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lunedì 12 luglio 2021

Sik Sik l’artefice Magico al Teatro dei Barbuti di Salerno con Enzo D’Arco e la Compagnia La Cantina delle Arti di Sala Consilina

 








Fonte:www.lapilli.eu                             Foto dal Web

di Maria Serritiello

“Il personaggio che più mi sta a cuore è Sik Sik l’artefice magico, tra i tanti che ho scritto è quello che più mi appartiene. E’ un atto unico diviso in due tempi e fu scritto in treno, durante il percorso Roma- Napoli e doveva far parte di uno spettacolo che stavano allestendo al Teatro Nuovo.”

Sono le parole che lo stesso Eduardo afferma rivolgendosi al personaggio Sik.Sik, che a Napoli, oltre a dare il nome al pezzo, sta ad indicare la magrezza.

A cimentarsi con il pezzo di Eduardo, al 12esimo Festival Nazionale “Teatro XS città di Salerno, è Enzo D’Arco, della Cantina delle Arti di Sala Consilina, una vecchia conoscenza per aver partecipato alla gara del Festival con uno spettacolo di cui mi sfugge il nome e l’anno (N.d.R.), tempo addietro e per la collaborazione poi nata e cioè il vincitore della rassegna “Monodramma” tenuta da Enzo D’Arco, entra a far parte di diritto alla rassegna all’XS.

Enzo si è voluto cimentare ai Barbuti di Salerno, fuori concorso, con un pezzo che appartiene agli scritti giovanili di Eduardo (1929) ed è contenuto nella raccolta della “Cantata dei giorni pari”. L’atto unico ebbe molto successo fu rappresentato innumerevoli volte persino in Francia e in Portogallo. Inspiegabile per me (N:D:R) tanto successo, forse perché la gente era meno smaliziata, desiderosa di trame semplici e gran voglia di divertirsi. Si fa fatica a riconoscere il drammaturgo, il suo spessore, la sua umanità e la sua grande capacità di leggere i sentimenti umani e delineare personaggi indimenticabili. Sì, è vero l’illusionista dà spettacolo con la fatica, con l’arte di arrangiarsi non un imbroglio tot court, ma solo uno stratagemma per portare avanti la famiglia, che presto avrà un Siksicchino. Il testo si divide in due tempi, il primo per istruire il palo che dovrà collaborare per la buona riuscita dello spettacolo ed il secondo nello spettacolo vero e proprio. 4 i personaggi nella versione eduardiana, tre in quella allestita e diretta da Enzo D’Arco.

E diciamo di Enzo che ha avuto il pregio di non discostarsi dalla versione di Eduardo, ma d’inserire qua e là qualche novità senza uscire dai canoni. La bravura dell’attore è consistito nel non voler imitare, cosa difficile ed inutile, Eduardo, per cui, la sua, è stata una recitazione fluida, personale, a volte macchiettistica, ma il personaggio lo richiedeva. La faccia allucinata e lo scuotimento della testa nel mentre esegue i trucchi gli hanno dato una luce esaltata tanto da aspettarsi applausi a profusione e per dire “E se ne care o tiatre” cioè il massimo del successo. L’elemento che Enzo ha inserito, per dire che il tempo è trascorso dalla data della nascita dell’atto unico (1929) sono i due volti giovanili: Antonella Giordano e Luigi D’Arco, atletico lui saltellante lei, mimica espressiva dei due d perfetti burattini, avidi solo di soldi, che ascoltano l’illusionista, che di soldi non ne vorrebbe dare, ma non capiscono le parole. E’ pur vero che Sick Sick usa un linguaggio che storpia le parole: pisellino, sta per pisolino, chimonico, sta per chimono, dentice sta per identico e così via, ma sono trucchi per far sorridere il pubblico e per movimentare la spiegazione dei che altrimenti sarebbe stato un arida elencazione.

Andiamo via dai Barbuti, leggeri, con il sorriso sulle labbra, il sudore degli attori condiviso, riflettendo che la vita è un’illusione ed il teatro la rappresenta senza farci immalinconire. Grazie Eduardo, questo è il tuo Sick Sik, e grazie Enzo D’Arco per averlo fatto rivivere.

