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venerdì 24 settembre 2021

La Piazza più Bella, la più grande d’Italia e d’ Europa fronte mare è a Salerno

 


Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

15 anni: il tempo impiegato, 28 mila metri quadri: la superficie, 700 posti auto interrati: la sosta possibile, 100 mila: la capienza delle persone, numeri che si aggiungono a numeri e di contra Lui solo, rimpicciolito nel suo completo scuro, smarrirsi dinanzi al suo stesso capolavoro. Eppure è attorniato affettuosamente dal Sindaco della città, Vincenzo Napoli e da un folto pubblico, quello che lo segue e quello che lo avversa, ma lui è là, sul palco approntato, col Crescent di Bofill alle spalle, parabola di ciò che è stato e negli occhi la visione, accarezzata per 15 anni, divenuta realtà solamente e grazie al il suo credere ideale e alla forza morale nell’andare avanti. Un gladiatore nel circo massimo, a rilanciare ogni volta, il progetto che avrebbe dato una svolta alla città di Salerno, sprovincializzandola per sempre. Un disegno, che a voler pensar bene, se ne realizza uno ogni 400 anni, venuto dopo polemiche politiche, controversie giudiziarie, varianti in corso d’opera, rinvii tecnici e per ultimo un inaspettato crollo, che avrebbe smontato chiunque, ma non il granitico governatore della Campania, Vincenzo De Luca. E se nel discorso di presentazione, il 20 settembre scorso si commuove a più riprese il coinvolgimento ci sta “Questa è la piazza sul mare più grande d’Italia e d’Europa, anni duri, pesanti, per me e i miei figli, Piero e Roberto.” Una via crucis laica il tempo, sicché nel ricordo la commozione ferma la sua voce una prima volta e così anche quando ribadisce che “a quest’opera ho dedicato la mia vita” Per nascondere la sua debolezza è costretto a girare le spalle al pubblico, a bere un po’ d’acqua, fiele ne ha bevuto a sufficienza in questi anni passati. Suscita applausi, il re è nudo ed a tutti fa tenerezza. Via la figura di sceriffo, intransigente e dittatore, davanti ai suoi occhi si è materializzata la piazza così come l’ha sognata. Breve cambio di scena ed ecco il De Luca di sempre dire “Non vi montate la testa, sono la carogna di sempre” lo dice quasi a volersi rafforzare, a credere e ad essere pronto alle tante battaglie, che dovrà affrontare, finita la presentazione della piazza. Nessuna tregua, nessuna pausa, queste mete si raggiungono solo se non ci si lascia distrarre, la fatica non lo spaventa e se è riuscito a remare per quindici anni, l’allenamento non gli manca. Novello Ftzcarraldo è riuscito a far fiorire un angolo di città degradato e dedito al malaffare, in un posto che è più ampio di Piazza San Pietro e che nell’immediato ha già ospitato il Pontificale di San Matteo, Amato Patrono della città, celebrato dal cardinale, sua Eccellenza Pietro Parolin segretario di Stato di Papa Francesco.

I giudizi negativi su quest’opera faraonica (bene così) hanno tenuto banco per tutti i 15 anni, né si placheranno nel prosieguo, sta di fatto che un uomo, malgrado tutto e contro tutte le avversità, sia riuscito a far realizzare un monumento che sarà l’identificazione per ogni salernitano. Bella o brutta, secondo il proprio giudizio, la Piazza c’è ed è pronta per scandire momenti, ci si augura lieti, per il futuro.

E’ innegabile che Vincenzo De Luca ha cambiato il volto della città, addormentata su se stessa e sui suoi riti ripetuti istintivamente all’infinito, mancava quel quid che la facesse diventare una città media del sud, di marca europea, abbandonando la tipologia del poco più di un paese. Ed ecco che da Sindaco prendere Salerno tra le mani, rivoltarla come un calzino e ridisegnarla con l’aiuto di Oriol Bohigas, architetto spagnolo.

