Uscirà a fine mese il suo primo album "che segueal singolo "Segliesse a te" del 2018 e dello stesso anno "Nu può vencere", cantato in collaborazione con TonyArca. Dal suo primo album "Resilienza", testo e musica Luca Industria, Silvio Visconti Arranger, SV Record Mixage e Mastering, Aurora Giglio e Cristian Incontrera, attori, Official Seamusica eper la regia di Giovanni Platania è stato tratto il singolo "So nu sceme". Una storia sentimentale, cantata con voce avvolgente, come ci ha abituati Denny Caputo, il giovane salernitano, appassionato del genere melodico L'intensità del suo canto lo si avverte subito e che la storia non sia a lieto fine ci dispiace. Non a caso la location è ambientata a Palermo e fa parte del vissuto di Denny.
Denny Caputo, figlio d'arte, suo padre Giovanni è il noto artista e poeta salernitano che tutti conosciamo. Fin da piccolo, in casa ha ascoltato la canzone classica napoletana che suo padre privilegiava, per rivolgere la sua passione a questo genere particolare. A 19 anni emigra in Germania e per quattro anni gestisce una cucina in modo eccellente ed incanta tutti con il suo bel canto.
Al momento è di nuovo in Italia, precisamente a Reggio Emilia, lavorando sempre nel campo della ristorazione e seguendo la sua grande passione canora. Il giovane Denny ha avuto anche un passato di attore, seguendo suo padre. Ha interpretato "Peppeniello" in Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta e la Purga di Bebè una farsa in 5 atti di G. Feydeau. C'è molta attesa per l'uscita del primo lavoro del giovane Caputo e sopratutto per una canzone che sarà, sicuramente, il tormentone dell'estate.Ci piacerà ballare e cantare con lo stesso spirito giovanile di Denny, accantonando, per un po', la tenera malinconia dell'inverno.
Auguriamo al salernitano doc, tutto il successo che sogna e che merita, la sua voce è una carezza, le storie cantate sono sofferte e passionali, cosicché, in esse ognuno può provare un frammento della propria.
Non sono bastate le due
repliche del 23 e del 25 gennaio,
con un tutto esaurito, eh sì che al Teatro delle Arti, 600 sono le poltroncine
blue, sicché per accontentare gli spettatori restati fuori, l’8 marzo si è tenuta la terza replica.
Un successo clamoroso ed un unanime consenso per “Festa di Montevergine” di Raffele Viviani, messo sudalla compagnia di Teatro Novanta, direttore artistico Serena
Stella che insieme all’attore napoletano Lucio Pierri sono stati i protagonisti dello spettacolo- evento.
L’impianto corale della rappresentazione è stato perfetto, in scena 40 gli
attori- cantanti e 60 i giovani allievi dell’Accademia
dello Spettacolo e del Musical di Baronissi, la regia impeccabile è di Matteo Salzano, lui stesso attore,
all’interno dello spettacolo, infine una lode particolare va alla scenografia
della Bottega San Lazzaro che ha
saputo ricreare, con una sola scena, mossa opportunamente, il sacro ed il
profano della festa.
Ad iniziare, per creare
l’atmosfera della “Juta” così detta in
dialetto, alla Madonna Schiavona, perché nera, i 60 allievi tutti di bianco
vestiti, simbolo della purezza, si dispongono ai lati del sottopalco ed elevano
un canto mistico.
