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giovedì 11 febbraio 2016

Al Teatro Diana di Salerno “Ti parlerò d’amore”




 
 
 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

A colpire più di tutto, nel testo teatrale “Ti parlerò d’amore” di Gianni Gori ed Alessandro Gilleri, presentato dal 5 al 7 febbraio, al Teatro Diana di Salerno sono le vere lacrime, negli occhi nerissimi, dell’artista Andrea Binetti, nell’interpretazione dello sfortunato attore di cabaret del dramma musicale. Se ne comprende la ragione, quando va avanti la recitazione e ci si ritrova in una Berlino anni trenta su cui piovono le leggi razziali, oltre che le imponenti parate delle Olimpiadi.
Due sfortunati artisti di cabaret, lui e lei, una coppia di fatto, per l’aiuto vicendevole che ne ricavano, sono alla ricerca affannosa di lavoro e nel frattempo vivono in un piccolo appartamento, dove l’unico arredo sono una serie di valigie a varia dimensione. Lui, gay, sogna Parigi e con essa la libertà, lei ebrea e di dubbia identità sessuale, immersa nel sogno dal nome Marlene Dietrich, spera di raggiungere, da lei chiamata, l’America.
L’atmosfera diventa sempre più cupa, le notizie, che giungono nel ristretto ricovero non sono rassicuranti, pur tuttavia trovano resistenza nella giovane che ama Berlino e sente immorale l’allontanamento. A mantenere su, tutto lo spettacolo ed a creare atmosfere fumose di certi locali, tanto cari al terzo Reich, è la raffinata scelta musicale a cui i due interpreti, Marzia Postogna e Andrea Binetti, hanno prestato la voce, di pregevole purezza e di notevole estensione vocale. L’impianto della rappresentazione è quello classico per il richiamo alla mente d’immagini, tratte dall’ Angelo azzurro della Dietrich, dal Cabaret di Liza Minelli e da Victor Victoria di Julie Andrews, ma ha qualcosa in più, non maschera grottesca disegnata sul volto, come il cabaret dell’epoca ma disperata dolenza. Il testo di prosa e musica ha la sua forza nel tema trattato, virtuosamente delicato, che è quello della diversità e dell’emarginazione. Ci sono all’interno dello spettacolo punte di assoluta commozione, quando con tono inespressivo si vanno ad elencare le leggi che codificano la diversità dei due e di tanti altri come loro. Bravi gli interpreti Marzia Postogna e Andrea Binetti, a trasmettere tutto il gelo di quell’elenco.
“Ti parlerò d’amore” è un ottimo lavoro venuto su con la complicità di Tommaso Tuzzoli (Regia), Pier Paolo Bisleri (Scene e Costumi), Nino Napoletano (Luci), Corrado Gulin (Musiche di scena), Federico Dal Pozzo (Effetti sonori).
Lo spettacolo, ha, inoltre, piacevolmente spolverato la memoria, e raffinata è la scelta, su brani di Kurt Weill, Berlin in Licht, di Surabaya Johnny da Happy End e Youkali, per continuare con George Gershwin, Irving Berling, e Robert Stoltz , non mancano  pezzi della nostra Italietta.
Nella chiusa, una toccante Das lied ist aus (La canzone è finita), consegna alla comprensione il drammatico finale.
La casa del contemporaneo, centro di produzione teatrale, presso il Teatro Antonio Ghirelli, sulla Lungo Irno, per lavori di manutenzione, è momentaneamente appoggiata al Teatro Diana, recentemente ristrutturato e sorto dalle ceneri da uno squallido ed abbandonato cinema a luci rosse degli anni ’70, di via Lungomare Trieste. A fine di febbraio gli spettacoli riprenderanno al Ghirelli.
 
Maria Serritiello
 
 

