In una notte magica a Londra e per la seconda volta siamo
CAMPIONI D'EUROPA
GRAZIE RAGAZZI
In una notte magica a Londra e per la seconda volta siamo
CAMPIONI D'EUROPA
GRAZIE RAGAZZI
Fonte:www.lapilli.eu Foto dal Web
di Maria Serritiello
“Il personaggio che più mi sta a cuore è Sik Sik l’artefice magico, tra i tanti che ho scritto è quello che più mi appartiene. E’ un atto unico diviso in due tempi e fu scritto in treno, durante il percorso Roma- Napoli e doveva far parte di uno spettacolo che stavano allestendo al Teatro Nuovo.”
Sono le parole che lo
stesso Eduardo afferma rivolgendosi al personaggio Sik.Sik, che a Napoli, oltre
a dare il nome al pezzo, sta ad indicare la magrezza.
A cimentarsi con il pezzo
di Eduardo, al 12esimo Festival Nazionale “Teatro XS città di Salerno, è Enzo D’Arco, della Cantina delle Arti di
Sala Consilina, una vecchia conoscenza per aver partecipato alla gara del
Festival con uno spettacolo di cui mi sfugge il nome e l’anno (N.d.R.), tempo
addietro e per la collaborazione poi
nata e cioè il vincitore della rassegna “Monodramma”
tenuta da Enzo D’Arco, entra a far parte di diritto alla rassegna all’XS.
Enzo
si è voluto cimentare ai Barbuti di
Salerno, fuori concorso, con un pezzo che appartiene agli scritti giovanili di Eduardo (1929) ed
è contenuto nella raccolta della “Cantata
dei giorni pari”. L’atto unico ebbe molto successo fu rappresentato
innumerevoli volte persino in Francia e in Portogallo. Inspiegabile per me
(N:D:R) tanto successo, forse perché la gente era meno smaliziata, desiderosa
di trame semplici e gran voglia di divertirsi. Si fa fatica a riconoscere il
drammaturgo, il suo spessore, la sua umanità e la sua grande capacità di
leggere i sentimenti umani e delineare personaggi indimenticabili. Sì, è vero
l’illusionista dà spettacolo con la fatica, con l’arte di arrangiarsi non un
imbroglio tot court, ma solo uno stratagemma per portare avanti la famiglia,
che presto avrà un Siksicchino. Il
testo si divide in due tempi, il primo per istruire il palo che dovrà
collaborare per la buona riuscita dello spettacolo ed il secondo nello
spettacolo vero e proprio. 4 i personaggi nella versione eduardiana, tre in
quella allestita e diretta da Enzo
D’Arco.
E diciamo di Enzo che ha
avuto il pregio di non discostarsi dalla versione di Eduardo, ma d’inserire qua
e là qualche novità senza uscire dai canoni. La bravura dell’attore è
consistito nel non voler imitare, cosa difficile ed inutile, Eduardo, per cui,
la sua, è stata una recitazione fluida, personale, a volte macchiettistica, ma
il personaggio lo richiedeva. La faccia allucinata e lo scuotimento della testa
nel mentre esegue i trucchi gli hanno dato una luce esaltata tanto da
aspettarsi applausi a profusione e per dire “E se ne care o tiatre” cioè il massimo del successo. L’elemento
che Enzo ha inserito, per dire che il tempo è trascorso dalla data della
nascita dell’atto unico (1929) sono i due volti giovanili: Antonella Giordano e Luigi D’Arco, atletico lui saltellante lei,
mimica espressiva dei due d perfetti burattini, avidi solo di soldi, che
ascoltano l’illusionista, che di soldi non ne vorrebbe dare, ma non capiscono
le parole. E’ pur vero che Sick Sick usa un linguaggio che storpia le parole:
pisellino, sta per pisolino, chimonico, sta per chimono, dentice sta per
identico e così via, ma sono trucchi per far sorridere il pubblico e per
movimentare la spiegazione dei che altrimenti sarebbe stato un arida elencazione.