L’incipit si ha all’inizio del 1994 quando la giunta guidata da De Luca, appena insediato, conferma l’incarico allo studio MBM di Barcellona ( Già incaricato dalla precedente amministrazione) e crea le condizioni perché s’inizi a mettere mano alla questione urbanistica con l’obiettivo di una ricostruzione della città. Salerno, usciva da alluvione e terremoto, da una periferia degradata da un traffico ingestibile e da una carenza di spazi pubblici. Per il salto di qualità e potenziare la vocazione turistica, Salerno aveva bisogno di spiagge (ed ecco il ripascimento), di un porto turistico, la splendida stazione marittima di Zaha Hadid un nuovo centro di città, di alberghi e di una circolazione funzionante. Il mare, poi, la risorsa principe ha la città di spalle…

Il resto della storia è sotto gli occhi di ognuno, fino a trovarci tutti insieme, detrattori e fautori, nella Piazza della Libertà, voluta fortemente da un visionario sognatore che contro tutti quelli che nell’ordinario vedono l’eccezionalità, ha consegnato a Salerno il simbolo identitario, come Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Pisa, Genova e così via…

Maria Serritiello

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giovedì 15 luglio 2021

Prosegue al Teatro dei Barbuti il 12 esimo Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno indetto dalla Compagnia Dell’Eclissi

 


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Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


 

Venerdì 9 luglio 2021, ai Barbuti di Salerno è stata la volta della Compagnia PolisPapin di Roma, con lo spettacolo di un’ora e più dal titolo “Tàlia si è addormentata” tratto da" Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile e scritto da Francesco Petti con Cinzia Antifona, Valentina Greco, Francesca Pica musiche di Melisma, scene e costumi di Domenico Latronico aiuto scenografo Dario Vegliante regia di Francesco Petti

Tàlia si è addormentata non è altro che la Bella addormentata nel bosco, la favola conosciutissima da tutti i piccoli, raccontata e letta dalle mamma e dalle nonne, la sera prima di addormentarsi. La fiaba ha origini antichissime ed è arrivata fino a noi ad opera delle versioni edulcorate di Charles Perrault, dei Fratelli Grimm e dal film di Walt Disney. Un po’ diverso è il contenuto scritto da Giambattista Basile nel suo Pentamerone. Nel racconto di Basile, infatti, non è un principe a svegliare la fanciulla, addormentatasi per una puntura di una lisca di lino, mentre filava, ma da un re di passaggio già sposato, che giace con lei dormiente e se ne va. Il romantico bacio del bel principe, immaginato da schiere di bambine, in Basile, viene ad essere uno stupro che dopo nove mesi dà i suoi frutti: Sole e Luna. I piccoli nati succhiando il dito della madre, anziché il seno, sciolgono l’incantesimo e la principessa si sveglia. Ci avviciniamo lentamente al vissero tutti felici e contenti perché il re torna al castello, trova Tàlia sveglia e madre di due figli, ma prima di giungere al lieto fine si dovrà passare per la cattiveria della regina, la prima moglie. Intanto Parasacco e Malombra, due spiriti buoni salvano il re dal cannibalismo dei suoi stessi figli, la regina viene scoperta e mandata a morte. Sì, adesso e solo adesso il finale viene a rallegrare la favola che in alcuni momenti ha del noir truculento.

Ciò che ci fa molto apprezzare la versione di Francesco Petti, rifacendosi a Gian Battista Basile, è l’allestimento scenico, il dialetto arcaico e la capacità di interscambiarsi i ruoli con grande maestria, senza che la rappresentazione ne abbia a risentire.

