pubblico. Alla base
c’è cultura di fondo e si vede.
Il Premio Charlot 2023 è
di Raffaele Lolli
Il Premio della Critica è
assegnato a Lunazio
A premiarli, sul palco,
un emozionato Gianluca Tortora, di padre in figlio e nel segno di Charlot.
Che gli “Arteteca”
fossero divertenti è cosa risaputa, ma che col tempo siano diventati bravi
comici, quelli, per intenderci, che si fanno apprezzare per il tempo giusto,
per le battute a raffica, per l’intelligenza del testo che arriva a tutti,
senza fare arricciare il naso ai puristi della lingua, è stata una piacevole
conferma.
Li seguo da sempre
(N.D.R) da quando a Paestum, dove il Premio Charlot era approdato, per quelle
strane anomalie che succedono a volte, me li ritrovai sul palco, poco più di due
giovanetti, a fare il verso a quelli che si scrivevano su Facebook. Siamo agli
inizi di questa malattia collettiva e non c’era neanche WZ a fare da
contraltare!
Seduti su due sedie, con
le tastiere sulle ginocchia si collegavano con quegli appellativi strani,
adatti a mantenere la privacy, all’inizio, sicché la conversazione iniziava
così: “Ciao super dotato 68’. “Ciao passera solitaria 80’. “Da dove chatti”,
chiede lei. “Dalla cucina” gli risponde lui. Lei incalza “Come ti sei fatto” e
lui “Ti sbagli è stanchezza” Imperterrita lei “Che carattere hai? “New romance 14” è la risposta di lui. Due
sprovveduti della tastiera, da usare di nascosto, anche se lei è già più
capace, perché sa cosa vuole da quella chattata. Siamo nel 2011 e di cammino ne
hanno fatto i due giovani, tanti successi raccolti, tanti spettacoli e
partecipazioni a Made in Sud, sulla Rai, che li hanno fatto conoscere al grande
pubblico.
Grandi scopritori di
talenti la famiglia Tortora, nel caso si cita il patron Claudio Tortora,
il capostipite a creare il Premio Charlot, dove tutti dal primo
all’ultimo, su quella pedana vincente, sono passati e così anche gli Arteteca.
Da
tre anni Gianluca Tortora, degno erede, mette su, quale direttore
artistico, una rassegna estiva dal titolo “R. Estate con noi” nell’arena
del Teatro Charlot di Pellezzano (SA) in collaborazione con il media
partner RADIO BUSSOLA 24. Un programma di tutto rispetto, in una zona
discosta dal centro cittadino e che offre vantaggio di qualità: il parcheggio.
Gianluca Tortora
assieme al socio Piermarco Fiore hanno scommesso su questo teatro, che
era stato abbandonato e senza un progetto attivo che lo facesse risplendere. Grazie
alla ferrea volontà e la capacità imprenditoriale dei due giovani, il teatro si
è ripresa la scena, per cui si alternano eventi che soddisfano il pubblico. Ieri
sera Monica ed Enzo, ovvero il duo che fa coppia anche nella vita, hanno
divertito molto, il pubblico accorso. Lei sempre pronta ad esaltare i punti
deboli di Enzo, lui vittima sacrificale, che si offre con rassegnazione, per la
buona riuscita dello spettacolo. Ed eccoli i vari sketch che puntano sulla loro
vita matrimoniale e quella precedente: dove andiamo in vacanza,
l’appuntamento al buio, l’invito a cena della suocera allergica al prosciutto,
offrendole manicaretti a base di quel prodotto, quando un uomo ha 36,00 di
febbre, il primo appuntamento, Sara, lo loro figlioletta, in scena( la bambola),
i tamarri, la regina dello shatush, dove passiamo le vacanze di natale, ma
la loro bravura sta nell’ improvvisare battute spontanee con il pubblico,
pratica molto comica che evidenzia una perfetta sintonia tra loro, un leggersi
a memoria, che scampo non ce n’èper
nessuno. Ebbi a dire, tempo addietro, dopo un loro gradevolissimo spettacolo al
Teatro Ridotto di Salerno, che come coppia comica richiamavano gli
ineguagliabili Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, dopo averli visti,
ieri sera, al teatro Charlot di Pellezzano (SA), confermo il mio giudizio. Sono
proprio bravi, si comprendono velocemente e cambiano i ruoli con una rapidità
sorprendente. Due ore e forse più, trascorse nel sano divertimento, dove a
ridere sono stati proprio tutti, grandi e piccini.