Andiamo via dai Barbuti,
leggeri, con il sorriso sulle labbra, il sudore degli attori condiviso,
riflettendo che la vita è un’illusione ed il teatro la rappresenta senza farci
immalinconire. Grazie Eduardo, questo è
il tuo Sick Sik, e grazie Enzo D’Arco per averlo fatto rivivere.
Maria
Serritiello
Testo: Eduardo De Filippo
Regia: Enzo D’Arco
Aiuto Regia: Antonella Giordano
Audio/luci: Luigi D’Arco
Commento Sonoro: Antonello Pallotti
Con
Enzo D’Arco, Antonella Giordano, Luigi D’Arco
Fonte: Virgilio notizie
Papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per sottoporsi a un intervento chirurgico. Già dalla mattinata c’era fermento nel nosocomio per accogliere il Pontefice. L’operazione verrà effettuata nella giornata di oggi. Il Papa, che ha 84 anni, è arrivato al Policlinico romano poco dopo le 15.
La Santa Sede ha parlato di un “intervento programmato” da molto tempo per “una stenosi diverticolare sintomatica del colon”, ovvero una occlusione dovuta a diverticoli infiammati che vanno rimossi.
Si tratta di un’operazione che si può svolgere in laparoscopia e quindi non è molto invasiva. Al termine, ha fatto sapere il Vaticano, verrà diramato un bollettino medico.
L’intervento sarà effettuato dal professor Sergio Alfieri, il direttore dell’Unità operativa di chirurgia digestiva.
All’arrivo del Papa al Gemelli la sua auto, come al solito, non aveva evidenti segni di riconoscimento. L’autista lo ha lasciato davanti all’ingresso della struttura ospedaliera e con lui c’era un seguito molto ridotto: solo l’autista e uno stretto collaboratore di Francesco.
Nessuno dei normali degenti del Gemelli, in quel momento, si è accorto di qualcosa di particolare, come riportano testimoni al Corriere della Sera. Erano a conoscenza dell’intervento solo i medici direttamente coinvolti e nessun altro.
Francesco è stato ricoverato proprio nelle stanze al decimo piano che ospitarono Papa Wojtyla.
Questa mattina il Papa si è rivolto ai fedeli nel consueto Angelus domenicale e ha annunciato che “dal 12 al 15 settembre prossimo, a Dio piacendo, mi recherò in Slovacchia per fare una visita pastorale”.
L’intervento è stato programmato all’inizio delle vacanze del Papa, che solitamente Francesco trascorre in Vaticano, nella Casa Santa Marta, senza soggiorni in montagna né altrove.
Come di consueto, per tutto il mese le udienze generali del mercoledì sono state sospese e riprenderanno il 4 agosto.
Sono trascorsi sedici
mesi senza poter portare a termine la 12 esima rassegna teatrale del Festival
nazionale “Teatro XS -Salerno”, indetta dalla Compagnia dell’Eclissi. La
sospensione al terzo spettacolo, in marzo, ci aveva colti di sorpresa e paura,
il covid 19 stava appestando mondo intero, perciò l’interruzione forzata. Ed
eccoci qua, il primo luglio si riprende, puntuali gli spettatori del Teatro
Genovesi sono dinanzi al sipario rosso che copre lo spazio prima di ogni
spettacolo. Ci salutiamo, abbiamo tutti la mascherina, manteniamo il
distanziamento, attenti a non fare assembramento in quei 10 minuti di attesa
per affollare il teatro. Mi prende la nostalgia (n.d.r.) lo dico a Macello Andria, aggiungendo “sembriamo dei figuranti”, il Festival
ha sempre avuto il suo luogo preciso, il suo spazio, la sua atmosfera che
all’aperto si disperde, tra le mille voci del rione ed il latrare dei cani. Il
Teatro dei Barbuti per me è l’estate piena, agosto, con spettacoli vivaci,
partecipati, è cabaret, è festa, è l’allegria di chi sa che essere in città in
agosto, può godere il fresco, lo sfollamento della città e il buonumore, il
continuum delle vacanze, con le comodità della propria casa.
Però grazie allo slargo
voluto- teatro da Peppe Natella e
continuato con grande perizia da sua figlia
Chiara, noi siamo a concludere l’amato festival.