La festa di Montevergine
ha antiche origini pagane e si tiene due volte all’anno, il giorno della
candelora ed il 12 settembre. Negli anni ’50 ed anche prima era molto
frequentata la salita a piedi al Santuario, per espiare le possibili colpe ed
arrivare puri dalla Madonna per chiedere grazie e misericordia. Ricordo (N.D.R)
che si organizzavano autentiche sfilate di carri, trainati dagli asini
apparecchiati a festa, dai più svariati colori di carta e di prodotti della
terra, uva, arance, fichi, finocchi ed intrecci di castagne secche, dette del
prete, ma anche cesti di cibi, tarallucci e vino che sarebbero serviti per
l’intera giornata trascorsa fuori. Sul carro, così addobbato, prendevano posto
interi gruppi di famiglia ed amici, vociando canzoni tutte in dialetto,
appositamente composte, accompagnate da tammorre, castagnole ed organetto. “Simme jute e simme venute e quanti grazie
c’avimme avuto…”
Eseguito il canto, ha
inizio sul palco, in due atti, ciò che Viviani ha voluto scrivere un testo, il più
popolare possibile. Il sacro mescolato al profano è una caratteristica
meridionale, le preghiere vengono recitate tra canti e balli, tutto usuale e
senza meraviglia, sicché, la festa di Montevergine, presentata al Teatro delle
Arti è stato un tourbillon di personaggi che si sono alternati sulla scena con canti a figliola, preghiere,
suonate di tammorra e fisarmonica, che lasciano immaginare la dura salita,
alleviata dai canti. Arrivano in tanti, in processione, stendardi ed un vero
asino che entra dalla porta laterale per fare il giro tra il pubblico,
cavalcato con destrezza da un pellegrino, venuto da Nola con il seguito dei
devoti. Tra i personaggi che intessano la trama ne citiamo alcuni: O’Turrunaro, O’Sanguettaro, A Maesta, O’
Maccarunaro, O’ Vrennaiole, A Farenara, Ciro Capano, Don Matteo Attunnaro. La
storia, ridotta in due atti dei tre originali, gira intorno a persone di fede
che entrano nel Santuario per chiedere grazie, mentre fuori dei benestanti
consumano caffè, giocano a carte e ordinano il pranzo. Presto, però, s’intuisce
che non tira buon’aria tra Don Matteo, follemente innamorato e ricambiato,
naturalmente di nascosto, dalla moglie di Don Ciro Capano e lo stesso. Per
troncare il mormorio della gente, Don Ciro chiede spiegazioni a Don Raffele sul
“si dice” della possibile tresca, l’incontro potrebbe finire anche in un
solenne “paliatone” tra i due. La moglie del Sanguettaro, in tutto ciò,
impiccia e scioglie i nodi delle accuse, con una facilità a non farsi i fatti
suoi. La lite si aggiusta nel finale, come sempre succede nel modo ipocrita
borghese, le coppie si ricongiungono, mangiano finalmente il pranzo ordinato e
tra Don Ciro e Don Matteo, tra pacche sulle spalle, continueranno a fare affari
tra di loro.
Uno spettacolo d’insieme
eccezionale, la mole di lavoro preparatorio sarà stato faticosissimo ma lo
staff impiegato ha fatto il miracolo della inappuntabile coralità. E’ d’obbligo
citare la bravura di tutti i partecipanti ma un plauso particolare va a Serena Stella, che onora la tradizione
di famiglia, Gaetano Stella, perfetto
in ogni personaggio che interpreta, unitamente all’indiscussa bravura di sua
moglie Elena Parmense. Una famiglia
che ha saputo fare del teatro il centro della propria vita e regalarci, ogni
volta, spettacoli di gran pregio, inseriti nella rassegna annuale “Te voglio bene assaje”. Lo spettacolo si è arricchito per la
presenza di Matteo Salzano e di Chiara
De Vita. Un grazie sentito va al Direttore organizzativo di Teatro Novanta,
Alessandro Caiazza, per
l’organizzazione delle giuste repliche.
Caro Blog, negli ultimi tempi ti ho trascurato, non ho conservato, con te, tutte le mie recensioni teatrali, gli avvenimenti successi, insomma, ho avuto poco tempo per te e me ne dispiaccio.Ti prometto che fra un po' mi dedicherò a te come ho sempre fatto. Per recuperare ho già lasciato la pagina, questa, per poter trascrivere tutte le recensioni. Aspetta ancora un po', caro amico di tanto tempo trascorso assieme e saremo di nuovo insieme.
Era il 2005 e nessuna nube all'orizzonte...Oggi, per fare spazio nella posta arrivata e quasi mai cancellata, ho trovato questa foto che mi è cara per diverse ragioni.
In una bella passeggiata verso il monte Stella, io, Antonio, il mio amato fratellino e Kora, la Rott, il più bel cane che abbia avuto, chiedendo scusa a Lolita, un'affettuosissima cagnolina, non di razza, che ha condiviso con me ed Antonio la giovinezza e Jace il piccolo Jack Russell terrier che mi accompagna nella diversa gioventù, scattammo delle foto. L'autore di questo scatto è mio fratello Antonio. Io e Kora gli sorridiamo, pensando che possa essere per sempre...invece sono la sola a restare.
Cari ragazzi, il vostro ricordo per mio fratello mi commuove e mi conferma che con voi ha vissuto felice. Vi conosco uno per uno, la nostra casa era sempre aperta ed io ero contenta di sapervi in 15-20, nell'altra stanza, mentre studiavo per laurearmi. A volte le vostre voci mi distraevano, ma lasciavo fare, perché mio fratello era contento con voi e non era solo. Fermo nel mio blog, le parole di Bruno e Lucio, perché se ne conservi traccia. Antonio sarà molto soddisfatto, nel leggervi qui,sì, perché chi, come lui, ha donato amicizia e ne ha ricevuta, non morirà mai. Continuate a ritenerlo con voi, nelle vostre rimpatriate, nei vostri discorsi, nell'amicizia che va oltre i confini, sarà il più bel dono che vi sarete fatti.
