Pagine

martedì 8 ottobre 2019

A Ventotene terminano le mie vacanze (diario 2°parte)


IL DIARIO CONTINUA...

Dopo un'ora circa di volo, durante il quale ho provato anche a scherzare, quando la volontaria mi ha detto che avevo il piacere di fare un volo in elicottero, al che le ho risposto di aver volato su di un fokker, da Boston per Martha's Vineyard isola degli Stati Uniti d'America, nel Massachusetts, vicino alla costa meridionale di Cape  Code, un piccolo aereo di 12 posti e che a vederlo in volo sembra un giocattolo, comandato da terra da bambini. Ciò che mi ha divertito è la meraviglia della volontaria nel non conoscere l'esistenza.  E vai Maria ...


Arrivo in ospedale in codice rosso e adagiata su di una barellina stretta ed antidiluviana, corredata da una spinale,  si accertano, con radiografia che realmente il femore destro è  rotto.  Mi aspetto di essere ricoverata in una stanza, ma resto nel corridoio, senza che nessuno si occupi di me o mi dica qualcosa. Passa il tempo, io sempre distesa e dolorante su la barellina di fortuna, attenta a non fare nessun movimento che potrebbe farmi cadere, lasciata  nel corridoio lungo e stretto, in fila come tanti altri ammalati. Ho freddo sono vestita con pantaloncini corti e canottiera, così chiedo al personale infermieristico se potevo avere una coperta per coprirmi, mi risponde un'infermiera, che va avanti e indietro che coperte non ne hanno, insisto per avere almeno un cuscino, per sostenermi la testa che mi penzola fuori dalla barella, ascoltate che cosa mi risponde: "non abbiamo cuscini e poi vi sembrerebbe igienico che là dove appoggiate la testa voi, dovrebbe andare ad altri ammalati? .Comincia a montarmi la rabbia e rispondo "ma voi le federe, in questo ospedale, non le lavate mai?". Se ne va infastidita senza rispondermi ed io a chiedermi se non stavo in un brutto sogno. Quando sono stata soccorsa mi sono portata, oltre ad un piccolo borsello con gli effetti personali, anche un pareo che mi è servito a volte, appallottolato  da cuscino e a volte a coprirmi il corpo infreddolito dall'aria condizionata, l'unica cosa che per il momento è funzionante. Mentre attendo che le ore passino sorge un un problema, ho bisogno di espletare un bisogno fisiologico ed essendo impedita comincio a chiamare, non ascoltata, il personale, alzo la voce e chiamo per essere soccorsa, anche perché nel frattempo mi  sento male, batto i denti ed ho un dolore fortissimo sotto ventre. Ho urgenza, ma la solita infermiera, sempre impegnata per chi sa chi, infatti siamo tutti in una lunga fila accostati al muro, mi dice che mi avrebbero messo il catetere. Non ci vedo più e dico che non posso attendere oltre e poi dove avrei trovato la privacy per un'operazione del genere e lei con un fare dispettoso mi chiede "e allora come facciamo?"  al che rispondo con rabbia " un pannolone  e subito" e lei "come volete il pannolone? Meravigliata ed io "si , non posso più attendere." Mi trascinano fuori dalla fila, in un angolo che sarebbe dovuto essere, ma non è così, un pò piu' appartato ed io stessa mi sistemo il pannolone che mi verrà cambiato la sera dopo, lasciando alla vostra immaginazione il mio disagio, la sera successiva, quando sono arrivata all'Ospedale Fatebene Fratelli  di Napoli.

Mi riportano di nuovo nella fila del corridoio e là aspetto che succeda qualcosa di nuovo. "Sig.ra Serritiello è uscito il posto in corsia, venite" mi dice, ad un tratto, l'infermiera ed io sollevata, penso di andare in una stanza, sì, con altri ammalati, ma più degnamente ricoverata, non è cosi'! Lascio l'incubo del corridoio senza coperte e senza cuscini ed ogni minima assistenza ed entro nel lazzaretto manzoniano:il pronto soccorso vero e proprio, in effetti io fino a quel momento ho fatto anticamera per entrare nel pronto soccorso, cioè un parcheggio di anziani. La mia delusione è indescrivibile...Non ci sono posti per il ricovero per cui siamo messi tutti là una ventina o forse più di persone , ognuno con una patologia diversa, in attesa. Il medico di turno sta seduto dietro una scrivania e scrive al computer ed attende impaziente il cambio, ogni tanto alza gli occhi dallo scritto, appena qualche paziente lancia un grido, un lamento, una chiamata a qualche parente al suo fianco insistente. Si in quello stanzone che funge da pronto soccorso ci sono tutte persone di un'età avanzata con demenza senile et similia. Per discrezione verso quegli ammalati non descrivo ciò a cui  ho assistito, uomini e donne anziane messi là per mantenerli buoni, ma le chiamate si moltiplicano, il personale si arrangia come può.