La scena a
vista e scarna una bambola di pezza altezza uomo, due cassette di plastica ed
un alto involucro di ferro che all’occorrenza, chiudendosi, diventa una gabbia
intorno al monologhista Roberto Capasso.
Il pezzo, presentato, ha un titolo che incuriosisce : Pacchiello, venditore ambulante di taralli,caldi caldi e di guai neri
neri, il testo è di Pasquale Ferro.
Pacchiello, come
spiegherà lui stesso è un untore, uno che ama i soldi e poco, anzi per niente,
la fatica, ha una brutta menomazione fisica, la gobba su di un spalla, che sarà
la sua infelicità e di chi s’imbatterà in lui. Il lavoro lui ce l’avrebbe, il
padre ha un avviato forno ed il pane, mò ci vuole, in casa non manca, ma lui ha
la smania di fare soldi, come se i denari potessero ricompensarlo della sua
bruttezza. Racconta che quando era piccolo e andava per consegne, si nascondeva
e ascoltava le parole delle signore tra cui il debito, l’usura, l’interesse.
Considerò da adulto che questo sarebbe stato il suo mestiere, dare i soldi
guadagnandoci, per poter vedere strisciare ai suoi piedi tutti quelli che non
riuscivano ad estinguere i debiti Cosi fu per Samuele, il suo amico d’infanzia,
bello quanto il sole, che, caduto nelle sue spire, dovette subire l’onta, di
soddisfare le sue voglie, spinto in un portone, mentre sfilavano le colonne
festose dei gigli di Nola. Non andò meglio a Natascia né ad Assunta velo di
sposa. Si marita, pure e fa anche una figlia per non farsi dire dal rione che
non ha capacità sessuali. Insomma un tipo losco, cattivo ed ubriacone, senza un
briciolo di umanità. Vive con la madre l’unica in grado di essergli fedele ed
accogliente e lui, quando la povera vecchierella muore non è in casa accanto a
lei.
Roberto
Capasso ha reso la figura di Pacchiello con grande
veridicità, l’espressione del viso mutevole, ben sottolinea i passaggi, a volte
anche disgustosi, come l’assalto dei pidocchi nei capelli e nel corpo. Un
monologo di sapore antico, come le nenie , cantate sottovoce dallo stesso
Pacchiello, ad esempio:
“Storta
Picoscia tiene e cosce, mosce mosce e sotto o suttanine tiene o scoglio e
margellina”
Il testo, ben arrangiato,
con qualche spunto di pena e malinconia per Pacchiello, risente de Lo cunto de li cunti overo lo
trattenemiento de peccerille, la raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana
scritte da Giambattista Basile ed edite
fra il 1634 e il 1636 a Napoli. Lo stesso Roberto Capasso, bravo nel
ricordare il monologo lungo ed impegnativo, anche dal punto di vista fisico, riecheggiano
le tonalità di Peppe Barra. Uno
spettacolo gradevole, è l’inizio e questo è già tanto
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
Dal
1° maggio di quest’anno, l’edicola
di via Panoramica, quella che, da quasi 50, faceva bella mostra di sé nei
giardinetti, sotto la Clinica del Sole,
ha chiuso definitivamente la saracinesca. L’ennesima in città, cadute ad una ad
una sotto la mannaia dell’informazione on line, nel migliore dei casi, ma anche
per il completo disinteresse della lettura dei giornali cartacei. Quasi nessun
ragazzo, per ricambio generazionale, lo si vede con il quotidiano sotto il
braccio come facevano i loro padri ed i loro nonni, un i- phone, racchiuso nel
palmo della mano, non solo è più comodo, ma in meno di un secondo si collega
con il mondo intero. La velocità della nostra era, non è da demonizzare, è
un’altra cosa, a cui dobbiamo, noi di un’età matura, abituarci. Così, don Matteo, l’edicolante di Via Panoramica,
questo il suo nome, il cognome non l’ho mai saputo, dopo 30 anni e passa, ha deciso
di chiudere bottega, rendendo sguarniti i giardinetti del quartiere che con lui
prendevano vita dalle 6,00 del mattino, per continuare l’intera giornata.
