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martedì 15 febbraio 2022

L’atteso Festival Teatro XS città di Salerno XIII° Edizione 2022, indetto dalla Compagnia dell‘Eclissi, presso il Teatro Genovesi, domenica 13 febbraio, ha preso il via.


















Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello


Su il sipario e la scena di Kraken, con bianchi tendaggi distesi, ci spinge, da subito, verso un paesaggio marino e ad una deriva irreversibile. Due i personaggi, ad impossessarsi del palco fino alla fine, per la durata di quasi novanta minuti, con l’aggiunta, poi, di un terzo e sono: il re Isidoro, avvolto da un mantello che lo avviluppa tutto e la valletta-scudiera Basilia. Isidoro, per imprimere nello spettatore il senso del potere, sbraita su di una scala, che lo solleva abbondantemente dalla serva, in sua perenne adorazione. E’ ferito il re ed molto sofferente, il polpaccio gli sta facendo cancrena, la paura lo assale al pensiero di una certa amputazione, ciò nonostante sgola rabbia, sputa veleno e manifesta la sua superiorità regale verso la povera servitorella, un po’ perpetua e un po’ ammaliatrice.

Intanto sulla spiaggia, inatteso, compare un uomo misterioso, che si conquista la fama, presso gli abitanti-sudditi del re Isidoro, di capace guaritore. Il suo nome è Kraken

Vale la pena sapere chi sia stato tra il ‘700 e l’800, nei racconti leggendari dei naviganti: Kraken. La sua figura viene assimilata ad mostro marino, dalle dimensioni abnormi, una piovra tentacolare capace di avvolgere una intera nave. Il nome gli deriva dal dialetto norvegese in cui krake è un albero sradicato a cui il mostro assomiglierebbe galleggiando.

Basilia, pur trattata male, ingiuriata e scacciata, per alleviare le sofferenze del suo re, chiama corte il guaritore venuto dl mare. All’’iniziale rifiuto di abbandonarsi nelle mani di Kraken, segue una totale dipendenza da lui che gli farà commettere anche l’uccisione dell’l’unica persone che lo conosce profondamente, sia nelle sue paure che nelle sue esaltazioni di uomo poco equilibrato.

Chi è realmente Kraken e che potere ha se non di chiedere alle persone di dire il loro malessere e prenderselo su di sé. L’uomo, simbolicamente, viene dal mare, dall’ l’acqua che sta ad intendere il liquido amniotico di cui siamo stati avvolti sicuri e che non vorremmo mai lasciare, per non cedere alle paure. I dolori di Isidoro non sono altro che le inadeguatezze del proprio essere, uomo e re, non a caso Kraken gli ricorda il ripreso pelo della belva, appena si sente al sicuro, per ritornare, poco dopo nel terrore di essere scoperto dai sudditi, per millantato credito, per non aver compiuto nessun atto eroico, come credono.

Intanto Kraken, in un’atmosfera sognante e con manovre avvolgenti che riprendono l’ondulare del mare, afferra su di sé i dolori del popolo che si affida ciecamente e quelli, con una certa riluttanza, del suo re.

Sarà Cristo, la figura di Kraken, ed il suo sacrificio di sangue per salvare l’umanità?

L’uomo, una figura ieratica, con una lunga veste nera ed un zucchetto in testa dello stesso colore, si muove con sicurezza, agguanta il re e sposta il suo corpo con manovre osteopatiche, lo lava, lo purifica, gli cambia la veste, sicché, in quel momento non è altro che l’adorazione mistico religiosa della manovra osteopatica, allargata anche al trattamento dei disturbi psichici che infestano la nostra esistenza. Isidoro ha gli occhi chiusi, sembra guarito perché consapevole di ciò che è realmente. In lui albergano forze antinomiche, il segreto sta nel non far prevalere una sull’altra, da qui l’uccisione della fedele Basilia che lo spingeva verso una sola direzione, non avendo compreso che il bene ed il male, la vita e la morte sono intimamente connessi.

