Cancello chiuso (26 marzo 2020) di Maria Serritiello Deserta è la strada ed il cancello, insolitamente, chiuso. La pioggia sottile lacrima sul marmo scuro, che tu diverso conosci. La rosa spetola lenta e nessun fiore, oggi, il grigio del giorno colora. Maria Serritiello
Auguri papà per la tua festa. Mi svegliavi in questo giorno, ripetendo in tutta la casa : Il Frittellaio .
In questo giorno è la festa anche di Antonio, tuo figlio, a sua volta padre di tre figli. Mi dispiace di non potervi venire a salutare, il cimitero è chiuso e noi siamo tutti in casa per il corona virus, che impazza da nord a sud. Papà, fratellino, è una pandemia come lo fu la Spagnola, quando tu e mamma eravate piccoli e che fece più morti della prima guerra mondiale. Ah, sapete, fu chiamata Spagnola, perché la notizia di questa epidemia fu data, per la prima volta in Spagna, ma a diffonderla furono gli americani. CIAO PAPA', CIAO FRATELLINO CI VEDREMO APPENA LA PANDEMIA NON SARA' PIU' UN PERICOLO REALE.
Presso il centro “ Proposte Lab Eco design”, utilizzato per l' occasione come galleria diretta dalla signora Anna Vitale, sotto la direzione artistica di Antonio Perotti lo scultore ceramista Lucio De Simone ha presentato una vasta carrellata di sue opere scelte a simboleggiare le Contaminazioni che l' artista vuole fare nel mondo della ceramica, che tanta passione riesce a catalizzare e canalizzare sia nell'autore che nel fruitore, se solo poco poco si prova a considerare le condizioni, non sempre facili, nelle quali si trova ad operare il Nostro. Quello che più colpisce e stupisce è la gamma di colori che Lucio riesce a tirare fuori dalla creta. E in essa ritroviamo tutta la forza evocativa di certe sfumature e l'energia instancabile che lo sorregge. E ogni millimetro di Creta risente delle tensioni, dello sforzo creativo del De Simone e lascia trasparire tutta la sua voglia di gridare al mondo la sua essenza esistenziale tramite la sua arte. Ed ecco allora i pannelli, le sculture drammatiche, le forme simboliche tridimensionali, i paesaggi modulari, le composizioni-scudo, le figure stilizzate! Inaugurata sabato ultimo scorso, resterà aperta fino al 7 marzo prossimo!
Manuela Borrelli nasce a Napoli nel 1977 e sin da bambina è evidente in lei una forte propensione per la pittura e il disegno.
La sua vena artistica è sbocciata definitivamente quando ha realizzato nel 2008 delle illustrazioni ad acquerello per la pubblicazione di fascicoli per ragazzi promossi dal Parco Naturale dell'Etna, riguardanti la natura autoctona e le specie presenti sul territorio: “La Montagna e i suoi cambiamenti” – Edizioni Hornitos - Parco dell’Etna.
Il passaggio all'olio è stato naturale ed immediato ed ha dato vita ad una serie di opere paesaggistiche molto realistiche, piccoli gioielli di pittura che rappresentano i luoghi vissuti dall'artista: dalla sua città natale al paese in cui attualmente vive e ama fortemente, Cava de' Tirreni, che, con le sue fattezze storiche e paesaggistiche, offre sempre nuovi spunti e nuovi stimoli d'arte. Lavori ad acrilico completano la sua volontà di cimentarsi in tutte le tecniche pittoriche.
Ha partecipato a mostre ed esposizioni collettive che hanno cementato la sua passione per la pittura e la ricerca artistica. Tra queste: “Woman…Artists” organizzata nel 2010 dall’ associazione culturale “Oltre l’Arte” di Cava de’ Tirreni e l’expo d’arte contemporanea “Luci in Avalon” allestita nel 2019 da “Avalon Arte” presso Palazzo Fruscione a Salerno.
Il suo amore per il bello le hanno permesso di abbracciare, oltre alla pittura, anche altre forme d’arte come la lavorazione del vetro attraverso la tecnica Tiffany che l’hanno portata alla realizzazione di vetrate artistiche, lampade, lampadari e oggettistica, dotati di una leggerezza e di un’attualità inaspettate. L’alta qualità dei materiali usati e l’accuratezza e la precisione della lavorazione completano il valore delle sue opere. Alcuni di questi suoi lavori sono stati esposti nel 2015 alla fiera di Roma “Arti & Mestieri Expo”.
Va in scena al secondo
appuntamento del Festival Teatro XS di Salerno “Il re muore” di Eugene
Ionesco, presentato dalla Compagnia
teatrale “La Terra smossa” di Gravina di Puglia. La compagnia è una vecchia
ed apprezzata conoscenza del Genovesi, alla sua quarta presenza al Festival Nazionale del Teatro XS di Salerno,
ha sempre presentato spettacoli non facili, impegnativi, riscuotendo
apprezzamenti dal pubblico. Anche questa volta, gli attori non si sono smentiti
e la versione da loro proposta, è stata di vera eccellenza. Il Re muore di Ionesco, non è un
copione facile, sia per il tema che tratta, la morte e sia per il linguaggio
che l’accompagna, verboso, insistente, aulico nelle invocazioni, insomma 80
minuti per convincere il re a morire ed il re a difendersi dall’inevitabile
morte. Nonostante queste premesse, la versione del testo, data dalla Terra
Smossa è stata di una leggerezza incredibile, passaggi armoniosi, personaggi
ben raccordati, costumi semplici, ma significativi, trucco ineccepibile a
renderli dei guitti ed a fugare la tristezza della trama. Il re, interpretato
magistralmente da Leo Coviello,
mimica facciale inappuntabile, come la sua recitazione iniziale, ci rassicura,
Lui, Bérenger I, padrone dell’universo non può morire, allontanandoci, così,
dall’angoscia della fine. Le sue mossettine amorose con la dolcissima Marie, la
seconda regina, lasciano ben sperare, ma Margherite, la torva prima regina,
cancella ogni illusioni e dice al re che morirà, è malato gravemente e ne è
fermamente convinto, soprattutto, il dottore di corte, chirurgo astrologo, batteriologo
e boia.