L’edicola non conosceva chiusura, né pausa pranzo, un continuum che assicurava
il servizio oltre al giornale mattutino, già esaurito alle 11,00 del mattino,
ma che restava là per i piccoli desideri esposti in vetrina, oggetti per adulti
e piccini che l’editoria sapientemente produceva. La mia generazione, o forse
io, avevamo curiosità dell’oggettistica del passato che l’edicola presentava a
buon prezzo, per cui ho collezionato di tutto: mensili per conoscere l’Italia e
l’Europa, copie di gioielli delle dive, scatoline in ceramica su modelli
regali, penne, pennini, inchiostri, timbri, calamai e raccolte ad uscite
settimanali. E’ stata, l’edicola di Don Matteo, per anni la mia giocattoleria da adulta, infatti, mi
conservava o mi proponeva ciò che sapeva poteva piacermi e mi piaceva tutto.
Don
Matteo, è un signore che nel tempo ha conservato la stessa
fisionomia, ma non la stazza, infatti è molto dimagrito da come l’ho conosciuto
io, ha occhi e pelle scura, privo di capelli e fumatore incallito. Per un
periodo ha cercato anche di smettere, sostituendo l’amata sigaretta con una
chewing gum, ma è durato poco, del resto per 35 anni, la bionda prima ed il
computer, in tempi più recenti sono stati gli unici svaghi di ore
interminabili, passate nel piccolo chiosco. Prima di questa vita sedentaria, per 30 anni ha svolto la mansione di
auto trasportatore, in giro per tutta l’Europa, sempre fuori casa ed alla guida
di mezzi pesanti. Maritato da 48 anni
con la Signora Nicoletta, dolce e sorridente, ha due figlie, entrambe sposate,
ma vivono lontane dai genitori. Per anni Don Matteo chiuso nel chiosco,
d’estate e d’inverno, ha avuto la compagnia di due cagnolini Puffa (14 anni) e Ciro (18 anni), a cui
si è dedicato con tutto l’amore di cui è capace. D’impatto può sembrare un uomo
ruvido, scostante, niente di più sbagliato, lui è un tipo pratico, con metodi
spicci, abituato, com’è stato, a risolvere ogni cosa che la vita gli ha
presentato. Ed allora ha di che perdere il parchetto
di Via Belvedere, ora che il “Il faro
di Salerno” così mi viene di soprannominarlo, il guardiano discreto, il
vigile occhio alle piante che non seccassero, alle luci che fossero sempre
accese, alla pulizia del luogo, tanto che una saggina fa bella mostra di sé, ancor
oggi, appoggiata alla porticina, varcata per tanti anni e spalancata sulle
notizie del mondo, ha dato priorità alla vita libera e senza orari.
Questo luogo, oggi, così
cambiato, con il passar del tempo, 70 anni circa, era tutt’altra cosa prima.
Ricordo una campagna estesa e sconnessa che seguiva i due lati della strada che
da Via Nizza si avviava verso il “mazzo
della signora” una simpatica volgarizzazione del sostantivo “maso”, terra,
possedimento, ma anche per l’associazione visiva della forma tonda della collina Bellaria, così simile al fondo
schiena pronunciato delle donne.
Io sono nata, più giù, in Via Fratelli del Mastro, nel palazzo De
Maio di fronte al palazzo Serritiello, di mio nonno Francesco ed i suoi
fratelli, una specie di chiusa conchiglia che alloggiava tutti i parenti,
fratelli e sorelle prima, figli dopo ed a mano a mano i nipoti. Facendosi il
palazzo un po’ stretto per tutti, mio padre, primo sposo, si allontanò dalla
chioccia madre, giusto quel tanto per raggiungere il portone successivo. Di Via Nizza conosco tutte le
trasformazioni e gli interventi migliorativi del luogo, ma quanta nostalgia ho
dello spazio dove Don Matteo ha trascorso un pezzo della sua vita. Al posto del
chiosco, infatti e tutta la parte intorno c’era la terra di Alfonsina. Mia madre, nei pomeriggi della mia infanzia, mi
chiedeva dove volessi andare a passeggiare ed a consumare la merendina, in
montagna o a lungomare, invariabilmente dicevo che volevo andare da Alfonsina
perché aveva le papere, i pulcini ed i fiori e mentre mia madre Bianca e sua madre, nonna
Carmela parlavano di “cose da grandi”
io, felice giocavo con gli animaletti di Alfonsina.