 I Dioscuri di Campagna hanno interpretato con assoluta bravura il pezzo di Patrick Quintal, scrittore canadese, tradotto e adattato dall’ecclettica Eva Franchi. Sono vincitori del 74 esimo Festival di Pesaro e per la loro interpretazione intensa, hanno ben figurato al  Festival Teatro XS  2022 città di Salerno.

Gran voce, buona raffigurazione del dolore e dell’essere sfrontato, perché detentore di potere: Emiliano Piemonte

Brava nel dialogare in velocità e sovrapponendosi, a volte, con disinvoltura al re: Azzurra Liliano

Recitazione essenziale, scarna, sommessa, con movimenti ondulanti e capacità evocativa: Antonio Caponigro. A lui è affidata anche la regia

Un trio perfetto per tecnica recitativa e sincronia gestuale, tanto dar valore essenziale ad un testo non certo accattivante per l’intrinseca tematica.

Infine le scene, la musica e le luci, un corpo unico atte a creare atmosfere surreali ed oniriche.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




 

domenica 30 gennaio 2022

“La risposta di Ofelia” di e con Viola Di Caprio presentata al Teatro Genovesi, nell’ambito della sezione eXtrafeStivalXS 2022

 


Fonte :www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

“La risposta di Ofelia” di e con Viola Di Caprio, voci di Lucas Tavernier, Miha Bezeljak, Yuri Grandone, luci e audio Francesca Marchionni, scene Sabina Lembo, maschere Luca Arcamone, sigla originale Edoardo Pepe è stata presentata al Teatro Genovesi, sabato 22 e domenica 23 gennaio, “nell’ambito della sezione“eXtrafeStivalXS 20222”

Voglia di Teatro c’è e Viola Di Caprio, con la sua originalissima pièce dal titolo “La risposta di Ofelia” ci accontenta. Siamo in pochi, quelli che non si sono rassegnati al digiuno di quasi due anni, simile ad una recita privata, ma è bastata per iniziare, per dimenticare l’astinenza, aiutati, come siamo dalla bravura della giovane autrice-attrice.

Ofelia personaggio, è una fragile fanciulla che vive in una stanza appartata del castello del re di Danimarca, dove suo padre Polonio, svolge la mansione di ciambellano. Tra fiori, coltivazioni di erbe aromatiche e personaggi di pura fantasia trascorre l’esistenza con una bagliore dentro, l’amore per Amleto, il figlio del re.

Ed ecco che appare l’esile figura nell’oscurità del teatro, con una luce di minatore sulla fronte, avanzando lentamente e dialogando con: Polonio, suo padre, che saprà essere ucciso da Amleto, per errore, con Laerte suo fratello, che la mette in guardia dal giovane re e con lo spettro del defunto re di Danimarca. Dialogando con le sole voci dei tre uomini, un parlato registrato, si guadagna la scena e dà vita al personaggio Ofelia, diverso da quello shakespeariano, per aver fatto un percorso di consapevolezza, aiutata dalla madre (Fata). La scelta finale non è accettazione passiva di un fato malvagio ma è semplice volontà, è grazia, è amore.

La recitazione di Viola è accattivante, perfetta quando balbetta i suoi pensieri ad alta voce, quando risponde alla madre che la consiglia, quando si finge Gertrude, la regina di Danimarca, vedova del defunto re e sposa di Claudio suo fratello. I vari personaggi sono di volta in volta maschere, vestiti, fiori intrecciati. Da sola sostiene le varie parti con toni diversi, recitazione spigliata per Gertrude e la sua voglia di vivere ancora, consigliera quella della madre, forse un personaggio frutto della sua stessa fantasia, che vuole liberarla dalle sue bonarie ossessioni e capire fin dove si è spinto Amleto nel dichiararsi. In effetti nessuno l’ascolta, non ha visibilità, non ha marito, figli per cui Laerte, il fratello ed il padre Polonio le vietano di dedicarsi ad Amleto. Ofelia aiutata da Fata, capisce che ha diritto ad essere libera di non essere relegata al silenzio ed all’obbedienza.