Maria Serritiello

 

Testo: Eduardo De Filippo

Regia: Enzo D’Arco

Aiuto Regia: Antonella Giordano

Audio/luci: Luigi D’Arco

Commento Sonoro: Antonello Pallotti

Con Enzo D’Arco, Antonella Giordano, Luigi D’Arco




 

domenica 4 luglio 2021

Papa Francesco ricoverato: subirà un intervento. La situazione Il Pontefice si dovrà sottoporre a un intervento chirurgico programmato: cos'ha e dove sarà operato

 



Fonte: Virgilio notizie


Papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per sottoporsi a un intervento chirurgico. Già dalla mattinata c’era fermento nel nosocomio per accogliere il Pontefice. L’operazione verrà effettuata nella giornata di oggi. Il Papa, che ha 84 anni, è arrivato al Policlinico romano poco dopo le 15.

La Santa Sede ha parlato di un “intervento programmato” da molto tempo per “una stenosi diverticolare sintomatica del colon”, ovvero una occlusione dovuta a diverticoli infiammati che vanno rimossi.

Si tratta di un’operazione che si può svolgere in laparoscopia e quindi non è molto invasiva. Al termine, ha fatto sapere il Vaticano, verrà diramato un bollettino medico.

L’intervento sarà effettuato dal professor Sergio Alfieri, il direttore dell’Unità operativa di chirurgia digestiva.

L’arrivo del Papa al Gemelli

All’arrivo del Papa al Gemelli la sua auto, come al solito, non aveva evidenti segni di riconoscimento. L’autista lo ha lasciato davanti all’ingresso della struttura ospedaliera e con lui c’era un seguito molto ridotto: solo l’autista e uno stretto collaboratore di Francesco.

Nessuno dei normali degenti del Gemelli, in quel momento, si è accorto di qualcosa di particolare, come riportano testimoni al Corriere della Sera. Erano a conoscenza dell’intervento solo i medici direttamente coinvolti e nessun altro.

Francesco è stato ricoverato proprio nelle stanze al decimo piano che ospitarono Papa Wojtyla.

L’ultimo Angelus del Papa prima dell’operazione

Questa mattina il Papa si è rivolto ai fedeli nel consueto Angelus domenicale e ha annunciato che “dal 12 al 15 settembre prossimo, a Dio piacendo, mi recherò in Slovacchia per fare una visita pastorale”.

L’intervento è stato programmato all’inizio delle vacanze del Papa, che solitamente Francesco trascorre in Vaticano, nella Casa Santa Marta, senza soggiorni in montagna né altrove.

Come di consueto, per tutto il mese le udienze generali del mercoledì sono state sospese e riprenderanno il 4 agosto.



sabato 3 luglio 2021

Il Teatro dei Barbuti ospita il 12 esimo Festival Nazionale “Teatro XS” Salerno

 



foto dal web
fonte www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Sono trascorsi sedici mesi senza poter portare a termine la 12 esima rassegna teatrale del Festival nazionale “Teatro XS -Salerno”, indetta dalla Compagnia dell’Eclissi. La sospensione al terzo spettacolo, in marzo, ci aveva colti di sorpresa e paura, il covid 19 stava appestando mondo intero, perciò l’interruzione forzata. Ed eccoci qua, il primo luglio si riprende, puntuali gli spettatori del Teatro Genovesi sono dinanzi al sipario rosso che copre lo spazio prima di ogni spettacolo. Ci salutiamo, abbiamo tutti la mascherina, manteniamo il distanziamento, attenti a non fare assembramento in quei 10 minuti di attesa per affollare il teatro. Mi prende la nostalgia (n.d.r.) lo dico a Macello Andria, aggiungendo “sembriamo dei figuranti”, il Festival ha sempre avuto il suo luogo preciso, il suo spazio, la sua atmosfera che all’aperto si disperde, tra le mille voci del rione ed il latrare dei cani. Il Teatro dei Barbuti per me è l’estate piena, agosto, con spettacoli vivaci, partecipati, è cabaret, è festa, è l’allegria di chi sa che essere in città in agosto, può godere il fresco, lo sfollamento della città e il buonumore, il continuum delle vacanze, con le comodità della propria casa.