Forse è per questo mio
passato, a pensarci bene, che ho provato dispiacere alla chiusura dell’edicola.
Da adulta, ancora là, trovavo non gli animaletti ma strumenti di lettura e
tanti oggetti da collezionare.
Don
Matteo è andato in pensione con tutta la sua gagliardia e il desiderio di
fare ancora qualcosa, in fondo chiuso nel chiosco, non ha fatto altro che cambiare
conduzione, lo spazio è lo stesso, la cabina dell’autotreno ha più o meno la
stessa superficie, la fatica certamente è stata differente, per nulla
impegnativa, come quando doveva stare attento alle strade, al tempo, al colpo
di sonno, al traffico, sia dell’autostrada che delle grandi città, abituato per
anni ad uno spazio minimo per lavorare, ora lo si vede uscire libero e sereno per
sostare al sole, sulla panchina, accanto al suo chiosco dalle saracinesche
abbassate, con l’immancabile sigaretta, al lato della bocca e con chissà quali
pensieri.
Maria Serritiello
Di Maria Serritiello
Pochi sanno e forse solo le alunne del corso H, dell'Istituto Magistrale "Regina Margherita" di Salerno, che Franco Battiato ha vissuto per un certo periodo nella nostra città.
La ragione è da ricercare
in sua zia Gandolfa, insegnante di matematica, vincitrice di concorso e spedita
presso il pregevole istituto per signorine della città.
Già, il nome, Gandolfa,
ma come si può pensare di dare ad una bambina un simile appellativo
battesimale, ma lei lo portava in giro con naturalezza. Silenziosa, discreta, nubile,
di età indefinita, forse sulla cinquantina, se ne aveva di meno se le portava
malissimo. Capelli ingrigiti, tirati all’indietro e trattenuti da forcine di
osso, occhi scoloriti, viso senza trucco ed un vistoso pelo riccio sulla
guancia destra. In classe, sul vestito, indossava un grembiule nero che le dava
un’aria estremamente severa, ma è forse è quello che voleva. L’inflessione
dialettale era molto forte, tanto che il mio cognome suonava così: Srrtiello ed alla mia amica Pompele intimava <getta la mastica> che altro non era, la gomma masticante. Con lei era venuto a Salerno un suo nipote, della nostra
stessa età, credo un po’ per fare compagnia alla zia signorina, fuori dalla
Sicilia ed un po’ per studiare con la sua mentore. Ricordo di averlo visto
varie volte in transito sul ponte di Via Nizza, per girare verso Via Balzico, dove alloggiava. Alto, smilzo, con lo stesso viso di sua zia, senza nessuna
caratteristica particolare, se non il naso sporgente che gli occupava tutta la
faccia. Aveva un passo veloce, sfuggente, con in spalla l’immancabile chitarra, i capelli
arruffati e gli occhi che già guardavano lontano.
Non credo che sua zia fosse contenta della sua attività musicale, siamo agli inizi degli anni ’60 e lo studio era ritenuto l’unica attività giusta per un giovane, specialmente se in casa ci fosse una zia laureata in matematica e forse la sua venuta a Salerno era un tentativo per distrarlo da quella sua passione. Intanto, Franco, già pensava a studi particolari a contaminazioni musicali, era già oltre alla nostra generazione femminile, che stupidamente pensava alla bellezza fisica dei vari Cary Grant e Rock Hudson. Non era un adone ma il suo cervello era pieno di visioni speciali che ha elargito in ogni sua composizione.