Tre sono i momenti lirici di questo pezzo teatrale, quando Ofelia recita il monologo “essere o non essere” senza la virile forza che fa l’eroe ma con femminile grazia che, con amore, si dissocia (Viola Di Caprio), quando prende la decisione di finirla, sottolineata dalla romanza “Vissi d’arte” tratta dal secondo atto della Tosca di Giacomo Puccini, raccogliendo fiori e nastri per deporli in un cesto e nel finale l’apertura alare del suo largo vestito di velo verde trasparente, agitato come volo di farfalla: parabola di libertà raggiunta.

Brava Viola, un pezzo non facile, per seguirlo con la dovuta attenzione ci vogliono alcune conoscenze di base. Indiscussa l’originalità e la capacità di rappresentazione, da sola e per 45 minuti è l’interprete assoluta.

Il pezzo è stato scritto durante il lockdown, provato e montato in casa Di Caprio. Con questa opera, ha partecipato con successo al Festival Fringe di Roma 2021.  Il festival Fringe di Roma è la rassegna di teatro indipendente più importante d’Italia

Ho provato a sfogliare il suo curriculum teatrale, ma è un lungo elenco di lavori creati, tutti di pregio, nei quali, la talentuosa Viola Di Caprio si testa sia come autrice che come attrice, una bella realtà, la sua e tutta salernitana.

Maria Serritiello

 www.lapilli.eu





lunedì 17 gennaio 2022

Il Sole e la Rosa-Cunti e Leggende Salernitane di di Achille Millo. Riscritte e musicate da Guido Cataldo. (Autore)

 



Il 1 gennaio 1996 esce il libro : Il Sole e la Rosa-Cunti e Leggende Salernitane di Achille Millo. Riscritte e musicate da Guido Cataldo. (Autore)    

ll libro si avvalse delle illustrazioni di di Andrea Nelson Cecchini, Livio Ceccarelli ed Enzo Bianco e completato da un  CD incluso. Il numero fu limitato,1000 copie.

In seguito gli stupendi acquerelli  diventarono un cartoon.

Dell' allora  pubblicazione mi è venuta in mente, proprio in questi giorni, all'uscita del libro di Guido Cataldo "Canzoniere d' è piccerille"

Del "O cunto d'o cece" ho un ricordo personale e vivo. Io e Guido, l'autore, così come si ascolta dal CD, l'abbiamo fatto interpretare ai nostri allievi della Scuola Media  di Oliveto Citra. A conferma di quanto detto, ecco la dedica sull'ultimo suo lavoro.

Che bel giorno fu, ricordi Guido ? Tu ai bordi del palco inventato, una pedana ricoperta da un grosso tappeto preso in prestito dalla chiesa, a suonare la chitarra ed io in piedi, vicina ai ragazzi a cantare con loro, ad incitarli ad essere tutti protagonisti. Sì, questa era la nostra mission, tutti interpreti, nessuno escluso

Maria Serritiello

           


























mercoledì 12 gennaio 2022

“Canzoniere d’ ‘e piccerille”, un originale libro musicale di cunti e canti di Guido Cataldo







Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

 Sulla pagina iniziale del libro “Canzoniere d’ ‘e picerille” vi è scritto, a caratteri ben visibile, una massima di Gustav Mahler che dà il senso alla raccolta del Maestro Guido Cataldo, artista, autore, musicista e compositore: “La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri”. E fuoco è, quello delle serate d’inverno trascorse da tanti piccoli, vicino al focolare ad ascoltare i cunti, è la bella sensazione che si avverte, nell’aver tra le mani, il libro.