La scena si presenta con tante lische di lino a mo’ di prato fiorito, al centro una sagoma di un teatrino di strada, come quelli usati per raccontare le favole ovunque. E’ ornato da un astrolabio che segna il tempo a sua volta e riflesso in uno specchio d’ ingrandimento. Intorno all’originale catafalco  ruota ogni soluzione scenica, ogni passaggio della storia. Sicché è usato da camerino, da castello, salendo fin sulla cima, da torre d’avvistamento, da cambio dei costumi, una fonte inesauribile di soluzioni. Divertente il sottogonna, di acciaio con rotelle per gli spostamenti, detto dal volgo dell’epoca anche “parapallo”, indossato dalla vita in giù da chi doveva a turno interpretare Talia. I costumi barocchi fatti di strisce colorate per dare vivacità alla scena, quasi sempre in ombra, ripetono immagini arcaiche dalle maschere terrorizzanti. Un insieme nel quale serpeggia, un delicato equilibrio tra il serio e l’arguto, dove il serio vede nel “trono” tuttofare al centro della scena la sua magia favolistica e la rappresentazione del tempo ed il faceto si lascia intravedere in certi scorci (la fusione nel bianco lenzuolo a più mani le anime buone di Parasacco e Malombra o certi sbalzi comici). Si rimane attaccati alla pur conosciuta favola per la capacità creativa di dare soluzioni sceniche interessanti a problemi narrativi urgenti e nello stesso tempo consci trattarsi di una favola e come tale a lieto fine. E il tempo pare dilatarsi! L’ ora di spettacolo diventa così un modo accattivante, leggero e significativo per riflettere senza troppo impegno sulla problematicità della esistenza! Certi primi piani di Francesco Petti ci ridanno il volto della vita piena e fatua di una favola senza tempo, per un uomo non sempre consapevole della propria limitatezza.

Maria Serritiello

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lunedì 12 luglio 2021

Italia Campione d'Europa, battuti gli inglesi in casa

 

In una notte magica a Londra e per la seconda volta siamo 

                                 CAMPIONI D'EUROPA

                                GRAZIE RAGAZZI             











Sik Sik l’artefice Magico al Teatro dei Barbuti di Salerno con Enzo D’Arco e la Compagnia La Cantina delle Arti di Sala Consilina

 








Fonte:www.lapilli.eu                             Foto dal Web

di Maria Serritiello

“Il personaggio che più mi sta a cuore è Sik Sik l’artefice magico, tra i tanti che ho scritto è quello che più mi appartiene. E’ un atto unico diviso in due tempi e fu scritto in treno, durante il percorso Roma- Napoli e doveva far parte di uno spettacolo che stavano allestendo al Teatro Nuovo.”

Sono le parole che lo stesso Eduardo afferma rivolgendosi al personaggio Sik.Sik, che a Napoli, oltre a dare il nome al pezzo, sta ad indicare la magrezza.

A cimentarsi con il pezzo di Eduardo, al 12esimo Festival Nazionale “Teatro XS città di Salerno, è Enzo D’Arco, della Cantina delle Arti di Sala Consilina, una vecchia conoscenza per aver partecipato alla gara del Festival con uno spettacolo di cui mi sfugge il nome e l’anno (N.d.R.), tempo addietro e per la collaborazione poi nata e cioè il vincitore della rassegna “Monodramma” tenuta da Enzo D’Arco, entra a far parte di diritto alla rassegna all’XS.

Enzo si è voluto cimentare ai Barbuti di Salerno, fuori concorso, con un pezzo che appartiene agli scritti giovanili di Eduardo (1929) ed è contenuto nella raccolta della “Cantata dei giorni pari”. L’atto unico ebbe molto successo fu rappresentato innumerevoli volte persino in Francia e in Portogallo. Inspiegabile per me (N:D:R) tanto successo, forse perché la gente era meno smaliziata, desiderosa di trame semplici e gran voglia di divertirsi. Si fa fatica a riconoscere il drammaturgo, il suo spessore, la sua umanità e la sua grande capacità di leggere i sentimenti umani e delineare personaggi indimenticabili. Sì, è vero l’illusionista dà spettacolo con la fatica, con l’arte di arrangiarsi non un imbroglio tot court, ma solo uno stratagemma per portare avanti la famiglia, che presto avrà un Siksicchino. Il testo si divide in due tempi, il primo per istruire il palo che dovrà collaborare per la buona riuscita dello spettacolo ed il secondo nello spettacolo vero e proprio. 4 i personaggi nella versione eduardiana, tre in quella allestita e diretta da Enzo D’Arco.