Però grazie allo slargo voluto- teatro da Peppe Natella e continuato con grande perizia da sua figlia Chiara, noi siamo a concludere l’amato festival.

 La scena a vista e scarna una bambola di pezza altezza uomo, due cassette di plastica ed un alto involucro di ferro che all’occorrenza, chiudendosi, diventa una gabbia intorno al monologhista Roberto Capasso. Il pezzo, presentato, ha un titolo che incuriosisce : Pacchiello, venditore ambulante di taralli,caldi caldi e di guai neri neri, il testo è di Pasquale Ferro.

Pacchiello, come spiegherà lui stesso è un untore, uno che ama i soldi e poco, anzi per niente, la fatica, ha una brutta menomazione fisica, la gobba su di un spalla, che sarà la sua infelicità e di chi s’imbatterà in lui. Il lavoro lui ce l’avrebbe, il padre ha un avviato forno ed il pane, mò ci vuole, in casa non manca, ma lui ha la smania di fare soldi, come se i denari potessero ricompensarlo della sua bruttezza. Racconta che quando era piccolo e andava per consegne, si nascondeva e ascoltava le parole delle signore tra cui il debito, l’usura, l’interesse. Considerò da adulto che questo sarebbe stato il suo mestiere, dare i soldi guadagnandoci, per poter vedere strisciare ai suoi piedi tutti quelli che non riuscivano ad estinguere i debiti Cosi fu per Samuele, il suo amico d’infanzia, bello quanto il sole, che, caduto nelle sue spire, dovette subire l’onta, di soddisfare le sue voglie, spinto in un portone, mentre sfilavano le colonne festose dei gigli di Nola. Non andò meglio a Natascia né ad Assunta velo di sposa. Si marita, pure e fa anche una figlia per non farsi dire dal rione che non ha capacità sessuali. Insomma un tipo losco, cattivo ed ubriacone, senza un briciolo di umanità. Vive con la madre l’unica in grado di essergli fedele ed accogliente e lui, quando la povera vecchierella muore non è in casa accanto a lei.

Roberto Capasso ha reso la figura di Pacchiello con grande veridicità, l’espressione del viso mutevole, ben sottolinea i passaggi, a volte anche disgustosi, come l’assalto dei pidocchi nei capelli e nel corpo. Un monologo di sapore antico, come le nenie , cantate sottovoce dallo stesso Pacchiello, ad esempio:

“Storta Picoscia tiene e cosce, mosce mosce e sotto o suttanine tiene o scoglio e margellina”

Il testo, ben arrangiato, con qualche spunto di pena e malinconia per Pacchiello,  risente de Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, la raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile ed edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. Lo stesso Roberto Capasso, bravo nel ricordare il monologo lungo ed impegnativo, anche dal punto di vista fisico, riecheggiano le tonalità di Peppe Barra. Uno spettacolo gradevole, è l’inizio e questo è già tanto

Maria Serritiello

www.lapilli.eu

 

 

sabato 5 giugno 2021

Il giornale on line sconfigge il quotidiano cartaceo e le edicole si chiudono di Maria Serritiello


 