Al Ridotto di Salerno il laboratorio Zelig On the Road

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Diverso dal solio, il clima al Teatro Ridotto, il tempio della comicità cittadina, venerdì 5 febbraio per il laboratorio Zelig on the Road Salerno. Da quest’anno, infatti, il laboratorio, e ve ne sono nove in tutt’Italia, che sceglie il cast da mandare a Zelig di Milano, si tiene a Salerno, l’unica città ospitante in tutto il Meridione. A presentare la serata, che ha le stesse caratteristiche di uno spettacolo, è Francesco D’Antonio dei Villa Perbene, il trio comico di cui fa parte insieme a Chicco Paglionico ed Andrea Monetta.
Il pubblico è di prevalenza giovanile e ciò rende la serata scanzonata, a tratti chiassosa, ma senza dubbio divertente. Dietro le quinte i comici scalpitano con l’adrenalina a mille ed esorcizzano il debutto vociando in massa “merda” che è poi l’augurio in uso tra gli artisti. Il grido risuona nitido tra il pubblico e ciò fa sorridere le persone di una certa età. Per loro, giovani promesse, la serata al Ridott, ha somiglianza ad un esame, con il pubblico che sperimenta se la loro comicità funziona o meno.
 Lo spettacolo principia con Francesco D’Antonio che saggia i presenti coinvolgendoli in battute spontanee, ma viene interrotto, ad arte, da Giovanni Perfetto, Peppe Gallo ed Andrea Monetta.  Chicco Paglionico, lanciatissimo per le sue performance a Zelig, ed egli stesso coordinatore del laboratorio, regala al pubblico le sue gag sull’Ikea e sul divertentissimo personaggio “Adriano Cilentano”.
Si esibiscono nell’ordine i “I Malgrado Tutto”, sempre più carichi, sempre più energici e padroni della scena, Luca e Luca, il Mago Peppe, Gabriele Rega, Lorenzo Brancaccio, tutti sufficientemente divertenti, ma nulla di più. Dilettevoli, invece, sono risultati, i video dei Villa Perbene.
 
Maria Serritiello
 
 
 
 
 

venerdì 5 febbraio 2016

Vincenzo De Luca assolto in appello, cade lo spettro della sospensione





Fonte :Ansa Campania.it

Condanna primo grado aveva fatto scattare la legge Severino

Il governatore della Campania Vincenzo De Luca è stato assolto "perché il fatto non sussiste" nel processo d'appello per la nomina di un project manager nell' ambito di un progetto per la costruzione di un termovalorizzatore a Salerno. In primo grado era stato condannato a un anno, pena sospesa, condanna che aveva determinato nei confronti di De Luca la sospensione dall' incarico di presidente della Giunta regionale per effetto della Legge Severino, provvedimento poi sospeso dal tribunale

 
 

“Emigranti” di Slavomir Mrozek al Piccolo Teatro del Giullare

Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello


Il 30 ed il 31 gennaio, al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno è stato rappresentato il lavoro del drammaturgo polacco, Slavomir Morozek, Emigranti, per la regia di Lucio Allocca, con Andrea Avagliano e Fulvio Sacco.
Il lavoro, di buona fattura, per la solidità rappresentativa, figura la solitudine e l’emarginazione di due uomini che, in una città non definita, vivono la triste condizione di emigrante. Essi coabitano in un sottoscala, arredato con l’essenziale, due brande, un tavolo, due sedie, qualche oggetto ricordo, una pianola. Il luogo è senza finestre, abbastanza angusto e tubi di scarico, dalla forte sonorità, sono ben visibili all’interno. Stanno insieme per convenienza, per l’evidente risparmio, ma nessuno dei due ha affinità con l’altro, infatti l’uno è un intellettuale, il secondo poco più di un bifolco. Ciò che li unisce, malgrado l’estrazione culturale, le speranze e il diverso stile di vita è l’impossibilità a farcela da soli. Essere in un paese straniero, lontano dagli affetti, dalla famiglia, dalle tradizioni, dal panorama che si fruisce ogni giorno e a mancare sono perfino gli oggetti, per cui sotto le brande sono nascoste, una sacca ed una valigia con le povere cose, è dura e paradossalmente, tale situazione unisce l’uomo del popolo all’intellettuale.
Il luogo in cui vivono s’intuisce essere una grande città che vive gli agi in contrapposizione al blocco sovietico, severo e triste. E’ l’ultima sera dell‘anno e fino alla cantina giungono schiamazzi di divertimento dai piani superiori, il contrasto è stridente, per loro che non hanno neppure da mangiare, se non qualche scatola, che risulta, poi, essere cibo per i cani. L’operaio quando è libero dal lavoro si lucida le scarpe, si pettina e va in cerca di calore umano sulla stazione, là almeno non si paga e può immaginare di attendere qualcuno, forse l’avventura con una donna. L’intellettuale, invece, è chiuso nel suo mondo astratto di teorie, che l’aiutano a smaterializzarsi. Le ore passano, nel misero ricovero e di cose se ne dicono, più l’intellettuale, l’anarchico bakuniniano, a danno del rozzo popolano che, prendendo coscienza del suo stato all’interno della società, sprofonda nella disperazione.
Emigranti è uno dei lavori più interessanti del drammaturgo polacco, per aver tratteggiato la figura e la condizione dell’emigrante, un requisito che ha riguardato uguale tutta l’Europa del secolo scorso. Buona l’intuizione del dialetto di uno di essi per rendere il personaggio più veritiero e fraternamente unito al sud. Gli attori Andrea Avagliano e Fulvio Sacco hanno reso un’efficacie caratterizzazione dei personaggi, sicché di frenetica ed esuberante fisicità, l’uno, misurato, perfino flemmatico e con linguaggio forbito, l’altro. Uno spettacolo decisamente gradevole anche per la buona regia di Lucio Allocca, le scene di Alessandro di Mauro e i costumi di Anna Verde
 