E diciamo di Enzo che ha avuto il pregio di non discostarsi dalla versione di Eduardo, ma d’inserire qua e là qualche novità senza uscire dai canoni. La bravura dell’attore è consistito nel non voler imitare, cosa difficile ed inutile, Eduardo, per cui, la sua, è stata una recitazione fluida, personale, a volte macchiettistica, ma il personaggio lo richiedeva. La faccia allucinata e lo scuotimento della testa nel mentre esegue i trucchi gli hanno dato una luce esaltata tanto da aspettarsi applausi a profusione e per dire “E se ne care o tiatre” cioè il massimo del successo. L’elemento che Enzo ha inserito, per dire che il tempo è trascorso dalla data della nascita dell’atto unico (1929) sono i due volti giovanili: Antonella Giordano e Luigi D’Arco, atletico lui saltellante lei, mimica espressiva dei due d perfetti burattini, avidi solo di soldi, che ascoltano l’illusionista, che di soldi non ne vorrebbe dare, ma non capiscono le parole. E’ pur vero che Sick Sick usa un linguaggio che storpia le parole: pisellino, sta per pisolino, chimonico, sta per chimono, dentice sta per identico e così via, ma sono trucchi per far sorridere il pubblico e per movimentare la spiegazione dei che altrimenti sarebbe stato un arida elencazione.

Andiamo via dai Barbuti, leggeri, con il sorriso sulle labbra, il sudore degli attori condiviso, riflettendo che la vita è un’illusione ed il teatro la rappresenta senza farci immalinconire. Grazie Eduardo, questo è il tuo Sick Sik, e grazie Enzo D’Arco per averlo fatto rivivere.

Maria Serritiello

 

Testo: Eduardo De Filippo

Regia: Enzo D’Arco

Aiuto Regia: Antonella Giordano

Audio/luci: Luigi D’Arco

Commento Sonoro: Antonello Pallotti

Con Enzo D’Arco, Antonella Giordano, Luigi D’Arco




 

domenica 4 luglio 2021

Papa Francesco ricoverato: subirà un intervento. La situazione Il Pontefice si dovrà sottoporre a un intervento chirurgico programmato: cos'ha e dove sarà operato

 



Fonte: Virgilio notizie


Papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per sottoporsi a un intervento chirurgico. Già dalla mattinata c’era fermento nel nosocomio per accogliere il Pontefice. L’operazione verrà effettuata nella giornata di oggi. Il Papa, che ha 84 anni, è arrivato al Policlinico romano poco dopo le 15.

La Santa Sede ha parlato di un “intervento programmato” da molto tempo per “una stenosi diverticolare sintomatica del colon”, ovvero una occlusione dovuta a diverticoli infiammati che vanno rimossi.

Si tratta di un’operazione che si può svolgere in laparoscopia e quindi non è molto invasiva. Al termine, ha fatto sapere il Vaticano, verrà diramato un bollettino medico.

L’intervento sarà effettuato dal professor Sergio Alfieri, il direttore dell’Unità operativa di chirurgia digestiva.

L’arrivo del Papa al Gemelli

All’arrivo del Papa al Gemelli la sua auto, come al solito, non aveva evidenti segni di riconoscimento. L’autista lo ha lasciato davanti all’ingresso della struttura ospedaliera e con lui c’era un seguito molto ridotto: solo l’autista e uno stretto collaboratore di Francesco.

Nessuno dei normali degenti del Gemelli, in quel momento, si è accorto di qualcosa di particolare, come riportano testimoni al Corriere della Sera. Erano a conoscenza dell’intervento solo i medici direttamente coinvolti e nessun altro.