Io sono tra loro, meravigliata da questa sanità laziale  che nessuna inchiesta televisiva ha messo in evidenza e posta sotto i riflettori come si fa per la sanità campana, sbattuta in prima pagina un giorno sì ed uno.

Non ho una spina elettrica per ricaricare il cell, per cui sono costretta a chiuderlo, non prima di aver detto a mio marito che in quell'ospedale non mi sarei fatta torcere un capello, e che l'indomani con ambulanza privata mi sarei voluta trasferire a Napoli, lui l'ha già pensato.

Nel giudicare bisogna estrapolare anche ciò che viene fatto di buono e di buono sono state due sacche di sangue per poter farmi riprendere e di questo  ringrazio, così come all'interno nella corsia ringrazio il personale che si divide come può

A questo proposito aggiungo l'inizio di un articolo in rete  di Giuseppe Simeone /in  che denuncia ciò che io ho descritto secondo la mia esperienza

"Pronto soccorso del Santa Maria Goretti di Latina in piena emergenza. Una situazione insostenibile che ha portato medici ed infermieri a mettere nero su bianco al fine di evitare attribuzioni di responsabilità non riconducibili a negligenza, imprudenza o imperiziale criticità organizzative ed assistenziali legate al sovraffollamento. Un segnale forte che evidenzia il dramma che ogni giorno il personale e i pazienti dell’ospedale di riferimento della provincia di Latina sono costretti a vivere..."



Sono passati tre anni da quando è stato scritto l'articolo ma la situazione non è cambiata, anzi ...

La notte la passo interamente sveglia sia per il dolore sia per le lamentele degli altri ammalati. Devo attendere le 15,00 del giorno dopo, mettere la firma e lasciare dietro di me Il Santa Maria Goretti.



Continua...

lunedì 7 ottobre 2019

A Ventotene terminano le mie vacanze (diario 1°parte)



Diario 1°parte


Sollecitata dallo spettacolo teatrale:
VentOtene” di Walter Prete con regia di Gustavo D’Aversa, per l’undicesima edizione del Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno, che ho recensito, il 4 agosto ho deciso di andare a Ventotene e recarmi sull’isola di Santo Stefano dirimpettaia del luogo di villeggiatura.



 locandina ventottene
La recensione

Basta pronunciare Ventotene che alla mente si presentano i nomi di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorno, con la scia del mito di un’Europa libera ed unita. Uomini di grande spessore intellettuale ed umano: Altiero, politico e scrittore italiano, Ernesto, giornalista, antifascista ed economista, Eugenio, filosofo, politico ed antifascista, furono confinati, nel 1941 e scriveranno il manifesto "Per un'Europa libera e unita", poi noto con il nome di Manifesto di Ventotene, culminato con la nascita dell'Unione Europea solo  nel 1992.
E così: “VentOtene Unde mithi” ovvero la nascita di uno dei miti della nostra epoca; Ventotene, lo scoglio utilizzato dal potere, come sede di confino di persone poco gradite allo stesso; Ventotene, la preistoria del sogno di una Europa libera e unita, in piena guerra “e come tale capace di suggerire una mitologia adeguata ai tempi, che i popoli europei attuali stanno vivendo e nella quale potranno trovare soddisfazione in essa fino a che altre preistorie seguiranno” (da una considerazione di Grahame Clarke archeologo del 1961) ed infine Ventotene, isola del tirreno poco più di uno scoglio, ora vacanziero, ma in passato ha avuto una storia tutt'altra che di second’ordine.
In scena, Altiero, Ursula, Eugenio, Ernesto e Tina, cinque personaggi con una vita politicamente impegnata, antifascista e confinata e che da giovani con grandi ideali, sarebbero entrati e ricordati nella storia. E così Attraverso la loro microstoria si attuerà la storia, conosceremo i loro sogni, i loro amori, i desideri di dolcezza, gli studi per approfondire il momento particolare del mondo che li circondava, il tutto con leggerezza, con cambi di divise, narrazioni, voci, recitazione ed una scena semplice e pur complessa per la ristrettezza del palco. Una possente gradinata di ferro al quale sono legate con abile maestrie dei teli bianchi che opportunamente manovrate diventano di volta in volta delle vele così di casa in quel mare o l’emblema di buste a ricordare la condizione di confino, cui erano tenuti quei politici per i quali le lettere che scrivevano o ricevevano rappresentavano il loro principale legame col mondo reale di parenti o amici. Storie di resilienza, le proprie, fatte di passioni, sogni, bisogni, ideologie vulnerabili, spesso tradite dalla storia e sacrificate o fatte abortire dal potere, ma profondamente umane direi quasi carnali che la solitudine dello scoglio inaspriva e ingigantiva. Ed ecco uno spettacolo movimentato urlato forte drammatico e pur tuttavia ricco di spunti e performance significative, nonché coraggioso e lungimirante, in un periodo, come il nostro, in cui una deriva populista sembra far mettere in secondo piano quelle ideologie europeiste delle quali i primi germogli videro la luce proprio su quello scoglio. Da qui quel titolo, quel richiamo a quel’ Europa che forse rimane l’ultima grande via ad una possibile serenità europea se non mondiale, quel rievocare la nascita di quella mitologia che può darci una prospettiva diversa per approcciarci meglio alle problematiche della nostra esistenza.
Significativa la recitazione degli attori aiutata dalla scenografia simbolica, l’orologio, le vele, la scalinata cubica a dare l’altezza dello scoglio e la nudità dello stesso. Ad ascoltare bene si sente l’ondeggiare del mare, il profumo della salsedine ed il salato sulla pelle. Bravi e coraggiosi gli attori e la regia a portare in scena un pezzo del nostro passato, dandogli una dimensione umana e non uno studio scolastico fatto di date e qualche informazione. Mi piace il teatro civile e da insegnante, per sempre, auspicherei che questi pezzi di teatro circolassero in tutte le scuole.
Maria Serritiello 
continua il diario: La traversata riesce gradevole e tra una discussione  e l'altra approdiamo. Ventotene è molto carina, accogliente, sobria e senza il vociare solito della folla, che pure sosta nei bar, nei ristoranti e nei negozi di souvenir.