Non a caso il ripetuto ricordo di Antonio giunge oggi, giorno dell'amore, quello amicale che è il più puro, per averne dato tanto e ne riceve ancora da voi, mitica classe e da quanti l'hanno conosciuto. Da parte mia GRAZIE
Maria Serritiello
Al nostro caro Antonio Serritiello amico di tante goliardico.. 2 febbraio 2014
Cari ragazzi, tanti anni fa, la roulette della vita, decise di accomunare un gruppo di giovani sconosciuti adolescenti ,nella
stessa aula scolastica. 5 anni in comune fecero di loro un corpo unico . L'amore che li legava e li lega tuttora , va oltre i confini
del tempo e della vita. PINO FIORE, TOTONNO e per tutti gli altri la frase che vale è: "l'assenza è sempre presenza". E fuor
di retorica è la pura verità. PERCHÉ 'NOI PARLIAMO DI NOI, sempre. Ci raccontiamo, ridiamo e ci incazziamo assieme o anche
da soli, perché basta uno di noi che, in qualsiasi momento delle nostre giornate, sfiori col pensiero, un vecchio compagno, li ricordi
tutti. E questo vale ancora di più per chi del gruppo ha lasciato un segno più marcato, tra questi alcuni in particolare, TOTONNO
sicuramente c'è. C'è e non c'era; C'è perchè ci sono io, c'è Carlo, c'è Saverio, c'è Lucio, e poi Gianfranco, Mario, Pastarella, Scanzano , Monaco, e potrei continuare, ma vorrei dirvi che c'è anche Pino Fiore, che si è assentato (ma sempre presente), qualche anno fa.
IL racconto che precede ha molto divertito TOTONNO, ma anche un po' commosso. Perché noi siamo così: ridiamo e ci commuoviamo ma poi ci dicevamo: chissenefrega...da questa o dall'altra parte del mondo noi ci vediamo, parliamo, e facciamo cose non riferibili ...
C'è lo siamo promesso tanti anni fa, quando scrutandoci l'un con altro per la prima volta, capimmo che niente ci avrebbe mai diviso, neanche l'infinito.
VI ABBRACCIO FORTE, E UN BACIONE FORTE A MAMMA.
P.S. Perdonatemi, ma dovrò scrivere un altro racconto strambo: l'ho promesso a TOTONNO, e non vorrei farlo incavolare..
Marco Anastasio ha 21 anni (classe ’97) e viene da Meta di Sorrento, dove vive con la sua famiglia.
Diplomato presso l’Istituto Agrario di Portici, discende da una famiglia di avvocati civilisti che inizia con il nonno Salvatore e continua tuttora con il padre Teodoro, il cui fratello Ernesto è giudice penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Si considera un tipo molto pigro, ma non lo reputa un difetto, bensì un pregio di cui va fiero.
Anastasio aveva fatto conoscere il suo stile al pubblico italiano già prima di X Factor 2018, attraverso il suo canale YouTube, dove sono raccolti i suoi primi singoli e videoclip, grazie ai quali ha conquistato una marea di visualizzazioni e condivisioni.
Tra i più “cliccati” una versione di Generale di Francesco De Gregori.
Della vita privata di Anastasio invece non si sa molto, anche se dal suo profilo Instagram, si può capire qualcosa di più. Fidanzato? Pare di no.
E’ Marco Anastasio il vincitore di X Factor 2018, il famoso e fortunato talent musicale targato Sky giunto alla 12 esima edizione. Il rapper campano degli Under Uomini di Mara Maionchi ha sbaragliato la concorrenza e ottenuto la vittoria come da previsioni.
Una vittoria che era nell’ aria fin dall’ inizio quando il giovane concorrente ha stupito tutti con il suo rap e le sue grandissime doti di scrittura.
Scelta di partecipare al talent coincisa con quella di cambiare il suo nome d’arte “Nasta” a favore del suo cognome, commentando così la sua decisione, perché “Anastasio è il mio cognome, ed io vorrei essere semplicemente me stesso. La sincerità paga e io francamente non ho voglia di costruirmi un personaggio. Nasta era figo, Anastasio sono io”.