Maria Serritiello
 
 


Al Delle Arti di Salerno una targa per ricordare Peppe Natella



Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Da giovedì 28 gennaio una scritta di lucida bellezza, dell’artista salernitano Nello Ferrigno, dedicata a Peppe Natella, “O Prufessore”, prematuramente scomparso, accoglierà gli spettatori nel foyer del Teatro Delle Arti. Di colore bianco, luminescente e con un faro acceso che le invia luce, come una pira perpetua, la scritta, che verga il nome dell’indimenticato Peppe Natella, è scarna. Un graffito di colore rosso, segni sottili per ricordarlo nel tempo, proprio in quel teatro che fortemente aveva voluto e così immaginato, infatti il luogo prima non era che il refettorio del seminario regionale. Anche il “Delle Arti”, come già i Barbuti, assieme a Claudio Tortora, Gaetano Stella, Pina Testa, Marcello Ferrante, era una sua creatura, amava prendersi cura di luoghi abbandonati per farli rivivere.
Schivo, appartato, soprattutto un uomo del fare, tanto che è difficile elencare tutto ciò in cui si è prodotto, ma alcune sue creature sono segni indelebili dell’immaginario cittadino: il Teatro dei Barbuti, il Presepe dipinto di Mario Carotenuto, i Mercatini natalizi e la Fiera medievale del Crocifisso ritrovato. Il “Professore”, lo era stato veramente, era il cuore pulsante del centro storico, nessuno avrebbe scommesso, Lui sì, perché sapeva credere nello splendore futuro, su Largo dei Barbuti, un posto di assoluto degrado. In un centro storico devastato dal terremoto, l’anno era 1983, Peppe Natella, lungimirante, ebbe l’intuizione di montare un palcoscenico sotto le stelle per fare teatro e musica fra i vicoli più angusti della città. Il primo spettacolo “Festa, farina e forca” di Corradino Pellecchia, con le musiche di Gaetano Macinante, la regia di Andrea Carraro e le scene di Massimo Bignardi appartiene alla storia del teatro salernitano e a portarlo in scena fu la “Compagnia delle corde”, con attori che provenivano da diverse compagnie salernitane. Da allora sono passati 32 anni e la Rassegna estiva del Teatro dei Barbuti è un appuntamento irrinunciabile dell’estate salernitana.
E così il 28 gennaio, al Delle Arti, sono stati in tanti, amici- attori, a volergli testimoniare tutto l’affetto per ciò che era e la stima per il suo operato, ad iniziare dal balletto siriano, firmato Pina Testa, omaggio alla sua multietnicità, per continuare con le note dolcissime del sassofono di Guido Cataldo, insieme avevano frequentato lo stesso gruppo di boy scout. Si srotola la pellicola del tempo e ad uno ad uno, si avvicendano in scena, in un silenzio commosso: La Bottega San Lazzaro, con due pezzi cari al Professore, Filomena Marturano e Natale in casa Cupiello, il gruppo danze storiche, Chicco Paglionico, Corradino Pellecchia, Matteo Salzano, Matteo Schiavone, Angelo Di Gennaro, Compagnia dell’Arte, Fondazione Gatto, Andrea Carraro, Marino Cogliano, Teatro Novanta, Il Professional Ballet, Lucia Lisi, Marcello Ferrante, Ugo Piastrella, Diana Cortellessa, Alfonso Andria, Claudio Tortora.
Pezzi di storia del teatro salernitano e della sua cultura, raggiata intorno con esaltata passione e cui, il Professore, non ha fatto mai mancare il suo appoggio fattivo, senza essere mai protagonista anche se di fatto lo è sempre stato. Nel libricino –ricordo, dispensato a tutti all’ingresso e su cui hanno appuntato un pensiero personale molti amici, contribuendo a tracciare il suo generoso profilo si legge:
 “Per tutti Peppe era il Professore. Professione che di fatto ha svolto. Ma anche fuori dalla scuola era rimasto il Professore. Il colore azzurro dei suoi occhi dava alla vita, che lui attraversava con grande piglio, il senso dello spazio, dove senza misura si alternavano le tante tinte della sua arte. Il rosso del teatro, il verde del coraggio che dà speranza, l’arancione della creatività, con il quale disegnava una scena o scriveva un pensiero, che poi trasformava in evento. Il grigio della solitudine che lo avvolgeva quando non era compreso, il blu delle atmosfere che sapeva creare, il nero nei momenti bui, che sapeva superare con il piglio da leader, il rosa della delicatezza, con la quale sapeva aiutare e recuperare il bisognoso o l’emarginato. Aveva in sé tanti colori che riusciva a mischiare nei suoi tanti progetti, nelle tantissime sfaccettature del su carattere, dietro le quali spesso era difficile stargli dietro…”
A scrivere è stato Claudio Tortora.
 