Francesco è stato ricoverato proprio nelle stanze al decimo piano che ospitarono Papa Wojtyla.

L’ultimo Angelus del Papa prima dell’operazione

Questa mattina il Papa si è rivolto ai fedeli nel consueto Angelus domenicale e ha annunciato che “dal 12 al 15 settembre prossimo, a Dio piacendo, mi recherò in Slovacchia per fare una visita pastorale”.

L’intervento è stato programmato all’inizio delle vacanze del Papa, che solitamente Francesco trascorre in Vaticano, nella Casa Santa Marta, senza soggiorni in montagna né altrove.

Come di consueto, per tutto il mese le udienze generali del mercoledì sono state sospese e riprenderanno il 4 agosto.



sabato 3 luglio 2021

Il Teatro dei Barbuti ospita il 12 esimo Festival Nazionale “Teatro XS” Salerno

 



foto dal web
fonte www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Sono trascorsi sedici mesi senza poter portare a termine la 12 esima rassegna teatrale del Festival nazionale “Teatro XS -Salerno”, indetta dalla Compagnia dell’Eclissi. La sospensione al terzo spettacolo, in marzo, ci aveva colti di sorpresa e paura, il covid 19 stava appestando mondo intero, perciò l’interruzione forzata. Ed eccoci qua, il primo luglio si riprende, puntuali gli spettatori del Teatro Genovesi sono dinanzi al sipario rosso che copre lo spazio prima di ogni spettacolo. Ci salutiamo, abbiamo tutti la mascherina, manteniamo il distanziamento, attenti a non fare assembramento in quei 10 minuti di attesa per affollare il teatro. Mi prende la nostalgia (n.d.r.) lo dico a Macello Andria, aggiungendo “sembriamo dei figuranti”, il Festival ha sempre avuto il suo luogo preciso, il suo spazio, la sua atmosfera che all’aperto si disperde, tra le mille voci del rione ed il latrare dei cani. Il Teatro dei Barbuti per me è l’estate piena, agosto, con spettacoli vivaci, partecipati, è cabaret, è festa, è l’allegria di chi sa che essere in città in agosto, può godere il fresco, lo sfollamento della città e il buonumore, il continuum delle vacanze, con le comodità della propria casa.

Però grazie allo slargo voluto- teatro da Peppe Natella e continuato con grande perizia da sua figlia Chiara, noi siamo a concludere l’amato festival.

 La scena a vista e scarna una bambola di pezza altezza uomo, due cassette di plastica ed un alto involucro di ferro che all’occorrenza, chiudendosi, diventa una gabbia intorno al monologhista Roberto Capasso. Il pezzo, presentato, ha un titolo che incuriosisce : Pacchiello, venditore ambulante di taralli,caldi caldi e di guai neri neri, il testo è di Pasquale Ferro.

Pacchiello, come spiegherà lui stesso è un untore, uno che ama i soldi e poco, anzi per niente, la fatica, ha una brutta menomazione fisica, la gobba su di un spalla, che sarà la sua infelicità e di chi s’imbatterà in lui. Il lavoro lui ce l’avrebbe, il padre ha un avviato forno ed il pane, mò ci vuole, in casa non manca, ma lui ha la smania di fare soldi, come se i denari potessero ricompensarlo della sua bruttezza. Racconta che quando era piccolo e andava per consegne, si nascondeva e ascoltava le parole delle signore tra cui il debito, l’usura, l’interesse. Considerò da adulto che questo sarebbe stato il suo mestiere, dare i soldi guadagnandoci, per poter vedere strisciare ai suoi piedi tutti quelli che non riuscivano ad estinguere i debiti Cosi fu per Samuele, il suo amico d’infanzia, bello quanto il sole, che, caduto nelle sue spire, dovette subire l’onta, di soddisfare le sue voglie, spinto in un portone, mentre sfilavano le colonne festose dei gigli di Nola. Non andò meglio a Natascia né ad Assunta velo di sposa. Si marita, pure e fa anche una figlia per non farsi dire dal rione che non ha capacità sessuali. Insomma un tipo losco, cattivo ed ubriacone, senza un briciolo di umanità. Vive con la madre l’unica in grado di essergli fedele ed accogliente e lui, quando la povera vecchierella muore non è in casa accanto a lei.