Maria Serritiello
Un po' della loro storia
artistica
Dopo aver seguito dei
corsi di formazione ed aver maturato varie esperienze teatrali, nel 2005 nasce
un gruppo chiamato “Lazzari felici” formato da Monica Lima, Enzo Iuppariello
ed altri due giovanissimi attori: Claudio Greco e Francesco Iacono. Nell’anno 2005
i Lazzari felici vincono il premio nazionale “premio Totò alla comicità” ed
entrano nella stagione di alcuni teatri a Napoli, come il “Centro Teatro
Spazio”, il “Caffè cabaret” e il teatro “Troisi”. Nell’anno 2006, vengono
riconfermati nelle stagioni teatrali del 2005, e rientrano anche in quella del
teatro “Palcoscenico” di Napoli. Il 7 Luglio 2007, nasce il duo di cabaret “Gli
Artétéca”, formato da Monica Lima ed Enzo Iuppariello. Nello stesso mese il duo
vince il premio nazionale “Festival del cabaret di Manciano” – Grosseto. In agosto
sono finalisti ai premi: “Ridiamoci su” di Vico Equense – Napoli “Valsugana
Ridens” di Levico Terme – Trento “Avanti il prossimo” di San Giovanni Teatino –
Chieti. Ad ottobre vincono il premio “Ridi che ti passa” di Afragola – Napoli
In questi mesi partecipano a varie trasmissioni televisive, tra le quali “Buona
Domenica” e “Seven Show”. A dicembre partecipano al prestigioso premio di
cabaret “Bravo Grazie” in onda su Rai due. A seguire Made in Sud, film e tanto
altro.
Il 23 di giugno alle ore
19, 30 circa, nello spazio magico della Galleria
Armando Cerzosimo di Via D Procida in Salerno, si è dato seguitoalla serata conclusiva del Concorso fotografico Professione Reporter Memorial Antonio
Serritiello, indetto dalla sorella Maria, per mantenere viva la sua
memoria.
“Si
muore realmente, quando nessuno più ricorda il suo nome”
Quando
si sparisce dalla memoria delle generazioni future,
quando
scompare tutto ciò che si è stato,
quando
il mondo di affetti e con esso
gli
oggetti,le azioni,le emozioni,i turbamenti,
la
vita intera scompareperché non c’è
reminiscenza,
e
su chi non c’è più, cala definitivamente il drappo del lutto.”
La serata ha preso il via
con il benvenuto ai presenti da parte della sorella di Antonio, che ha spiegato
il perché del tema di quest’anno, concorso alla sua terza edizione.
Il perché del tema di
quest’anno “Ti scrivo da…” è da ricercare nel nostalgico desiderio di
ritrovarsi tra le mani le cartoline di saluti spedite, un tempo, dai luoghi di
vacanza o di necessità lavorativa, che non se ne scrivono più. Eppure per molti
di noi, le colorate vedute di paesi lontani che ci facevano scoprire posti
nuovi, portavano allegria e sentimenti.
Nel ricevere il
rettangolo illustrato si avvertiva l’attenzione affettiva di chi l’aveva
spedita; a volte il pensiero scritto era atteso spasmodicamente da riceventi
particolari: gli innamorati ad esempio, che per periodi più o meno lunghi (il
servizio militare, lavoro o altro) vivevano la separazione.
Le cartoline, inoltre
avevano la capacità di promozionare il nostro patrimonio artistico con
elementarità e di far fruire con gli occhi, oltre che con l'immaginazione, i
luoghi simbolo.
L’hobby della raccolta
delle cartoline unitamente a quella dei francobolli, inoltre, era un simpatico
passatempo; a volte si intrecciavano gare per avere il possesso di cartoline
più esotiche possibile.
Altri tempi, appartenuti
alla nostra storia non certo recente, ma pur sempre da considerare, se la
fotografia è anche documentazione.
Il tema proposto, nel
tentativo di superare il surplus d’immagini dedite alla sola tavola imbandita
con dovizia o al cibo che ci si appresta a mangiare, si prefigge di rilanciare
la sana e bella abitudine di scegliere ed inviare la "cartolina" che
più veicola a il nostro messaggio, con luoghi, paesaggi, immagini, orizzonti,
costume e tradizioni.
Di seguito ha preso la
parola per dare particolari sull’andamento del concorso, il dott.re Vito Egidio Ungaro, amico carissimo
nonché collega d’ufficio di Antonio e cioè che dopo attenta lettura delle
immagini, (circa 120), inviate dai 50 partecipanti, la giuria ha selezionato le
12 foto che sono in bella mostra esposte in galleria e che lo saranno per 10
giorni, per quanti volessero visitarle. La commissione giudicatrice, di questa
terza edizione, è stata costituita dai fotografi professionisti Armando Cerzosimo e Antonio Rinaldi,
coadiuvati da Maria Serritiello e con il supporto organizzativo di Vito Egidio Ungaro dell’Associazione Spazio
Up Arte e di quello tecnico di Nicola Cerzosimo.