Per vedere il carcere borbonico, la ragione perché sono là, ho da prendere un gommone, che mal sopporto per gli sbalzi improvvisi, anche Jace, il mio Jack Russel, non gradisce e si accuccia impaurito 



Scendiamo dal gommone io Jace, aiutati dai marinai e m'inerpico per il tratturo assolato, cedendo Jace a mio marito. Il gruppo precedente è già in cima ad attenderci per cui Ferdinando avanza il passo sparendo dalla mia vista. Arrivo con ritardo sul gruppo che è in mia attesa da mezz'ora. Con l'ultimo filo di fiato rimastomi "Si può anche morire per arrivare fin qui" dico e tutti convengono. Un'ora di racconto della bravissima guida mi e ci ragguaglia sulla storia del carcere.

E' lui  la guida del video  che si spende e si cura di spiegare ai turisti con dovizia di particolari. Un patrimonio storico e civile abbandonato, per cui è l'unico e la sola voce a combattere l'incuria. Da questo diario gli voglio dire grazie.

Nel discendere, salire sulla barca, questa volta e tornare a Ventotene mi lasciano senza forza, ma non ne riesco a capire la ragione, sono stata sempre una buona camminatrice, desiderosa di conoscenza, ma non vedevo l'ora che la gita finisse e tornare ad Ischia. Non lo sapevo lo saprò alle 19,00 aspettando  l'aliscafo del ritorno, quando cado rovinosamente sull'asfalto durissimo del porto, strattonata da Jace. Non è stata colpa sua, una stupida padrona di una cavalier king, bellina per carità, si avvicina, senza che io me ne accorga, a  Jace, che non gradisce fare amicizia se non quando lo decide lui. Bene, anzi male, la caduta mi spezza il femore destro.
Una strana coincidenza, assolutamente da citare, sei anni fa stesso giorno il 4 agosto, di domenica, un pò prima come orario, mi sono rotta il femore sinistro, scivolando su di una gocciolina d'acqua, infinitesimale nella cucina di casa. A volte ...

La caduta si rivela fortunosa, malgrado l'esito, più tardi saprò che il mio valore dell'emoglobina è a 5, sarei caduta lo stesso, per strada o ad altra parte.Ecco perché la salita del carcere mi è costata tanto. Circa 20 minuti dopo il 118 mi soccorre e siccome le isole pontine fanno parte della Regione Lazio, con l'elicottero vengo trasportata all'ospedale Santa Maria Goretti di Latina.  Entro immediatamente in quella sanità che viene sempre addossata a quella campana e in particolar modo a Napoli






Quando è nato l'Ospedale


Alle 11.45 del 23 marzo del 1964 l'Ospedale Santa Maria Goretti vide aprire le porte degli spazi di via Reni, per ospitare i primi pazienti che vennero trasportati là, dal vecchio nosocomio di via Emanuele Filiberto. Anno 2001 ristrutturato, possiede la pista di atterraggio per elicotteri in soccorso.