Ed andiamo ad analizzare, pezzo per pezzo, quest’ inestimabile lavoro, del maestro Cataldo, che restituisce alla memoria dei bambini dai capelli grigi e discopre ai nativi digitali, un mondo fantastico, perso nelle pieghe del tempo. Sicché, per la sua fattura è un libro per grandi e piccini, un lavoro interdisciplinare, dice il professore di pedagogia della musica Pasquale Scialò, nella prefazione, che integra canto, testo, disegni, storia culturale, geografie sonore e tradizioni del territorio.

Il libro è accattivante, una mattonellina formato A6, color rosso cremisi, dove lo sguardo si posa volentieri per la giocosità colorata dei disegni del talentuoso Andrea Cecchini, che a me ricordano (N.D.R) quelli del fumettista Benito Franco Giuseppe Iacovitti. L’interno, poi, è uno scrigno, disvelato con cura, per accedere nel mondo fantastico del racconto. 10 tornesi d’oro, per entrare linguisticamente nella ricerca che sta a monte della pubblicazione, infatti il tornese era una grossa moneta d'argento emesso per la prima volta agli inizi dell'XI secolo dall'Abbazia di San Martino a Tours in Francia ed usato per quattro secoli nel regno di Napoli. 10 tornesi, per giunta d’oro, a rafforzare il valore della preferenza, ad indicare i canti selezionatiti, per tessere un canzoniere dedicato ai più piccoli a che non dovessero cantare canzoni il cui significato risulterebbe scurrile. Ed eccoli i 10 tornesi d’oro, cantati magistralmente dalla voce inimitabile di Diana Cortellessa, accompagnata da bambini e giovanissimi interpreti, sostenuti dal quintetto di fiati Alenusa che più di ogni altra orchestrazione riporta indietro il tempo, ma è un’ensemble che diventa orchestra per la quantità di suoni e varianti: flauto, oboe clarinetto, corno, fagotto

I titoli:

Quanno nascette ninno

Lo ciuccio de Cola

La fiera de Mast’Andrea

Cicerenella

Pastorella

Pagliaccio

Michelemmà

Bolero

Lo Cuarracino

Duorme

Ognuno di questi canti ha la sua partitura musicale, per cui il libro diventa musica suonata, ma Guido Cataldo ha pensato a tutto ed anche di più, il suo libro doveva essere materia viva, per cui in fondo al libro, tra le pieghe della copertina, alloggia un cd registrato dove si può ascoltare la magia del canto per i piccerille.

Seguendo la narrazione, pagina dopo pagina, il libro si estende in un piacevole spettacolo, già presentato con successo, nel mese scorso, al Teatro Giuseppe Verdi, il Massimo cittadino.

Che bel lavoro, Maestro Guido Cataldo, pensato amorevolmente per i tuoi cuccioli, così come li indichi, nella dedica iniziale, ma anche per i bambini degli altri, è come se avessi voluto dare, in eredità il tuo mondo poetico, fantastico, musicale. La tua anima! Hai voluto lasciare traccia, ed ecco la ricerca accurata nell’organizzare il lavoro, per dire pedagogicamente ai fanciulli di quest’era di guardare a fondo, non accontentarsi di hic et nunc, tanto di moda, perché la tradizione ci dice da dove siamo partiti, importante per dove si vuole arrivare.

E ce l’hai fatta, Guido, noi adulti che ti leggiamo ci siamo emozionati, siamo tornati indietro nel tempo, e non con melensa nostalgia, ma con la consapevolezza che, barra diritta, abbiamo dato e diamo con l’entusiasmo giovanile, ogni giorno.