Dal 1° maggio di quest’anno, l’edicola di via Panoramica, quella che, da quasi 50, faceva bella mostra di sé nei giardinetti, sotto la Clinica del Sole, ha chiuso definitivamente la saracinesca. L’ennesima in città, cadute ad una ad una sotto la mannaia dell’informazione on line, nel migliore dei casi, ma anche per il completo disinteresse della lettura dei giornali cartacei. Quasi nessun ragazzo, per ricambio generazionale, lo si vede con il quotidiano sotto il braccio come facevano i loro padri ed i loro nonni, un i- phone, racchiuso nel palmo della mano, non solo è più comodo, ma in meno di un secondo si collega con il mondo intero. La velocità della nostra era, non è da demonizzare, è un’altra cosa, a cui dobbiamo, noi di un’età matura, abituarci. Così, don Matteo, l’edicolante di Via Panoramica, questo il suo nome, il cognome non l’ho mai saputo, dopo 30 anni e passa, ha deciso di chiudere bottega, rendendo sguarniti i giardinetti del quartiere che con lui prendevano vita dalle 6,00 del mattino, per continuare l’intera giornata. L’edicola non conosceva chiusura, né pausa pranzo, un continuum che assicurava il servizio oltre al giornale mattutino, già esaurito alle 11,00 del mattino, ma che restava là per i piccoli desideri esposti in vetrina, oggetti per adulti e piccini che l’editoria sapientemente produceva. La mia generazione, o forse io, avevamo curiosità dell’oggettistica del passato che l’edicola presentava a buon prezzo, per cui ho collezionato di tutto: mensili per conoscere l’Italia e l’Europa, copie di gioielli delle dive, scatoline in ceramica su modelli regali, penne, pennini, inchiostri, timbri, calamai e raccolte ad uscite settimanali. E’ stata, l’edicola di Don Matteo, per anni la mia giocattoleria da adulta, infatti, mi conservava o mi proponeva ciò che sapeva poteva piacermi e mi piaceva tutto.

Don Matteo, è un signore che nel tempo ha conservato la stessa fisionomia, ma non la stazza, infatti è molto dimagrito da come l’ho conosciuto io, ha occhi e pelle scura, privo di capelli e fumatore incallito. Per un periodo ha cercato anche di smettere, sostituendo l’amata sigaretta con una chewing gum, ma è durato poco, del resto per 35 anni, la bionda prima ed il computer, in tempi più recenti sono stati gli unici svaghi di ore interminabili, passate nel piccolo chiosco. Prima di questa vita sedentaria, per 30 anni ha svolto la mansione di auto trasportatore, in giro per tutta l’Europa, sempre fuori casa ed alla guida di mezzi pesanti.  Maritato da 48 anni con la Signora Nicoletta, dolce e sorridente, ha due figlie, entrambe sposate, ma vivono lontane dai genitori. Per anni Don Matteo chiuso nel chiosco, d’estate e d’inverno, ha avuto la compagnia di due cagnolini Puffa (14 anni) e Ciro (18 anni), a cui si è dedicato con tutto l’amore di cui è capace. D’impatto può sembrare un uomo ruvido, scostante, niente di più sbagliato, lui è un tipo pratico, con metodi spicci, abituato, com’è stato, a risolvere ogni cosa che la vita gli ha presentato. Ed allora ha di che perdere il parchetto di Via Belvedere, ora che il “Il faro di Salerno” così mi viene di soprannominarlo, il guardiano discreto, il vigile occhio alle piante che non seccassero, alle luci che fossero sempre accese, alla pulizia del luogo, tanto che una saggina fa bella mostra di sé, ancor oggi, appoggiata alla porticina, varcata per tanti anni e spalancata sulle notizie del mondo, ha dato priorità alla vita libera e senza orari.

Questo luogo, oggi, così cambiato, con il passar del tempo, 70 anni circa, era tutt’altra cosa prima. Ricordo una campagna estesa e sconnessa che seguiva i due lati della strada che da Via Nizza si avviava verso il “mazzo della signora” una simpatica volgarizzazione del sostantivo “maso”, terra, possedimento, ma anche per l’associazione visiva della forma tonda della collina Bellaria, così simile al fondo schiena pronunciato delle donne.

