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domenica 26 febbraio 2017

Al Teatro Genovesi ha avuto inizio la nona edizione 2017 del Festival Nazionale del Teatro XS Città di Salerno


 
di Maria Serritiello
 
 
Il Festival Nazionale del Teatro XS Città di Salerno 2017, una tradizione consolidata nella realtà della città, organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi, è giunto alla sua nona edizione ed ha avuto inizio, domenica 19 febbraio con la Compagnia TeatroOltre di Sciacca (AG), in “Sono le storie che fanno ancora paura ai mafiosi” Il monologo scritto da Franco Bruno, che ne è anche l’interprete, ruota intorno alla vera storia di Lia Pipitone, figlia del boss Antonino Pipitone e mandante della sua uccisione. L’atto unico, della durata di un’ora e un quarto, è un intenso recitato che non lascia spazio alla distrazione per ciò che esprime i scena e cioè i sentimenti affettivi e familiari, sottoposti alle rigide leggi scritte della mafia. Antonino come novello Abramo, dunque, e Lia simile ad Isacco, solo che nel caso del Patriarca, l’obbedienza era dettata da Dio Salvatore ma nel caso del boss, dalla cieca ed innaturale legge che costringe, per la sottomissione, ad uccidere la propria figlia, aderendo alla volontà di un infame. Franco Bruno nel suo monologo è affiancato da un attore che, per somiglianza somatica, ricorda Giovanni Brusca, (a volte il caso!) e sceglie la prospettiva di stare dalla parte del mafioso-padre, naturalmente non è che un artifizio teatrale, perché ben si comprende da che parte sta. Parlare dall’interno della cosca feroce e da capo mafia, ne esalta la tragicità, ne evidenzia l’assurdo codice che tra di loro vige e fa montare un’emotività rabbiosa contro chi, il 23 settembre del 1983, condanna a morte sua figlia. Un lavoro pulito, senza strascichi, una messa in scena elementare di due picciotti, che simulano una rapina nel negozio di sanitari del rione Arenella di Palermo, dove la ragazza si era recata per compere e bang, bang, due colpi alle gambe ed al torace ad ucciderla sul colpo. Lia aveva appena 24 anni e la ragione della sua morte? La fuga d'amore a diciotto anni, la voglia di andare via da Palermo, le poesie di Pablo Neruda, la musica di Francesco Guccini e, soprattutto, l'amicizia con un altro ragazzo, lei maritata e con figlio, che dal quartiere tutto, è identificata in una relazione extra coniugale. Tutte le notizie riguardante il fatto ce le cantilena, il bravo Franco Bruno, dal forte accento siculo, con domande retoriche che rivolge a se stesso ed al pubblico, ma di cui già si conoscono le risposte, per riscuotere il consenso ed ad attirare tutti dalla sua parte.
Ed ecco l’inizio, con il sipario dischiuso a metà, in attesa dell’apparizione del “capo”, dal sottoposto picciotto, che con il capo mafia Antonino Pipitone divide la scena, tutta paura e rispetto mentre dal fondo del teatro, con passo sicuro, ma volutamente lento e meritevole di riguardoso silenzio, sale sul palco un signore in un completo nero, un borsalino dello stesso colore, calato sulla fronte ed aria sicura, di chi sa che ha rispettato il codice d’onore di “cosa nostra” in barba alle leggi umane e dello stato. Il picciotto, dalla mimica facciale eccellente, non fa che tenersi a rispettosa distanza, cercando di carpire ogni emozione o desiderio che sia per soddisfarli in ogni modo come piace a “Vossia”. A sipario completamente aperto si scorge una palandrana-toga, inutilmente appesa, tanto la legge qui non vige, un leggio in primo piano, due sedie unite dagli schienali ed una poltrona più elegante, dove si accomoderà con impudenza “Lui”. Pareti scarne, essenziali e nere, il colore del lutto, quello che verrà narrato. Di tanto in tanto a spezzare l’intensa tragicità del racconto ed a coinvolgere gli spettatori ad essere parte integrante dello spettacolo, s’innestano degli artifizi classici da tragedia greca, come la parabasi del ballo tra il pubblico, sulle note di uno struggente tango o dispensando pizzini esplicativi sulla modalità d'azione della mafia, un utile momento didascalico per tutti. Gli scritti minimi sono delle esagerazioni che solo una mente bacata può accettare e servono all’interno del monologo a confondere i pensieri degli spettatori che, fin dall'inizio, si sono posti la domanda se sia stato o meno lui ad organizzare la morte della figlia. Il dubbio rimane alla fine? No, è solo l'ufficialità legale che lo assolve. Il silenzio calato intorno ad un fatto di sangue così eclatante, accaduto ad un capo mafia e rimasto impunito, la dice lunga, i due picciotti mai trovati e l’amico di Lia, morto suicida il giorno dopo, lasciando scritto che si sarebbe ucciso per amore, fa il resto. Un bell’inizio al Festival XS di Salerno, eccellente la prova dell’attore Franco Bruno ed encomiabile quella di scrittore, quando si fa teatro teso a far conoscere, a quante più persone possibili, delitti impuniti e scrivere portando avanti l’impegno civile e nel caso di Franco Bruno, con tanta bravura, i complimenti non sono mai troppi. Ben calato, in una parte in ombra, ma sempre ben al centro della scena il picciotto, dalla superba espressività corporea, soprattutto nelle espressioni da ritardato compulsivo Efficace la musica dell’inizio, di genere sfacciatamene neo melodico, a sottolineare il gusto alternativo degli strati sociali più bassi, a cui il personaggio appartiene, come essenziale il malinconico tango ballato tra il pubblico e i colpi sordi battuti sul tamburo che riecheggiano i colpi sparati. Significativa l’oscurità calata sulla scena a rendere cupo e truce il recitato.
Maria Serritiello

 

 
 

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