PS. In un giorno di fine anno, nel cortile della scuola media di Oliveto Citra, io e te e tutta la scolaresca, di cui eravamo insegnanti, abbiamo rappresentato Cicerenella. Uno dei ricordi più limpidi…






Maria Serritiello
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mercoledì 22 dicembre 2021

Domenica 19 dicembre: Un Ulivo per Antonio di Maria Serritiello

 



A 5 anni dalla sua scomparsa ho voluto fortemente piantare l'albero d'Ulivo, perché ci fosse per sempre, all'esterno, un segno tangibile che lo ricordasse, oltre che nei nostri cuore. Come si sa, l'Ulivo non secca mai, perciò l'arbusto che lo terrà in vita e ci sorpasserà 
 
                                            Antonio Serritiello

                                            7 aprile 1953 + 29 dicembre 2016 


                                                                   .......

                                                                           
                                              Nello spazio verde di Via Panoramica,
piantare un ulivo
è per ricordare Antonio Serritiello



Nello spazio verde di Via Panoramica, piantare un ulivo è per ricordare Antonio Serritiello

 

Questo luogo è stato scelto, a preferenza, per dare radice ai ricordi, fissare immagini e rendere l’assenza meno dolorosa per chi rimane. Cinque anni fa, in una sera d’inverno di fine anno, Antonio Serritiello ci ha lasciati, portandosi con sé il patrimonio della sua vita vissuta. E’ doveroso, per chi l’ha amato, come amorevole madre, raccogliere il testimone e provare a far rivivere la sua figura in questo campetto di verde, messo a nuovo, anni addietro, dall’Amministrazione Comunale,

 Lo spazio non è stato scelto a caso, qui il piccolo Antonio ha giocato, ha socializzato con i compagni del quartiere, ha calciato il pallone ed ha affidato i suoi pensieri al tempo.

E qui, ogni volta, quando crescerà l’ulivo, si materializzeranno gli anni che non hanno visto la vita e si eleveranno, com’è giusto che sia, foglie sempre verdi che tenderanno al cielo e lo celebreranno in terra

L’ulivo piantumato nel terreno e che sorveglierà la luce e la notte, sentinella d’amore, è simbolo di pace, di calore, di forza, di fede, di trionfo, di vittoria, e di onore. Per Antonio sarà fiamma vegetale votiva, accesa per sempre e ad imperituro ricordo.

 Maria Serritiello

 

                                      Antonio Serritiello

                             7 aprile 1953 + 29 dicembre 2016

 

Brevi Cenni sulla storia dell’ulivo

L’olivo è presente nella simbologia e nei miti fin dalla preistoria. La magnificenza dell’olivo è cantata dai poeti dell’Antico Testamento. Nelle loro metafore, l’ulivo simbolizza salvezza e prosperità. Omero nei suoi poemi citò l’olivo: lo assurse a simbolo di pace e di vita. Era d’olivo il gigantesco tronco per mezzo del quale Polifemo venne accecato da Ulisse e dai suoi compagni. Il re di Itaca, poi, costruì per sé e per Penelope il letto nuziale, scavandolo nel tronco stesso di una possente pianta d’olivo, simbolo di un’unione salda e duratura. Nell’antica Grecia era considerato una pianta sacra al punto che chiunque fosse sorpreso a danneggiarlo veniva punito con l’esilio. Alle stesse Olimpiadi ai vincitori venivano offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio

Gli antichi Romani, invece, intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i cittadini più valorosi, oltre al fatto che, secondo tradizione, i gemelli divini Romolo e Remo nacquero sotto un albero d’olivo.

 Nella religione cristiana la pianta d'olivo ricopre molte simbologie. Dal ritorno della colomba liberata da Noè all’arca con un ramoscello d’ulivo nel becco, l’olivo assunse un duplice significato: diventò il simbolo della pace perché attestava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini

“E la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra.”

(Genesi, Antico Testamento)

Ed ancora, l’Ulivo è la pianta centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul Mediterraneo. Pianta arborea da frutto è la più diffuse nel mondo e la più antica di origine. Essa proviene, secondo un’ipotesi accreditata, dall’area geografica compresa tra l’Asia Minore e l’Asia Centrale, dov’era presente più di seimila anni fa. Il terreno ideale per la crescita dell’ulivo è individuato nella “mezzaluna fertile”, cioè quella zona tra il Tigri e l’Eufrate che dispone di una particolare condizione climatica: estati calde e asciutte, ma spesso umide, e inverni miti e piovosi. L’albero di ulivo non richiede terreni profondi e ben si adatta ai terreni sassosi e terrazzati che guardano il mare.