Eugène
Ionesco, nel 1959 evolve la sua scrittura verso il teatro
dell’assurdo con l’ossessione della morte che occupa un posto centrale
nell’azione drammatica. A dominare, infatti, alla sua drammaturgia è l’assurdo
che condanna in anticipo e rende la vita e i gesti umani privi di senso.
«quandoero a Chapelle-Anthenaise, mi trovavovo fuori
dal tempo, dunque in una specie di Paradiso. Intorno agli 11 anni ho cominciato
ad avere l'intuizione della fine, ero nel tempo, nella fuga e nel finito. Il
presente era scomparso, non ci sarebbe più stato per me altro che un passato e
un domani, un domani sentito già come un passato, la velocità non è solamente
infernale, essa è l'inferno stesso, l'accelerazione nella caduta”.
Questo suo pensiero
macabro e persistente viene esaltato, nel “Il Re muore”, per l’appunto, portato
per la prima volta sulle scene parigine nel 1962.
Intervento coraggioso è, dunque, quello
proposto dalla Compagnia pugliese improntato ad una lettura in senso
biologico-materialistico, direi quasi carnale, della progressiva consapevolezza
di uomo prima che di re della propria vulnerabilità fisica, evidenziata in modo
asciutto, forte ed essenziale dalle figure clownesche che “tengono” il palco
con regale energia dolente e problematica, consce, ognuna di loro, della
propria non appartenenza al mondo che continuerà a vivere a suo modo. Sanno
ognuno di loro che se stavolta tocca al re di morire, aleggia tuttavia su di essi,
una enorme falce che non promette niente di buono. Sono, ciascuno a modo proprio,
altrettanto giocatori di una partita di solo vinti. La tragicità esistenziale
diventa il collante che li lega e fa di ognuno di essi, un manifesto di
dolorosa e faticosa esistenza, così come doloroso e faticoso, il percorso
finale del re, mummificato ancora vivo. La maschera “guittesca” dei vari
personaggi, in netta contrapposizione con le musiche pop -rock non fa che
contestualizzare ancora di più la drammaticità della situazione che vuole
ognuno di loro sullo orizzonte del confine del grande buco nero, che tutti
ingoierà ma che nessuno intuisce appieno nella sua ineluttabilità. Messaggio
criptico e duro da digerire, perché spesso, troppo spesso, ci sorregge la
maledetta speranza, quella proposta dal grande drammaturgo, che alla fine,
questa continuità biologica tutti ci accomuna e ci fa partecipi del nostro
unitario destino. Alla fine la durezza del linguaggio, che è morte, trova una
sua composita armonia con la forza claunescamente del trucco e l’essenzialità
delle scene, con certi momenti di alto lirismo iconografico, come la cavalcata
del re o la posa plastica dello stesso, mentre viene mummificato dalle bende.Sulla bravura dei 4 protagonisti: Maria Pia Antonacci, Elisabetta Rubini,
Angelo Grieco, Teresa Cicala è indiscussa la bravura, tutti meritevoli di
palcoscenici di più largo respiro. Adatte le sottolineature della musica, datore di audio e luci, Gaetano
Ricciardelli e complimenti alla resa della regia di Gianni Ricciardelli, che ha reso rock un’opera altrimenti
pesante, infine lasciatemi dire (ndr) che il personaggio di Bèrenger I,
interpretato dall’attore Coviello,
lo renderà e per sempre, Re Leo
10 Anni fa, in questo giorno, dove a regnare è l'amore, per Daniela fu la morte.
Daniela è la figliola di mia cugina Eliana, mia madre Bianca era sorella di suo padre Carmine. Da piccole stavamo spesso insieme, le famiglie, nel tempo passato si frequentavano ed era un bel modo di essere stretti da una rete di protezione. L'uso si è perso, il parentado è diventato una monade isolata dal lavoro e dal ritmo frenetico di andare avanti, sicché le occasioni per ritrovarsi sono sempre più rare. Seppi dai giornali della sciagura che aveva colpito la ragazza e la famiglia intera. E a dire che Daniela non voleva partire per Roma, dove avrebbe dovuto festeggiare l'amore di San Valentino, mi aveva detto sua madre al telefono. Un presagio? E chi lo potrà mai dire, certo è che quel giorno, la trappola del gas del riscaldamento della casa, li ha uniti per sempre nella morte assassina e non nell'amore diletto. Tre vittime, sì tre , tra loro due c'era anche il barboncino di Daniela, dal quale non si separava mai. E' disgrazia immane, perdere un figlio, è contro natura, intanto i suoi genitori hanno dovuto sopportare la perdita e trascinare, da quel momento in poi, la loro esistenza.
Il dispiacere mi fa scrivere e per la giovane Daniela composi.