Continua...   A domani
Maria


domenica 6 ottobre 2019

A Ventotene terminano le mie vacanze





Carcere Borbonico sull'isola di Santo Stefano (Ventotene)

La curiosità di visitare il carcere borbonico sull'isola di Santo Stefano, trascorrendo le vacanze ad Ischia, mi era venuta spontanea, un'ora di aliscafo e voilà..

Facciamo un passo indietro e conosciamo la sua storia


Domani continuerò il diario del 4 agosto 2019

sabato 5 ottobre 2019

Dopo tanto tempo tempo, riprendo a scrivere il mio blog



E'  da maggio che non aggiorno il mio blog, da domani sarò con voi per raccontarvi tutto il periodo di assenza. Ciao
                                      Maria





domenica 12 maggio 2019

La dolce mammina di Maria Serritiello





                                            La dolce mammina

Dolce mammina,
la tua, la mia,
la giovane allontanata,
in bianco e nero
senza più la casa
dove il torrente scorre
e il salice già piange;
sul lavatoio,
di grezzo granito, china
e per le strade
polverose sfollate.
Dolce mammina allegra,
l’armoniosa piena in movimento,
l’usignolo che canta
e la favola ci racconta
magica al piano
come al lento gesto del ricamo.
La dolce mammina,
la tua, la mia.
Intatta!

7-8-’98                 Maria Serritiello







domenica 5 maggio 2019

Denny Caputo artista salernitano continua la scalata al successo

                    L'immagine può contenere: 1 persona, barba e primo piano
Uscirà a fine mese il suo primo album  "che segue al singolo "Segliesse a te" del 2018 e dello stesso anno   "Nu può vencere", cantato in  collaborazione con Tony Arca. Dal suo primo album "Resilienza", testo e musica Luca Industria, Silvio Visconti Arranger, SV Record Mixage e Mastering, Aurora Giglio e Cristian Incontrera, attori, Official Seamusica e per la regia di Giovanni Platania  è stato tratto il singolo "So nu sceme".  Una storia sentimentale, cantata con voce avvolgente, come ci ha abituati Denny Caputo, il giovane salernitano, appassionato del genere melodico  L'intensità del suo canto lo si avverte subito e che la storia non sia a lieto fine ci dispiace. Non a caso la location è ambientata a Palermo e fa parte del vissuto di Denny. 

Denny Caputo, figlio d'arte, suo padre Giovanni è il noto artista e poeta salernitano che tutti conosciamo. Fin  da piccolo, in casa ha ascoltato la canzone classica napoletana che suo padre privilegiava, per rivolgere la sua passione a questo genere particolare. A 19 anni emigra in Germania e per quattro anni gestisce una cucina in modo eccellente ed incanta tutti con il suo bel canto.

Al momento è di nuovo in Italia, precisamente a Reggio Emilia, lavorando sempre nel campo della ristorazione e seguendo la sua grande passione canora. Il giovane Denny ha avuto anche un passato di attore, seguendo suo padre. Ha interpretato "Peppeniello" in Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta  e la Purga di Bebè una farsa in 5 atti di G. Feydeau.

C'è molta attesa per l'uscita del primo lavoro del giovane Caputo e sopratutto per una canzone che sarà, sicuramente, il tormentone dell'estate.Ci piacerà ballare e cantare con lo stesso spirito giovanile di Denny, accantonando, per un po', la tenera malinconia dell'inverno. 
Auguriamo al salernitano doc, tutto il successo che sogna e che merita, la sua voce è una carezza, le storie cantate sono sofferte e  passionali, cosicché, in esse ognuno può provare un frammento della propria. 








 

Maria Serritiello








giovedì 14 marzo 2019

“Festa di Montevergine” di Raffaele Viviani, viene presentato dal Teatro Novanta al Teatro delle Arti



Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Non sono bastate le due repliche del 23 e del 25 gennaio, con un tutto esaurito, eh sì che al Teatro delle Arti, 600 sono le poltroncine blue, sicché per accontentare gli spettatori restati fuori, l’8 marzo si è tenuta la terza replica. Un successo clamoroso ed un unanime consenso per “Festa di Montevergine” di Raffele Viviani, messo su dalla compagnia di Teatro Novanta, direttore artistico Serena Stella che insieme all’attore napoletano Lucio Pierri sono stati i protagonisti dello spettacolo- evento. L’impianto corale della rappresentazione è stato perfetto, in scena 40 gli attori- cantanti e 60 i giovani allievi dell’Accademia dello Spettacolo e del Musical di Baronissi, la regia impeccabile è di Matteo Salzano, lui stesso attore, all’interno dello spettacolo, infine una lode particolare va alla scenografia della Bottega San Lazzaro che ha saputo ricreare, con una sola scena, mossa opportunamente, il sacro ed il profano della festa.
Ad iniziare, per creare l’atmosfera della “Juta” così detta in dialetto, alla Madonna Schiavona, perché nera, i 60 allievi tutti di bianco vestiti, simbolo della purezza, si dispongono ai lati del sottopalco ed elevano un canto mistico.
La festa di Montevergine ha antiche origini pagane e si tiene due volte all’anno, il giorno della candelora ed il 12 settembre. Negli anni ’50 ed anche prima era molto frequentata la salita a piedi al Santuario, per espiare le possibili colpe ed arrivare puri dalla Madonna per chiedere grazie e misericordia. Ricordo (N.D.R) che si organizzavano autentiche sfilate di carri, trainati dagli asini apparecchiati a festa, dai più svariati colori di carta e di prodotti della terra, uva, arance, fichi, finocchi ed intrecci di castagne secche, dette del prete, ma anche cesti di cibi, tarallucci e vino che sarebbero serviti per l’intera giornata trascorsa fuori. Sul carro, così addobbato, prendevano posto interi gruppi di famiglia ed amici, vociando canzoni tutte in dialetto, appositamente composte, accompagnate da tammorre, castagnole ed organetto. “Simme jute e simme venute e quanti grazie c’avimme avuto…”
Eseguito il canto, ha inizio sul palco, in due atti, ciò che Viviani ha voluto scrivere un testo, il più popolare possibile. Il sacro mescolato al profano è una caratteristica meridionale, le preghiere vengono recitate tra canti e balli, tutto usuale e senza meraviglia, sicché, la festa di Montevergine, presentata al Teatro delle Arti è stato un tourbillon di personaggi che si sono  alternati sulla scena con canti a figliola, preghiere, suonate di tammorra e fisarmonica, che lasciano immaginare la dura salita, alleviata dai canti. Arrivano in tanti, in processione, stendardi ed un vero asino che entra dalla porta laterale per fare il giro tra il pubblico, cavalcato con destrezza da un pellegrino, venuto da Nola con il seguito dei devoti. Tra i personaggi che intessano la trama ne citiamo alcuni: O’Turrunaro, O’Sanguettaro, A Maesta, O’ Maccarunaro, O’ Vrennaiole, A Farenara, Ciro Capano, Don Matteo Attunnaro. La storia, ridotta in due atti dei tre originali, gira intorno a persone di fede che entrano nel Santuario per chiedere grazie, mentre fuori dei benestanti consumano caffè, giocano a carte e ordinano il pranzo. Presto, però, s’intuisce che non tira buon’aria tra Don Matteo, follemente innamorato e ricambiato, naturalmente di nascosto, dalla moglie di Don Ciro Capano e lo stesso. Per troncare il mormorio della gente, Don Ciro chiede spiegazioni a Don Raffele sul “si dice” della possibile tresca, l’incontro potrebbe finire anche in un solenne “paliatone” tra i due. La moglie del Sanguettaro, in tutto ciò, impiccia e scioglie i nodi delle accuse, con una facilità a non farsi i fatti suoi. La lite si aggiusta nel finale, come sempre succede nel modo ipocrita borghese, le coppie si ricongiungono, mangiano finalmente il pranzo ordinato e tra Don Ciro e Don Matteo, tra pacche sulle spalle, continueranno a fare affari tra di loro.
Uno spettacolo d’insieme eccezionale, la mole di lavoro preparatorio sarà stato faticosissimo ma lo staff impiegato ha fatto il miracolo della inappuntabile coralità. E’ d’obbligo citare la bravura di tutti i partecipanti ma un plauso particolare va a Serena Stella, che onora la tradizione di famiglia, Gaetano Stella, perfetto in ogni personaggio che interpreta, unitamente all’indiscussa bravura di sua moglie Elena Parmense. Una famiglia che ha saputo fare del teatro il centro della propria vita e regalarci, ogni volta, spettacoli di gran pregio, inseriti nella rassegna annuale “Te voglio bene assaje”.  Lo spettacolo si è arricchito per la presenza di Matteo Salzano e di Chiara De Vita. Un grazie sentito va al Direttore organizzativo di Teatro Novanta, Alessandro Caiazza, per l’organizzazione delle giuste repliche.


Maria Serritiello