L’allestimento
e la mostra è stata curata da Pietro Cerzosimo / Studio fotografico di Via Roma
210 Bellizzi – Salerno
50
partecipanti, da tutt’Italia, sono una bella cifra per
il successo dell’iniziativa che ricorda Antonio e quello che più conta, grazie
a loro, ha varcato l’ambito locale, ben augurante per le prossime edizioni.
Successivamente prendono
la parola Antonio Rinaldi, che testimonia la scelta operata durante la
selezione e la dolcissima, quanto spigliata Vittoria, ultima erede della
dinastia fotografi Cerzosimo, che ha letto lo scritto del padre Armando,
assente per giusta causa: il lavoro.
Il critico d’arte,
Cristina Tafuri ha dato lettura delle immagini esposte in mostra, in maniera encomiabile,
riuscendo a far rivivere con le parole le foto, una seconda volta.
Un vero blitz, la
presenza del Sindaco della città di
Salerno, Architetto Vincenzo Napoli, che saltellando su ogni manifestazione
in città è voluto essere presente per testimoniare l’affetto che lo lega ad
Antonio, quale cugino e fratello di tante battaglie politiche. Ha avuto commosse parole
di rimpianto per la sua insostituibile persona.
Si è passato alla
premiazione
PRIMO PREMIO – VINCITORE CONCORSO
Stampa di 12 foto a sua
scelta in formato 30x40 su carta fotografica con bagno chimico all'argento e
contenute in un elegante cofanetto. Scultura ceramica del M° Lucio De Simone.
AUTORE
CITTA'
Maurizio
Anfossi Nichelino
SECONDO
PREMIO – PREMIO DELLA CRITICA Coupon di € 25 per la
stampa di fotografie. Scultura ceramica del M° Lucio De Simone.
AUTORE
CITTA'
Fabrizio
De Marco Preturo Irpino
TERZO
PREMIO – FOTO PIU' VOTATA SUL SITO Coupon di € 25 per la
stampa di fotografie. Scultura ceramica del M° Lucio De Simone. AUTORE CITTA'
Palma
Vitiello Scafati
PREMIO
SPECIALE – SPAZIO UP ARTE
AUTORE
CITTA'
Alberto
Bertone Bruino
Prima di concludere la
cerimonia e passare al buffet, perché questa terza edizione vuole ricordare
Antonio con l’affettività serena, consapevole che tutto ciò che si è fatto è
stato possibile grazie alla cordata di amicizia di cui Antonio in vita si è
sempre circondato e dalla quale in qualche modo Lui non si è mai
definitivamente allontanato. A riprova lo scritto, inviato al Memorial, da un
suo caro amico, Franco Malinconico,
che così lo ricorda
Caro Antonio, come sempre
ti parlo col cuore: mi manchi.
Il tuo sorriso...sotto i
baffi, la tua voce....calda e calma, la tua amicizia...cara e sincera, le note
della tua chitarra....gradita poesiaTutto questo è in me, sempre presente, non ti cerco, perché so che ci
sei, continuo a parlarti col cuore, nei miei intimi pensieri quotidiani,
rivolti a tutte le persone a cui voglio bene, che sono entrate nella mia vita e
non andranno mai via. ho una montagna di ricordi di vissuto insieme, e piano
piano che discendo la montagna, andando a ritroso nel tempo, affiorano tanti
episodi che ci legano. quasi la totalità di questi è piacevolmente sereno,
tanto da farmi sorridere con gioia.
Ci siamo conosciuti
sull'oratorio dei Salesiani e da lì, correndo dietro un pallone, il nostro
percorso si è unito in un'amicizia fraternamente indissolubile.
Le prime partite giocate
assieme, esultando nella vittoria e rattristandoci nella sconfitta; le prime
sigarette, metà ciascuno; le prime scarrozzate in motorino, unendo i soldini per
un litro di miscela; le prime conoscenze femminili, confidandoci le preferenze;
le prime feste fatte in casa, spesso da te, col consenso e le raccomandazioni
di tua sorella; il gruppo dei "maggiori", fondato sui salesiani, con
una sala tutta nostra; l'invenzione e la realizzazione del primo spettacolo
musicale e di quiz sul palco del teatro salesiano, con il seguito di tanti
altri; le tante gite fatte assieme, sempre uniti e sempre complici a difesa di
uno per l'altro....non basterebbero i fogli di un libro, per annotare cinquanta
anni di amicizia. A parte il bene che ci unisce, c'è un episodio che non
dimenticherò mai e che ho il piacere di raccontarlo, perché mi riempie di gioia
e mi fa ridere.
Avevamo conosciuto due
ragazze, eravamo giovanissimi, e passeggiando con loro, in una tarda ora
pomeridiana d'autunno, già buia (all'epoca la ritirata era prima di
"carosello"), ci fermammo a lungomare su due panchine diverse,
isolate e in penombra.