Dal web
“Era
nato a Ionia il 23 marzo 1945, in provincia di Catania. Ionia, ora Giarre
Riposto, è stato un comune italiano esistente dal 1939 al 1945. Dopo aver
conseguito la maturità al Liceo Scientifico "Archimede" di Acireale,
e a seguito della morte del padre (camionista e scaricatore di porto a New
York), nel 1964 si trasferisce dapprima a Roma per poi stabilirsi a Milano. Dopo
aver interrotto gli studi universitari per seguire la sua passione musicale,
pubblica due singoli per la rivista Nuova Enigmistica Tascabile (NET) verso la
metà degli anni sessanta[11], che proponeva come allegati, dischi di canzoni
celebri interpretate da cantanti poco conosciuti. In queste due occasioni
l'artista appare in copertina col nome di battesimo Francesco Battiato. Il
primo singolo contiene un brano presentato al Festival di Sanremo 1965 da Beppe
Cardile e Anita Harris, L'amore è partito. Il secondo riprende una canzone portata
al successo da Alain Barrière: ...e più ti amo, tradotta in italiano da Gino
Paoli Il brano verrà riproposto, in una nuova versione, nell'album Fleurs 2 del
2008.”
La sua creazione musicale
ha seguito vari periodi:
(1965-1969) La canzone di
protesta e periodo romantico
(1971 - 1975)Musica
sperimentale e avanguardia colta
(1978 - 1979) Il ritorno
alla musica pop
(1978
- 1979) Il ritorno alla musica pop
(1981
- 1982) Gli anni del grande successo
(2012-2017) Ultimi
progetti
Pittura, Cinema, Politica
Stili musicali
La musica di Battiato ha
spesso guardato in direzione della canzone d'autore e del pop: due generi che ha
rivisitato in maniera colta e raffinata contaminandoli con stili musicali
sempre diversi fra cui la musica orchestrale, il rock progressivo la musica
etnica e quella elettronica] I suoi testi, inusuali e di carattere
citazionista,[ sono spesso dolenti e pieni di riferimenti polemici alla società
dei consumi e alla classe politica italiana.[ Altri temi cari all'artista sono
la filosofia l'esoterismo e il misticismo
Vita privata
Legatissimo alla madre
Grazia, scomparsa nel 1994, Battiato non ha mai amato la vita mondana,
preferendo il suo eremo siciliano di Milo alle pendici dell'Etna, dove tra l'altro
ebbe per molti anni, come vicino di casa, il collega Lucio Dalla. Suo fratello
Michele è stato consigliere comunale repubblicano di Milano. Battiato era un
vegetariano convinto.
(2019 -2021) Ritiro dalle scene
Muore il 18 maggio 2021
P.S Voglio raccontare come i miei alunni hanno apprezzato la sua composizione " La Cura"
Non ricordo l'anno scolastico, ma con gli allievi di Fisciano (Sa) facemmo uno studio sull'educazione sentimentale. Una ricerca che c'impegnò non poco ma che ci procurò molte soddisfazioni. Alla fine proposi loro 10 canzoni d'amore da scegliere come le più belle, ebbene "La Cura" che non conoscevano, allora impazzavano Giovanotti prima maniera, Madonna e tanta altra musica disco dance, fu considerata la numero 1° e fino la fine dell'anno nell'intervallo ascoltavano con occhi sognanti il vate dell'amore.
Alla sua musica sono legati tanti miei momenti giovanili che hanno una pregevole colonna sonora di sottofondo. Ho sempre ascoltato la musica Rock, fracassona che mi faceva danzare da sola, per Battiato, eh sì che la musica era importante, ma le parole mi trasportavano in un mondo superiore, sì da farmi sentire rammaricata, oggi, di non averlo mai fermato per fare un tratto di strada insieme.
Addio, ragazzo smilzo con la chitarra sulle spalle che mi vieni di faccia sul ponte di Via Nizza, mentre mi reco a scuola e penso: è lui il nipote della professoressa di matematica, chissà che ci fa a Salerno, con una zia severa e chiusa nel suo ruolo. Adesso lo so e grazie per averci lasciato un patrimonio così grande da tramandare alle nuove generazioni
Maria Serritiello