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giovedì 6 settembre 2018

Appunti di lettura di Ferdinando Bianco, medico







Ferdinando Bianco è nato a Terzigno, in provincia di Napoli, ma ha svolto la sua attività di medico, prima a Savoia di Lucania ed il restante ad Avigliano in Basilicata. Ha due passioni, la frutta, meglio se colta dall'albero e che mangia a iosa, ed il tennis, sport nel quale è particolarmente versatile, ma essendo un uomo di scienza, e ' in costante studio della prospettiva scientifica della problematica esistenziale, ovvero, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo (il brodo primordiale). Da diversi anni dipinge con tecnica mista e colori pigmentati e variamente assemblati. Ha un curriculum espositivo di una certa importanza. Le sue opere possono essere visitate sul suo sito: biancoferdopere.

Il dott.re Bianco è un accanito lettore di tutto ciò che fa accrescere la conoscenza, compito arduo se si è vissuti avviluppati nelle credenze della comunità. Per noi ha letto " L'illusione della conoscenza" degli studiosi Steven Sloman ePhilip Fernbach e che nelle righe successive prova a dare una breve sintesi della lettura, per introdurci alla tematica 



Gli esseri umani hanno sviluppato società e tecnologie molto complesse, ma la maggior parte di noi non sa nemmeno come funziona una penna o una bicicletta. Com'è possibile che si sia ottenuto così tanto nonostante si comprenda così poco? Gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach sostengono che noi sopravviviamo e prosperiamo malgrado le carenze della nostra mente perché viviamo in una ricca comunità della conoscenza. La chiave della nostra intelligenza sta nelle persone e nelle cose intorno a noi. La natura intrinsecamente collettiva della conoscenza spiega perché spesso supponiamo di saperne di più rispetto a quanto effettivamente sappiamo e perché i metodi didattici e di management basati sul singolo individuo spesso falliscono. Ma le nostre menti collaborative ci permettono anche di fare cose incredibili. Questo libro sostiene che il vero genio può essere trovato nei modi in cui creiamo l'intelligenza usando la comunità che ci circonda.
Le credenze sono difficili da cambiare perché sono avviluppate nei nostri valori, nella nostra identità e sono condivise con la comunità in cui viviamo. In più, le credenze che abbiamo nella nostra testa sono poche e spesso errate, modelli causali, perché si sono andate strutturando in tempi e modi durante i quali, non solo non eravamo dotati di conoscenze che consentissero una deliberata consapevolezza ma propensi a costruzione di adeguate e sostenibili credenze. Si viveva periodi di grande vulnerabilità che faceva il paio con una voglia di apprendere, per migliorare ed affilare le proprie armi in un contesto afflitto e caratterizzato da conoscenze sempre più complesse, nonché incontrollabili nel numero degli ambiti e nella complessità e profondità dei contenuti e dalla turbolenza esplosiva delle stesse. Cresciuti a pane e credenze, false, a scrocco e disponibili quasi solo per noi ci siamo sempre ritirati nelle proprie stanze affidandoci toto corde all’ illusione di conoscere le cose dal momento che la comunità risponde in modo appropriato alle mie esigenze conoscitive specie se le stesse sono spesso ridotte al lumicino. Demandiamo sempre di più agli altri, intendendo per altri non solo i componenti la nostra comunità ma anche i mass media e i dispositivi elettronici con tutto l’ambaradan ad essi connesso, non ultimo gli audiolibri e i viaggi virtuali, ancora per fortuna non molto diffusi in Italia ma già ben presenti all’estero. Qualche volta, si fa per dire, la nostra comunità sbaglia e spesso noi, per l’ illusione della conoscenza che ci guida non siamo neanche presi dal dubbio di tale sbaglio e non sentiamo neanche il bisogno di verificare la nostra personale comprensione delle cose. E’ la ricetta perfetta per un pensiero antiscientifico con tutto ciò che questo comporta. Non a caso la rivista scientifica “Le Scienze” in occasione del suo 50* anniversario ha sentito il bisogno di dedicare a tale argomento tutta una serie di articoli volti a giustificarne e glorificarne l’importanza, incaricando Chiara Lalli, docente alla “Sapienza” di Roma, insieme a Carlo Cattaneo, docente anche lui, il compito di sviscerare in tutta la sua complessità, senza trascurare alcun dettaglio il ruolo giocato dalla Scienza nello sviluppo armonico e funzionale di una Società che intendesse fare della democrazia la sua cifra stilistica più significativa. La conoscenza deliberata e scientifica alla fonte della vita, dunque, la conclusione che deve sgorgare limpida e pulita dal bailamme delle informazioni-imput con i quali il contesto sociale-politico reale subissa la nostra comunità e noi stessi. E se prima si poteva pensare che all’origine del disamore per la Scienza ci fosse solo un problema di colmare un deficit, alla luce degli studi fatti in proposito si è capito che non è più un problema di vuoto da colmare ma di acquisire la consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma, che se da un lato vede impegnati i ricercatori e con essi i divulgatori scientifici a rivedere il loro modo di porgere la Scienza, dall’altro vede la società tutta impegnata a incentivare la formazione di credenze più scientifiche partendo, se il caso lo richiede, dalla consapevolezza che si può sbagliare e che ci si deve sempre sentire impegnati a rivedere le proprie conoscenze sulla base delle ultime conquiste della Scienza stessa. Pena una deriva antiscientifica catastrofica per tutti perché si diventa più vulnerabili e più manipolabili da possibili malintenzionati. Come dire che il nostro rapporto con una conoscenza scientifica consapevole assume un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo armonico nostro e della nostra comunità forse cominciando a considerare il dubbio che la nostra comunità possa sbagliarsi in merito alla utilità della Scienza.

















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