Io sono nata, più giù, in Via Fratelli del Mastro, nel palazzo De Maio di fronte al palazzo Serritiello, di mio nonno Francesco ed i suoi fratelli, una specie di chiusa conchiglia che alloggiava tutti i parenti, fratelli e sorelle prima, figli dopo ed a mano a mano i nipoti. Facendosi il palazzo un po’ stretto per tutti, mio padre, primo sposo, si allontanò dalla chioccia madre, giusto quel tanto per raggiungere il portone successivo. Di Via Nizza conosco tutte le trasformazioni e gli interventi migliorativi del luogo, ma quanta nostalgia ho dello spazio dove Don Matteo ha trascorso un pezzo della sua vita. Al posto del chiosco, infatti e tutta la parte intorno c’era la terra di Alfonsina. Mia madre, nei pomeriggi della mia infanzia, mi chiedeva dove volessi andare a passeggiare ed a consumare la merendina, in montagna o a lungomare, invariabilmente dicevo che volevo andare da Alfonsina perché aveva le papere, i pulcini ed i fiori e mentre mia madre Bianca e sua madre, nonna Carmela parlavano di “cose da grandi” io, felice giocavo con gli animaletti di Alfonsina.

Forse è per questo mio passato, a pensarci bene, che ho provato dispiacere alla chiusura dell’edicola. Da adulta, ancora là, trovavo non gli animaletti ma strumenti di lettura e tanti oggetti da collezionare.

 Don Matteo è andato in pensione con tutta la sua gagliardia e il desiderio di fare ancora qualcosa, in fondo chiuso nel chiosco, non ha fatto altro che cambiare conduzione, lo spazio è lo stesso, la cabina dell’autotreno ha più o meno la stessa superficie, la fatica certamente è stata differente, per nulla impegnativa, come quando doveva stare attento alle strade, al tempo, al colpo di sonno, al traffico, sia dell’autostrada che delle grandi città, abituato per anni ad uno spazio minimo per lavorare, ora lo si vede uscire libero e sereno per sostare al sole, sulla panchina, accanto al suo chiosco dalle saracinesche abbassate, con l’immancabile sigaretta, al lato della bocca e con chissà quali pensieri.

Maria Serritiello





martedì 18 maggio 2021

Il periodo Salernitano di Franco Battiato

 



Di Maria Serritiello


Pochi sanno e forse solo le alunne del corso H, dell'Istituto Magistrale  "Regina Margherita" di Salerno, che Franco Battiato ha vissuto per un  certo periodo nella nostra città. 

La ragione è da ricercare in sua zia Gandolfa, insegnante di matematica, vincitrice di concorso e spedita presso il pregevole istituto per signorine della città.

Già, il nome, Gandolfa, ma come si può pensare di dare ad una bambina un simile appellativo battesimale, ma lei lo portava in giro con naturalezza. Silenziosa, discreta, nubile, di età indefinita, forse sulla cinquantina, se ne aveva di meno se le portava malissimo. Capelli ingrigiti, tirati all’indietro e trattenuti da forcine di osso, occhi scoloriti, viso senza trucco ed un vistoso pelo riccio sulla guancia destra. In classe, sul vestito, indossava un grembiule nero che le dava un’aria estremamente severa, ma è forse è quello che voleva. L’inflessione dialettale era molto forte, tanto che il mio cognome suonava così: Srrtiello ed alla mia amica Pompele intimava  <getta la mastica> che altro non era, la gomma masticante. Con lei era venuto a Salerno un suo nipote, della nostra stessa età, credo un po’ per fare compagnia alla zia signorina, fuori dalla Sicilia ed un po’ per studiare con la sua mentore. Ricordo di averlo visto varie volte in transito sul ponte di Via Nizza, per girare verso Via Balzico, dove alloggiava. Alto, smilzo, con lo stesso viso di sua zia, senza nessuna caratteristica particolare, se non il naso sporgente che gli occupava tutta la faccia. Aveva un passo veloce, sfuggente, con in spalla l’immancabile chitarra, i capelli arruffati e gli occhi che già guardavano lontano.

Non credo che sua zia fosse contenta della sua attività musicale, siamo agli inizi degli anni ’60  e lo studio era ritenuto l’unica attività giusta per un giovane, specialmente se in casa ci fosse una zia laureata in matematica e forse la sua venuta a Salerno era un tentativo per distrarlo da quella sua passione. Intanto, Franco, già pensava a studi particolari a contaminazioni musicali, era già oltre alla nostra generazione femminile, che stupidamente pensava alla bellezza fisica dei vari Cary Grant e Rock Hudson. Non era un adone ma il suo cervello era pieno di visioni speciali che ha elargito in ogni sua composizione.