Roberto Capasso ha reso la figura di Pacchiello con grande veridicità, l’espressione del viso mutevole, ben sottolinea i passaggi, a volte anche disgustosi, come l’assalto dei pidocchi nei capelli e nel corpo. Un monologo di sapore antico, come le nenie , cantate sottovoce dallo stesso Pacchiello, ad esempio:

“Storta Picoscia tiene e cosce, mosce mosce e sotto o suttanine tiene o scoglio e margellina”

Il testo, ben arrangiato, con qualche spunto di pena e malinconia per Pacchiello,  risente de Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, la raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile ed edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. Lo stesso Roberto Capasso, bravo nel ricordare il monologo lungo ed impegnativo, anche dal punto di vista fisico, riecheggiano le tonalità di Peppe Barra. Uno spettacolo gradevole, è l’inizio e questo è già tanto

Maria Serritiello

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sabato 5 giugno 2021

Il giornale on line sconfigge il quotidiano cartaceo e le edicole si chiudono di Maria Serritiello


 

Dal 1° maggio di quest’anno, l’edicola di via Panoramica, quella che, da quasi 50, faceva bella mostra di sé nei giardinetti, sotto la Clinica del Sole, ha chiuso definitivamente la saracinesca. L’ennesima in città, cadute ad una ad una sotto la mannaia dell’informazione on line, nel migliore dei casi, ma anche per il completo disinteresse della lettura dei giornali cartacei. Quasi nessun ragazzo, per ricambio generazionale, lo si vede con il quotidiano sotto il braccio come facevano i loro padri ed i loro nonni, un i- phone, racchiuso nel palmo della mano, non solo è più comodo, ma in meno di un secondo si collega con il mondo intero. La velocità della nostra era, non è da demonizzare, è un’altra cosa, a cui dobbiamo, noi di un’età matura, abituarci. Così, don Matteo, l’edicolante di Via Panoramica, questo il suo nome, il cognome non l’ho mai saputo, dopo 30 anni e passa, ha deciso di chiudere bottega, rendendo sguarniti i giardinetti del quartiere che con lui prendevano vita dalle 6,00 del mattino, per continuare l’intera giornata. L’edicola non conosceva chiusura, né pausa pranzo, un continuum che assicurava il servizio oltre al giornale mattutino, già esaurito alle 11,00 del mattino, ma che restava là per i piccoli desideri esposti in vetrina, oggetti per adulti e piccini che l’editoria sapientemente produceva. La mia generazione, o forse io, avevamo curiosità dell’oggettistica del passato che l’edicola presentava a buon prezzo, per cui ho collezionato di tutto: mensili per conoscere l’Italia e l’Europa, copie di gioielli delle dive, scatoline in ceramica su modelli regali, penne, pennini, inchiostri, timbri, calamai e raccolte ad uscite settimanali. E’ stata, l’edicola di Don Matteo, per anni la mia giocattoleria da adulta, infatti, mi conservava o mi proponeva ciò che sapeva poteva piacermi e mi piaceva tutto.

