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domenica 20 ottobre 2013

Al Teatro Antonio Ghirelli , Fondazione Salerno Contemporanea, “Fuori”, con Renato Carpentieri




Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

“Fuori”, tratto dal romanzo “A’ la porte”  di Vincent Delecroix,    traduzione di Valeria Cipolloni è presente al Teatro Antonio Ghirelli, Fondazione  Salerno Contemporanea, dal 15 al 20 ottobre 2013.

 Vincent Delecroix  filosofo e scrittore francese, nato a Parigi nel 1969 incentra la sua opera filosofica e letteraria sulle esperienze esistenziali , come l'amore, il canto e il sacro. Renato Carpentieri, interprete e regista dello spettacolo, è affiancato da Valerio Lucchetti e Stefano Patti.

Gli anni li dimostra tutti, il professore di filosofia, mentre dispensa sul pianerottolo ultimi consigli all’allievo che è venuto a trovarlo. Barba incolta, capelli bianchi e con indosso una veste da camera casual, giacca e pantalone di grezzo tessuto ecru, parla, cita filosofi e ne commenta il pensiero. L’allievo, però, ha fretta, deve andar via e sbadato si tira la porta dietro, lasciando il maestro fuori di casa, egli, infatti, con sé non ha le chiavi.  Da quel momento in poi, inizia, per il vecchio professore, uno spiacevole contrattempo, a cui non dà il giusto peso, anzi in principio pensa di risolverlo in breve tempo, rivolgendosi alle tre persone che hanno le sue chiavi: il vicino, la sorella ed il portiere.

 Ben presto, però, si accorge di non essere cosa semplice, intanto è domenica ed il vicino, un single come lui, è fuori per la consueta passeggiata con la vecchia madre, il portiere rozzo ed ostile nei suoi confronti, non ha nessuna intenzione d’interrompere il suo giorno di riposo e la sorella, che abita fuori città, non sa come raggiungerla. In effetti il vecchio studioso si accorge di non essere in grado di affrontare il mondo esterno, tanto dissimile dal suo guscio di casa , dai suoi libri , dai suoi approfondimenti. La realtà si mostra ai suoi occhi spiacevole, legata alla logica del solo potere economico, il “fuori viene ad alterare i cervelli e consuma, fino alla distruzione, le intelligenze. La paura di non essere più al sicuro, nel viaggio surreale della sua mente, è la prima sensazione da dover controllare. Ed eccolo, fermo, solo, dinanzi alla porta chiusa, che altro non è se non la metafora di tutto ciò che non sa più, complice l’età, affrontare. Inizia così il suo vagabondare, reale od irreale, in una città che non accoglie, che non dà soccorso, nel giorno festivo i riti malsani del  mondo globalizzato devono essere rispettati. Ahimè lui non ha, dal momento che è stato sbattuto fuori dalla casa, i totem irrinunciabili di questa società: soldi e telefono. Affondato dalla solitudine, nella città vuota come le persone che la popolano, può incontrare solamente il pensiero filosofico, del resto lui i libri di questa disciplina li scrive per questo, per l’incomunicabilità di cui è vittima. Così il suo pensiero colto ed affinato, analizza l’epoca odierna per criticarne gli aspetti più beceri, più scadenti. Nel monologo che sciorina rileva che tutto è riducibile all’apparire, ogni cosa è catturata dalle immagini,  ed  il mondo globale è una finzione, ognuno, si sa è indifferente all’altro, come per l’incidente dei suoi figli, morti sull’asfalto senza essere soccorsi. Perfino i medici parcheggiano nella malattia i pazienti,  espellendoli dalla casa. Si trova nudo  dinanzi al mondo,  anche se vestito, in un corpo, il suo, che non riconosce ed il viaggio, compiuto nelle pieghe della sua mente, lo fa incontrare con  il padre e la figlia, due persone perse nel tempo ma che ancora riescono a scaldargli il cuore, a comunicargli che non è solo o non più un prodotto intellettivo. Il  volto di Van Dick che quadra sul suo, un gesto che lo nasconde agli altri, è per dire, nel finale, che la bellezza artistica ha ancora cose da dire e solo quando non ci sarà più la filosofia, per dirla con gli Stoici,  non resterà più nulla.

Renato Carpentieri ha ottimamente caratterizzato il personaggio del professore, un’altra sua fine performance, dopo quella dello scorso anno interpretata in “Jucature” dello spagnolo Pau Mirò, a cui ha impresso, in questa come in quella del lavoro passato, efficacia fisicità ed espressiva modulazione della voce. Il testo, costellato di spunti culturali, si lascia seguire con piacere e le tante citazioni filosofiche non risultano fastidiose o farraginose, anzi è il contrario. La scenografia, diviso a metà lo spazio, ha evidenziato con curata semplicità gli ambienti del “fuori”.


Maria Serritiello
www.lapilli.eu


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