Dal web

“Era nato a Ionia il 23 marzo 1945, in provincia di Catania. Ionia, ora Giarre Riposto, è stato un comune italiano esistente dal 1939 al 1945. Dopo aver conseguito la maturità al Liceo Scientifico "Archimede" di Acireale, e a seguito della morte del padre (camionista e scaricatore di porto a New York), nel 1964 si trasferisce dapprima a Roma per poi stabilirsi a Milano. Dopo aver interrotto gli studi universitari per seguire la sua passione musicale, pubblica due singoli per la rivista Nuova Enigmistica Tascabile (NET) verso la metà degli anni sessanta[11], che proponeva come allegati, dischi di canzoni celebri interpretate da cantanti poco conosciuti. In queste due occasioni l'artista appare in copertina col nome di battesimo Francesco Battiato. Il primo singolo contiene un brano presentato al Festival di Sanremo 1965 da Beppe Cardile e Anita Harris, L'amore è partito. Il secondo riprende una canzone portata al successo da Alain Barrière: ...e più ti amo, tradotta in italiano da Gino Paoli Il brano verrà riproposto, in una nuova versione, nell'album Fleurs 2 del 2008.”

La sua creazione musicale ha seguito vari  periodi:

(1965-1969) La canzone di protesta e periodo romantico

(1971 - 1975)Musica sperimentale e avanguardia colta

(1978 - 1979) Il ritorno alla musica pop

(1978 - 1979) Il ritorno alla musica pop

(1981 - 1982) Gli anni del grande successo

(2012-2017) Ultimi progetti

Pittura, Cinema, Politica

Stili musicali

La musica di Battiato ha spesso guardato in direzione della canzone d'autore e del pop: due generi che ha rivisitato in maniera colta e raffinata contaminandoli con stili musicali sempre diversi fra cui la musica orchestrale, il rock progressivo la musica etnica e quella elettronica] I suoi testi, inusuali e di carattere citazionista,[ sono spesso dolenti e pieni di riferimenti polemici alla società dei consumi e alla classe politica italiana.[ Altri temi cari all'artista sono la filosofia l'esoterismo e il misticismo

Vita privata

Legatissimo alla madre Grazia, scomparsa nel 1994, Battiato non ha mai amato la vita mondana, preferendo il suo eremo siciliano di Milo alle pendici dell'Etna, dove tra l'altro ebbe per molti anni, come vicino di casa, il collega Lucio Dalla. Suo fratello Michele è stato consigliere comunale repubblicano di Milano. Battiato era un vegetariano convinto.

(2019 -2021)  Ritiro dalle scene

Muore il 18 maggio 2021


P.S Voglio raccontare come i miei alunni hanno apprezzato la sua composizione " La Cura"

Non ricordo l'anno scolastico, ma con gli allievi di Fisciano (Sa) facemmo uno studio sull'educazione sentimentale. Una ricerca che c'impegnò non poco ma che ci procurò molte soddisfazioni. Alla fine proposi loro 10 canzoni d'amore da scegliere come le più belle, ebbene "La Cura" che non conoscevano, allora impazzavano Giovanotti prima maniera, Madonna e tanta altra musica disco dance, fu considerata la numero 1° e fino la fine dell'anno nell'intervallo ascoltavano con occhi sognanti il vate dell'amore.

Alla sua musica sono legati tanti miei momenti giovanili che hanno una pregevole colonna sonora di sottofondo. Ho sempre ascoltato la musica Rock, fracassona che mi faceva danzare da sola, per Battiato, eh sì che la musica era importante, ma le parole mi trasportavano in un mondo superiore, sì da farmi sentire rammaricata, oggi,  di non averlo mai fermato per fare un tratto di strada insieme.