Siamo sempre stati dei
bravi ragazzi, un poco ingenui ma dal cuore d'oro, non facemmo nulla di male,
riuscimmo a trovare il coraggio di baciare ognuno la sua partner. dopo una
mezz'oretta tutti e quattro ci accorgemmo che era quasi ora di
"carosello", ci salutammo con la promessa di rivederci ancora. Mentre
rincasavamo, Antonio ed io, ci confidammo le piacevoli sensazioni e la
piacevole serata, ed ognuno confessò di averla baciata. Beata ingenuità di
altri tempi, chiesi ad Antonio: "e se restano incinte?" Per tutta
risposta e con "saggezza" Antonio disse: "non credo, ma penso
che siamo troppo giovani perché ciò accada".
Dopo circa un anno,
sempre a lungomare, riconoscemmo quelle panchine e ricordammo
quell'interrogativo ... ci piegammo in due dal ridere, fino a piangere dalle
risate.
Ti voglio tanto bene e
voglio ricordarti con gli occhi bagnati dalle risate e col cuore felice della
spensierata gioventù.
L’Appuntamento resta
fissato per Professione Reporter Memorial Antonio Serritiello 2024.
P.S. l’evento ogni anno
vede la luce ad opera dell’amorevole partecipazione di Armando Cerzosimo che mette a disposizione mezzi tecnici e luogo,
perché io continui ad avere con me Antonio vicino e di Vito Egidio Ungaro,
soccorrevole ad ogni mio problema logistico, che va oltre l’amicizia che lo
lega da ragazzino e successivamente come collega d’ufficio. Infinitamente
grazie.
Nei giorni scorsi , in occasione della presentazione della Rivista in Scatola n.4, al Civico 23 di Salerno , il critico d'arte Prof.ssa Cristina Tafuri è intervenuta con una lettura interpretativa dotta, chiara ed interessante, che è piacevolezza riproporla per intero.
Scatola , s.f. dal
vocabolario Treccani, probabilmente metatesi del latino medioevale castula, di
origine germanica. Involucro di forma varia, per lo più parallelepipedo, talora
cilindrica, generalmente fatta di cartone, ma anche di legno, metallo, plastica
etc., sempre munito di coperchio usato per contenere oggetti svariati.
L’idea di conservare in
scatola l’opera che l’artista ha prodotto è una costante nel corso della storia
dell’arte, con esiti diversi naturalmente.
L’artista francese Christian Boltanski
realizzò 646 scatole di latta arrugginita a rispecchiare la forza corrosiva del
tempo che passa. All’interno di queste scatole l’artista stipò più di 1200
referti fotografici e 800 documenti provenienti dal suo studio prima di
sgombrarlo. Tuttavia queste scatole non si possono aprire perché sigillate e
consegnate all’oblio. Piero Manzoni sigillò 90
barattoli di latta uguali a quelli usati per la carne in scatola, ai quali applicò un’ etichetta con la scritta “ Merda
d’artista”, contenuto netto g.30. Conservata al naturale, prodotta e inscatolata
nel maggio 1961. Non è previsto che il contenuto della scatoletta sia
conosciuto dal fruitore, che se ne può accertare solo aprendola, dunque
distruggendola e annientandone il valore. Sia nel caso di Boltanski
che in quello di Manzoni, le loro scatole
non sono state realizzate per essere aperte, ma dettate dal fatto che
l’opera d’arte si è trasformata in mezzo di comunicazione, per cui non è l’oggetto
in sé, ma la carica eversiva e dissacrante che avvalora l’operazione artistica,
ma anche dal fatto che il pensiero di questi artisti, le loro idee sono state
accolte dalla critica. Nell’era del consumismo
di massa tutto è impacchettato, chiuso, sigillato, a volte conta più il
contenitore che il contenuto in uno slittamento significativo di valori. Non a
caso Christo pensò di avvolgere monumenti aree di paesaggio con un tessuto che
è capace di svelare le caratteristiche di ogni oggetto nascondendole. Tutto è
sottovuoto, come i pensieri e le azioni e spesso anche l’arte, ultimamente non libera
ma incastrata in un sistema dell’arte. Ma ci sono anche scatole che bisogna
aprire per vedere e toccare il contenuto, perché è solo quello che dà valore
all’operazione. Ci sono scatole che si aprono per far circolare immagini e idee
in un flusso dinamico che estende il suo significato nel circolare liberamente,
come cartoline dell’esistente. A scatola aperta puoi tirare fuori il lavoro di
artisti che non hanno niente in comune se non accomunati
ancora dall’idea che l’arte sia frutto di pensiero e di mani, di abilità e
ricerca, di emozioni e fatiche, di ragionamento e di gioco, ma soprattutto di
libertà. Apriamole allora queste scatole.