Don Matteo, è un signore che nel tempo ha conservato la stessa fisionomia, ma non la stazza, infatti è molto dimagrito da come l’ho conosciuto io, ha occhi e pelle scura, privo di capelli e fumatore incallito. Per un periodo ha cercato anche di smettere, sostituendo l’amata sigaretta con una chewing gum, ma è durato poco, del resto per 35 anni, la bionda prima ed il computer, in tempi più recenti sono stati gli unici svaghi di ore interminabili, passate nel piccolo chiosco. Prima di questa vita sedentaria, per 30 anni ha svolto la mansione di auto trasportatore, in giro per tutta l’Europa, sempre fuori casa ed alla guida di mezzi pesanti.  Maritato da 48 anni con la Signora Nicoletta, dolce e sorridente, ha due figlie, entrambe sposate, ma vivono lontane dai genitori. Per anni Don Matteo chiuso nel chiosco, d’estate e d’inverno, ha avuto la compagnia di due cagnolini Puffa (14 anni) e Ciro (18 anni), a cui si è dedicato con tutto l’amore di cui è capace. D’impatto può sembrare un uomo ruvido, scostante, niente di più sbagliato, lui è un tipo pratico, con metodi spicci, abituato, com’è stato, a risolvere ogni cosa che la vita gli ha presentato. Ed allora ha di che perdere il parchetto di Via Belvedere, ora che il “Il faro di Salerno” così mi viene di soprannominarlo, il guardiano discreto, il vigile occhio alle piante che non seccassero, alle luci che fossero sempre accese, alla pulizia del luogo, tanto che una saggina fa bella mostra di sé, ancor oggi, appoggiata alla porticina, varcata per tanti anni e spalancata sulle notizie del mondo, ha dato priorità alla vita libera e senza orari.

Questo luogo, oggi, così cambiato, con il passar del tempo, 70 anni circa, era tutt’altra cosa prima. Ricordo una campagna estesa e sconnessa che seguiva i due lati della strada che da Via Nizza si avviava verso il “mazzo della signora” una simpatica volgarizzazione del sostantivo “maso”, terra, possedimento, ma anche per l’associazione visiva della forma tonda della collina Bellaria, così simile al fondo schiena pronunciato delle donne.

Io sono nata, più giù, in Via Fratelli del Mastro, nel palazzo De Maio di fronte al palazzo Serritiello, di mio nonno Francesco ed i suoi fratelli, una specie di chiusa conchiglia che alloggiava tutti i parenti, fratelli e sorelle prima, figli dopo ed a mano a mano i nipoti. Facendosi il palazzo un po’ stretto per tutti, mio padre, primo sposo, si allontanò dalla chioccia madre, giusto quel tanto per raggiungere il portone successivo. Di Via Nizza conosco tutte le trasformazioni e gli interventi migliorativi del luogo, ma quanta nostalgia ho dello spazio dove Don Matteo ha trascorso un pezzo della sua vita. Al posto del chiosco, infatti e tutta la parte intorno c’era la terra di Alfonsina. Mia madre, nei pomeriggi della mia infanzia, mi chiedeva dove volessi andare a passeggiare ed a consumare la merendina, in montagna o a lungomare, invariabilmente dicevo che volevo andare da Alfonsina perché aveva le papere, i pulcini ed i fiori e mentre mia madre Bianca e sua madre, nonna Carmela parlavano di “cose da grandi” io, felice giocavo con gli animaletti di Alfonsina.

Forse è per questo mio passato, a pensarci bene, che ho provato dispiacere alla chiusura dell’edicola. Da adulta, ancora là, trovavo non gli animaletti ma strumenti di lettura e tanti oggetti da collezionare.

 Don Matteo è andato in pensione con tutta la sua gagliardia e il desiderio di fare ancora qualcosa, in fondo chiuso nel chiosco, non ha fatto altro che cambiare conduzione, lo spazio è lo stesso, la cabina dell’autotreno ha più o meno la stessa superficie, la fatica certamente è stata differente, per nulla impegnativa, come quando doveva stare attento alle strade, al tempo, al colpo di sonno, al traffico, sia dell’autostrada che delle grandi città, abituato per anni ad uno spazio minimo per lavorare, ora lo si vede uscire libero e sereno per sostare al sole, sulla panchina, accanto al suo chiosco dalle saracinesche abbassate, con l’immancabile sigaretta, al lato della bocca e con chissà quali pensieri.

Maria Serritiello