Maria Serritiello
 
 
 
 
 

giovedì 4 febbraio 2016

La città di Salerno piange il pasticciere Agostino Arienzo





Fonte: aSalerno. it

Lutto per la famiglia della pasticceria salernitana, Agostino aveva 42 anni, protagonista di una grande opera di rinnovamento dell'attività nota in tutta la regione

Mio padre Alfredo passava sempre, al ritorno dalla messa, in questa pasticceria e a volte portava i suoi nipotini. Il padre di Agostino, Carmine, l'omaggiava sempre di un dolce. Era diventato una persona di famiglia. Fosse vivo si sarebbe dispiaciuto tanto (sema)


Tutta la città di Salerno piange per il lutto che ha colpito la famiglia della pasticceria salernitana, è deceduto ieri Agostino Arienzo. Il pasticciere 42enne aveva, con grande qualità di rinnovamento, preso in mano le redini della nota attività in via Silvio Baratta, subentrando al padre Carmine Arienzo e portando avanti la tradizione prestigiosa che ha fatto conoscere il cognome degli Arienzo associato ad una vera e propria arte per i dolci artigianali. I funerali di Agostino Arienzo si svolgeranno questo pomeriggio, alle 15.30 nella chiesa di Cappelle


mercoledì 3 febbraio 2016

Cinema: 40 anni fa nasceva il cult-movie 'Taxi Driver'






Fonte :Ansa.it

Disagio e violenza nel film di Scorsese Palma d'oro a Cannes

''Dici a me? Dici a me? ... Ma dici proprio a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui''. Questa la scena cult dal film 'Taxi Driver', quella più famosa, o almeno quella che è rimasta nell'immaginario di tutti di questo capolavoro firmato da Martin Scorsese e scritto da Paul Schrader nel 1976. Ovvero la scena in cui Travis (un giovanissimo De Niro lontano dalle commedie di oggi) fa pratica con la pistola davanti allo specchio.
E questo in un percorso di vendetta che vede il taxista contro il mondo intero: ''brutti figli di puttana ne ho avuto abbastanza. Ho avuto anche troppa pazienza sfruttatori, ladri, vigliacchi, assassini''. E ancora, nel film sulfureo, le notti insonni di Travis Bickle, passate nei più sporchi cinema a luci rosse.
Era l'8 febbraio 1976, ovvero quaranta anni fa, quando Taxi Driver usciva nei cinema USA. Tre mesi dopo trionfava a Cannes con la Palma d'oro e successivamente veniva candidato a quattro Oscar (miglior film, attore protagonista Robert De Niro, attrice non protagonista Jodie Foster, musiche originali scritte da Bernard Herrmann).
Ma dall'Academy, come spesso accade, non arrivò alcun premio. Venne sconfitto da Rocky. Diversa la critica di Roger Ebert: ''Taxi Driver è un inferno, dalla sua inquadratura iniziale, quella di una macchina che viene fuori da una nuvola di vapore, alla sequenza finale della sparatoria in cui la macchina da presa finalmente guarda in basso".
La storia è quella nota Travis, ex marine reduce del Vietnam congedato nel 1973 e un disadattato. Scrive un diario e ha tra le sue passioni la visione di film pornografici in sporchi cinema a luci rosse. Di notte guida il suo taxi. Travis è attratto da Betsy, impiegata dello staff elettorale del senatore di New York Charles Palantine, ma le cose con lei non vanno bene. Basta una sola uscita e lei non vuole rivederlo più.

Quando nel suo taxi entra una prostituta di 13 anni di nome Iris (una Jodie Foster bambina) cercando di fuggire dal suo protettore, Travis scopre solo una grande voglia di salvarla dal suo destino. Dopo aver cercato, senza alcun successo, di uccidere il senatore Palantine durante un comizio, simbolo per lui di tutto il male borghese che anima il mondo. La sera dello stesso giorno torna a salvare la sua Iris in un bagno di sangue.

Viene così considerato un eroe, e la stessa Betsy torna a guardarlo con altri occhi. Ma Travis ora non è più interessato a lei. E' cambiato e forse, ma nessuno lo sa davvero, resterà il violento che ha scoperto di poter essere.