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domenica 26 febbraio 2017

La “Governante” di Vitaliano Brancati in scena al Teatro Genovesi di Salerno con la Compagnia dell’Eclissi



Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

"La governante" di Vitaliano Brancati, un'opera del 1952, due anni prima della prematura scomparsa dell'autore siciliano, è stata presentata al Teatro Genovesi di Salerno, dalla Compagnia dell’Eclissi. L' opera, nella sua versione originale, consisteva in tre atti e quattro quadri, che il regista Marcello Andria, con una sapiente e sagace opera di restyling, ne ha esaltato l’intensa drammaticità, in un’ora e dieci minuti di rappresentazione, adattata in un unico atto, ma conservando i quattro quadri originali.
La famiglia Platania, siciliana e borghese, composta da Leopoldo, il vecchio padre vedovo, da Enrico, il figlio di lui, impenitente donnaiolo e dalla nuora Elena, svagata e pseudo intellettuale. La coppia ha due figli e si sono trasferiti da Catania a Roma. Per la badanza dei bambini assumono una governante francese, Caterina Leher, austera e di religione calvinista, ma nella casa vive anche l’ingenua e selvaggia Jana con mansioni di cameriera. L’anziano Leopoldo, per i pregiudizi della sua morale, ha causato la fine della figlia, che muore suicida. A tutti Caterina appare un modello integerrimo di moralità e nessuno sospetta, meno che mai Leopoldo, che invece lei, vive segretamente la sua omosessualità. Per combattere la sua natura ed allontanare da sé la tentazione, non esita ad attribuire a Jana, calunniandola bugiardamente, le sue stesse tendenze, procurandone il licenziamento. L’ingenua e fedele serva, nel rientrare in Sicilia, ha un incidente e muore. Intanto Caterina viene scoperta da Leopoldo, in atteggiamenti licenziosi con la cameriera, che ha preso il posto di Jana. Non sopportando il giudizio della sua colpevolezza, né resistendo al rimorso di aver calunniato, con premeditazione, l’ingenua Jana, Caterina si uccide.
L’opera, sebbene sia datata e per certi versi superata dalla realtà odierna, almeno in ambito sessuale, ha dalla sua una sceneggiatura intricante e ben strutturata, oltre che una tematica ancora interessante, per quanto riguarda la possibilità di una consapevolezza della propria essenza umana e sociale e di un’analisi approfondita ed acuta delle problematiche dell'inconscio, freudiano, allora molto in voga, ma anche a fare da legamento alle tematiche tanto care a Pirandello, nel ribadire l'origine siciliana. La scena si apre in un interno di famiglia agiata, in fondo da un’ampia finestra s’intravedono dal drappeggio di una tenda i "Tetti di Roma", il dipinto di Renato Guttuso, mentre sui lati, quinte dai margini superiori sghimbesce e dai colori, che ripetono quelli del quadro del fondale. Un tavolo tondo per quattro persone, con altrettante sedie ricoprono parte della scena nel fondo, poi comode poltrone sulla destra, con un divano rosso, in primo piano ed infine sulla sinistra un tavolino su cui è appoggiato il telefono, con accanto una poltrona per rispondere comodamente alle chiamate. Nell’alloggio, Leopoldo Platania fa da incontrastato depositario delle convenzioni, che devono regnare tra le quattro mura della casa, intorno a lui ruotano le varie figure del dramma, che si va costruendo a mano a mano. Spesso nelle conversazioni, Leopoldo e Caterina duellano tra loro, sulla rigida ed ossessiva cultura calvinista di lei e sulla tolleranza, sugli alibi e le giustificazioni di lui, che, intriso di una morale conciliante e favorevole al compromesso, giustifica la sua morale di buon cristiano. La pièce, gradevole nei dialoghi, anche se girano intorno alla morale ed al suo opposto, si compone altresì di spaccati sulla società italiana, sempre propensa alla doppia moralità, di quale ruolo abbia la politica, della necessità degli intellettuali e degli insinceri rapporti familiari e sociali. Nel testo, dell’acuto Vitaliano Brancati, non si poteva non inserire, nella sua stupida fatuità, il gallismo maschile, (Enrico ed Alessandro), sempre alla ricerca dell’eterno femminino, la vacuità del personaggio femminile (Elena), Jana, per forza descritta ingenua e selvaggia, destinata a vittima sacrificale e Francesca, la nuova cameriera, più disinvolta, propensa ai piacere della carne. A scomporre il quadro, di una società tipicamente borghese, ingabbiata in rigidi schemi sociali, in cui ognuno fa la sua parte, ci pensa la governante, con la sua natura anomala per palesare quanto sia ipocrita la società in cui sono immersi. “Si fa, ma non si dice, e chi l'ha fatto tace, lo nega e fa il mendace e non ti dice mai la verità”. Così cantava Milly, nel fox-trot del 1935 di Vittorio Mascheroni, musicista dei più grossi successi dell’epoca che ricorda, molto da vicino, la battuta di Alessandro Bonivaglia che, nel dramma, ricopre il ruolo dell’intellettuale scrittore: «Moralità? La moralità italiana consiste tutta nell’istituire la censura. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno e dicono tutto il giorno. ».
Il dramma, per come si conclude, è una pièce che la Compagnia dell’Eclissi ha fatto interamente sua, senza essere da meno degli illustri predecessori del teatro italiano: Anna Proclemer e Gianrico Tedeschi. Un mostro di bravura si è rivelato Enzo Tota, come sempre del resto, ma è significativo ripeterlo, per come, anche questa volta, ha cesellato il personaggio di Leopoldo. Perfetta Marianna Esposito, l’interprete di Caterina, corpo fragile e forte movimenti misurati, istinti contenuti fino alla calunnia, lacrime vere a rigarle il viso e recitazione naturale. Significativa anche la prova degli attor giovani della Compagnia: Marco De Simone, Marica De Vita, Mario De Caro, che di volta in volta si vanno migliorando e caratterizzano con naturalezza i personaggi a loro assegnati. La continuità è assicurata! Un vero cammeo, il personaggio reso da Felice Avella, impegnato anche nella direzione artistica. Come sempre brava Angela Guerra per la direzione di scena e dei costumi, silenziosa e raccolta, ma il suo lavoro appare, eh sì che appare. Appropriata la musica di scena di Roland Dyens e Roberto Grela, riuscita la scenografia del bravo Luca Capogrosso e ottima la scelta del testo e la messa in opera di Marcello Andria, regista sensibile e buon ricercatore di opere di grande pregio da proporre.
Maria Serritiello
 
 

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