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mercoledì 17 ottobre 2012

Vaticano II, dibattito a Salerno oltre l'ingenuo ottimismo post conciliare






FONTE: EOLOPRESS.IT
NICOLA RUSSOMANDO

Salerno-13 ottobre 2012


Nell'ambito delle celebrazioni per il cinquantenario dell'apertura del concilio Vaticano II anche la città di Salerno nella sua espressione istituzionale, il comune, ha dato il suo contributo con il convegno di sabato 13 ottobre dal titolo "La carezza della luna. Riflessioni su comunità e comunicazione". Il riferimento è al celeberrimo discorso pronunciato a braccio da Giovanni XXIII la sera dell'11 ottobre 1962, giorno dell'apertura del concilio, innanzi alla fiaccolata organizzata dall'Azione cattolica per l'evento e che vide il concorso in massa dei romani.
Pagina indimenticabile del pontificato giovanneo, in cui quel Papa seppe effettivamente dare prova della sua "sapientia cordis", come gli riconobbe Giovanni Paolo I, successore prima sulla cattedra di S. Marco a Venezia e poi per soli trentatré giorni sul soglio di Pietro.

Il convegno salernitano, che ha visto la partecipazione, oltre che dell'ospite, il sindaco De Luca, dell'arcivescovo Moretti, di Angelo Scelzo, vicesegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, di D. Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, e dello stesso cameraman Claudio Speranza, che effettuò le storiche riprese per conto della Rai, ha inteso evocare tutta la suggestione di quel momento nella prospettiva dello sviluppo conciliare.

Il discorso è stato letto come momento alto di comunicazione della novità conciliare al mondo con tutto il carisma dell'autore di una rivoluzione nei rapporti tra Chiesa e mondo e nell'amplificazione dei mezzi di comunicazione di massa. In questo il convegno salernitano non è rifuggito dai toni oleografici che si accompagnano inevitabilmente a tali rievocazioni.

Invece, la celebrazione del cinquantenario è l'occasione, come ribadito anche dal Pontificio Comitato per le Scienze storiche, di "storicizzare" finalmente il concilio, per sottrarlo all'aura d'intangibilità che lo accompagna. Anche il Vaticano II è prodotto in qualche modo della storia e porta in sé traccia evidente di quell'ottimismo dei primi anni sessanta destinati a conoscere una rapida e tragica involuzione. La stessa comunicazione dei lavori conciliari attraverso i media, con l'emersione della categoria dei giornalisti vaticanisti, nella lettura odierna di uno dei più raffinati, Sandro Magister, ha contribuito in modo determinante a dare dell'assise un'interpretazione politica, segnata da maggioranza e minoranza, tale da ipotecare pesantemente la successiva recezione nelle chiese locali. Di ciò ha dato una lettura "autentica" Benedetto XVI nel discorso, anch'esso a braccio, pronunciato la sera dell'11 scorso, giorno in cui si apriva l'Anno della Fede da lui indetto e a ricordo dell'intervento giovanneo. Lettura autentica in quanto operata da un testimone di quei fatti di cinquant'anni fa e primo Papa non Padre conciliare, ma solo perito teologo al concilio. E, infatti, nel bilancio di un cinquantennio, le parole di Benedetto XVI hanno assunto un tono commisurato alle difficoltà della stagione della ricezione. "Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant'anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c'è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato»".

E'apparso subito significativo il riferimento al "peccato originale", una questione mai toccata al concilio Vaticano II in quanto definita stabilmente dal concilio di Trento, eppure questione cruciale di cui Paolo VI ribadì la dottrina tradizionale già ad un anno dalla chiusura dell'assise nel 1966. Ribadire oggi l'esistenza del peccato originale che "si trasmette per propagazione e non per imitazione", che "è insito in ogni uomo come proprio" e che "si traduce sempre di nuovo in strutture di peccato" segna il superamento di quell'ingenuo ottimismo che non fu certo di Giovanni XXIII, ma di quanti hanno pensato e continuano a pensare che il Vaticano II abbia quasi restituito all'umanità la situazione di grazia originaria. La gioia di Giovanni XXIII, che è la gioia del credente, tradotta oggi in una forma "più sobria, più umile" nasceva anche dalla visione di una Chiesa compatta intorno la suo pastore, nella sua dimensione universale e quindi cattolica, la cui visione di piazza S. Pietro la mattina con i vescovi in processione, la sera con la fiaccolata dei fedeli era immagine plastica. Non sarà più così dopo il concilio con quell'atteggiamento di divisione che è "la zizzania nel campo del Signore" e che giunge a rendere controverse le stesse verità di fede di cui Giovanni auspicava solo l'aggiornamento nella comunicazione.

Lo disse, del resto, proprio nel discorso che si è ricordato a Salerno: "la luce che splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, e nelle nostre coscienze, è luce di Cristo, il quale veramente vuol dominare, con la grazia sua, tutte le anime". A conferma dell'eterna dialettica tra natura e grazia e sotto la muta testimonianza della luna, lirica presenza nell'immaginario degli uomini di ogni epoca.

Celebre discorso tenuto da Giovanni XXIII dopo l'apertura del Concilio Vaticano II ai romani, che portavano le fiaccole in ricordo dell'antico Concilio di Efeso

QUANTO CI MANCA LA PATERNITA' DI PAPA GIOVANNI XXIII.



                                  





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