Da Alfredo Cattabiani  “Florario” Miti, leggende e simboli di fiori e piante

 

 L'ULIVO PARLERA'  A QUANTI SI  AVVICINERANNO PER ASCOLTARLO ATTRAVERSO IL QR CODE













domenica 28 novembre 2021

La verità è che non te ne sei mai andato di Maurizio de Giovanni

 






FONTE: FACEBOOK

La verità

La verità è che non te ne sei mai andato.
Da quel pomeriggio di luglio, quando salisti questi gradini e uscisti nel sole e nell’amore di ottantamila pazzi di te, stretti da ore nel caldo solo per sorriderti. Ti guardasti attorno e lo capisti in un attimo, che questa era la tua erba e la tua luce, perché i grandi amori se sono veramente grandi si sentono sulla pelle del cuore.
La verità è che non te ne sei mai andato, perché questa è l’unica grande città che ha una maglia sola, ed è una questione di colore, perché se è vero che siamo figli della nostra montagna piena di fuoco e sempre pronta a esplodere, è anche vero che siamo immersi in un azzurro che assomiglia al paradiso: e tu diventasti subito nato qui, perché può essere un caso nascere in un posto, ma non lo è mai quando ci si guarda attorno e si dice sì, questa è proprio casa mia.
La verità è che non te ne sei mai andato, perché ti ci volle un attimo per decidere, con assoluta chiarezza, che avresti vinto per noi e che noi avremmo vinto con te. E se ci pensi adesso è strano, perché né tu né noi avevamo vinto mai: e tuttavia fu chiaro che da quel momento cambiava tutto, perché tu avevi trovato la tua aria e la giusta temperatura, e noi avevamo trovato il nostro capitano.
La verità è che non te ne sei mai andato, perché certe emozioni rimangono impresse sull’anima per il lampo intenso che le fissa, come su una pellicola, per sempre. E quell’emozione sei tu, perché sei venuto a insegnarci che non è vero che qui si può solo perdere, che siamo subalterni, che le decisioni importanti si prendono altrove e possiamo solo subirne gli effetti. Tu, piccolo e fiero, petto in fuori e mento alto, occhi allegri e felici di correre dietro a un pallone, e genio, genio, genio senza fine, contro il quale nessuno poteva fare niente, nessuno può fare niente.
La verità è che non te ne sei mai andato, e ci hai insegnato che possiamo anche salire in vetta assomigliando a noi stessi, rimanendo esattamente come siamo, senza dover imitare qualcun altro. Si può guardare tutti dall’alto essendo piccoli e bruni e fieri, senza odiare e senza abbassare la testa, rispetto per chiunque e paura di nessuno, cadendo mille volte e rialzandosi milleuna, senza timore dei calci e degli sgambetti, più forti dei mille destini scritti altrove.
La verità è che non te ne sei mai andato, e se esiste la tristezza di non poterti più vedere sorridere dalle tribune di questa che è la tua casa, resta il fatto che c’è un pezzo di te in ogni maglia azzurra, qui dentro e in ogni campetto e in ogni piazza, perché il nome di questa città resterà legato al tuo e il tuo a questa città.
La verità è che non te ne sei mai andato, quindi no, non sentiremo la tua mancanza perché sarai con noi, una perdita non è un’assenza ma un tipo diverso di presenza.
E ogni volta che un ragazzo con la maglia color del mare correrà a braccia alzate sotto la curva, noi vedremo te.
Con una lacrima dentro un sorriso.
Maurizio de Giovanni, novembre 2021



Tu, Michela S


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