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martedì 1 ottobre 2013

Claudio Lardo in “Il pallone di pezza” prima assoluta a Buccino (Sa)


Fonte:www.lapilli.eu
Il 14 settembre scorso, a Buccino, nella chiesa di Sant’Antonio Abate, Claudio Lardo, attore salernitano di teatro e cinema, ha presentato “Il pallone di pezza”, un intenso  monologo teatrale, tratto da un episodio descritto da Enzo Landolfi, nel libro “Vite in gioco”. Claudio Lardo, coadiuvato nella stesura, da Josè Elia e Giampiero Moncada e dalla regia di Vito Cesaro, ha portato in scena il tragico  episodio che ebbe come protagonisti 14 innocenti bambini, in occasione dei 70 anni dal bombardamento alleato del ’43, avvenuto nel paese.    

Aveva 12 anni la piccola Maria, quel 16 settembre del ’43 e se ne stava affacciata alla finestra, tralasciando per poco i pensieri foschi e la paura. Sotto di lei, nella piazza polverosa del suo paese, 14 ragazzi, tra cui il fratellino Antonio di 10 anni, divisi in 2 squadre, giocavano a pallone con una sfera di pezza. Quel giorno era un giorno di guerra e di lì a poco la giornata avrebbe mostrato tutta la sua ferocia. Nel frattempo ai ragazzi, di giocare era sembrata l’azione più naturale, l’attività più compatibile per la loro età, la sola che li avrebbe allontanati, per qualche ora, dai rumori vigliacchi della guerra, dalla miseria della fame e dalla paura folle di ogni allarme, quando abbandonata la propria casa, ci si doveva infognare nei rifugi. Nella Piazza San Vito di Buccino, questo il paese, a circa 60 km da Salerno, quel giorno si sentivano, solo le grida spensierate dei fanciulli che rincorrevano il pallone, tentando di vincere ognuno la partita, padroni com’erano dello spazio, gli uomini, infatti, erano al fronte a combattere, mentre le donne e i vecchi, nel paese, a  tentare  di mandare avanti la vita.

Sta di fatto che il 16 settembre del 43’ non era sorto come un buon giorno o per lo meno non come un giorno di guerra uguale ad  altri. Maria, intanto, guardava i giovani amichetti e sorrideva gioiosa di felicità riflessa per la giocosità del fratellino,che nella piazza si faceva valere, calciando il pallone, ricavato da pezze di fortuna, tenute unite dallo spago. Un fagotto rotondo di panno floscio per l’ultima loro felicità.  La fine venne improvvisa dal cielo, annunciata maligna dal rombo di un aereo che, senza imbarazzo, oscurò per sempre quel lembo d’azzurro. Il gioco s’interruppe di scatto, ma fiduciosi i ragazzi  rivoltarono 14 teste in su, la mano sulla fronte a filtrare il sole,  per meglio seguire il volo. Ah, l’innocenza dei fanciulli di quell’epoca! Ed ecco che sui loro capi, si abbatterono precise raffiche di fuoco,  falciandoli tutti.

Il rombo si allontana osceno, soddisfatto per l’azione compiuta, si è in guerra e non vi è cura di sapere  chi fossero le vittime.

Ora sulla piazza muta e segnata dal lutto, 14 corpi sono i testimoni, nel dolore di chi li piange tutt’ora, dell’orrore della guerra, mentre la partita di pallone metafora di una vita semplice, il materiale della sfera ce la rivela, si è conclusa senza mai iniziare .

Maria impietrita si ritira dietro ai vetri, chiude ermeticamente la finestra e con essa per sempre nel suo cuore il ricordo, corre fuori sprezzante del pericolo e si lancia nella Piazza San Vito per soccorrere le vittime della feroce sventagliata, sul selciato, in una pozza di sangue giace, tra gli altri, il piccolo Antonio, suo fratello, con ancora stampato sulle labbra il sorriso innocente di chi si fida, di chi la morte non riesce proprio a capirla. 

Dell’accaduto, nel paese, restano le memorie sfocate dagli anni dei superstiti, testimoni oculari dell’orrore di quella giornata, sicché il monologo  di Claudio Lardo è giunto opportuno a rendere  giustizia a disseppellire la storia dimenticata dei 14 ragazzi di cui pochi ricordano il nome: Gerardo, Giuseppe, Ettore, Adolfo, Gerardo2°, Ferdinando, Giuseppe 2°, Francesco, Cosimo, Armando, Antonio, Gerardo 3°, Ercole, Giuseppe 3° e a cui nessun riconoscimento come vittime civili di guerra. Grande la commozione tra i presenti per l’eccezionale interpretazione del bravissimo attore.

A Maria Cipriani, la giovane fanciulla affacciata alla finestra in quell’infausto giorno, oggi una dolcissima signora di 83 anni, chiedo come le è stato possibile convivere  con quell’atrocità nella mente e se le era stato concesso perdonare chi le aveva  strappato il fratellino. “In effetti” mi dice “non si dimentica mai, si sopravvive, questo si, anche perché si crede in un’altra vita. Mia madre  è andata avanti perché c'erano gli altri figli, ma senza sorriso e per tanti, tanti anni. No, non si dimentica e non si perdona il fuoco amico.  L'orrore di quella guerra non ha eguali, ma l'umanità non ha imparato nulla da quel dolore”.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu





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