Addio, ragazzo smilzo con la chitarra sulle spalle che mi vieni di faccia sul ponte di Via Nizza, mentre mi reco a scuola e penso: è lui il nipote della professoressa di matematica, chissà che ci fa a Salerno, con una zia severa e chiusa nel suo ruolo. Adesso lo so e grazie per averci lasciato un patrimonio così grande da tramandare alle nuove generazioni

Maria Serritiello






giovedì 28 gennaio 2021

Caro Blog, ti ho trascurato per tutto questo tempo del covid

 



Caro Blog, ti chiedo scusa per tutto questo silenzio...un anno e più ed il mondo si è rivoltato. Stasera ho pensato che dovrò dare segno, nelle tue pagine di ciò che ci ha colpito. Parole come : pandemia, covid 19, lochdown, mascherine, no assembramenti, lavaggio delle mani, sono diventate pane quotidiano.

La paura dell' infezione, i morti contati a migliaia, l'isolamento nelle case, l'altoparlante dalle macchine per le strade ripetono e ricordano di non muoverci dalle nostre case. Improvvisamente ci siamo trovati nella peste di Milano di manzoniana memoria.

Perché mi sia decisa a scrivere ad un anno di distanza, è presto detto. La scrittura è liberazione, leggere  il proprio pensiero sul foglio o tra  le  pagine del blog, significa che i sentimenti sono all'esterno, sono usciti da te. Certamente non mi sono liberata dalla paura del contagio ma dopo interminabili ore trascorse in ascolto di virologi e dottoroni questa orribile pandemia è più controllabile.


continua...

Vediamo di capire  che cos'è la Pandemia di COVID-19, attualmente in corso,  diffusasi a livello globale, dove è nata, come si è diffusa in Italia, le vittime e quali le strategie messe in atto per salvare la vita di quelli non infettati.

Fonti: Notizie tratte dal web 

Ecco tutte le tappe fondamentali della storia (anche mediatica) del nuovo coronavirus, in Cina in Italia. Dalle prime polmoniti anomale alla scoperta del virus, dalla dichiarazione dell'emergenza sanitaria al contagio in Italia, fino in ultimo alla pandemia. Due mesi e mezzo densi di avvenimenti

Già a novembre – e forse anche a ottobre, secondo le ipotesi di uno studio italiano – il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 aveva iniziato a circolare, in Cina, in particolare a Wuhan, la città più popolata della parte orientale, perno per il commercio e gli scambi. All’inizio, però, non si sapeva che si trattava di un nuovo virus: ciò che inizia ad essere registrato è un certo numero di polmoniti anomale, dalle cause non ascrivibili ad altri patogeni.










La prima data ufficiale in cui inizia la storia del nuovo coronavirus è il 31 dicembre, in le autorità sanitarie locali avevano dato notizia di questi casi insoliti. All’inizio di gennaio 2020 la città aveva riscontrato decine di casi e centinaia di persone erano sotto osservazione. Dalle prime indagini infatti, era emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan Seafood Wholesale Market a Wuhan, che è stato chiuso dal 1 gennaio 2020, di qui l’ipotesi che il contagio possa essere stato causato da qualche prodotto di origine animale venduto nel mercato.


Il 9 gennaio le autorità cinesi avevano dichiarato ai media locali che il patogeno responsabile è un nuovo ceppo di coronavirus, della stessa famiglia dei coronavirus responsabili Sars e della Mers ma anche di banali raffreddori, ma diverso da tutti questi – nuovo, appunto. L’Oms divulgava la notizia il 10 gennaio, fornendo tutte le istruzioni del caso (evitare contatto con persone con sintomi) e dichiarando – all’epoca giustamente – che non era raccomandata alcuna restrizione ai viaggi per e dalla Cina. Tutti i casi – ancora molto pochi – erano concentrati a Wuhan e non si conosceva la contagiosità di questo virus (Sars e Mers, ad esempio, molto più gravi erano però molto meno contagiose).

Il 7 gennaio il virus veniva isolato e pochi giorni dopo, il 12 gennaio, veniva sequenziato e la Cina condivideva la sequenza genetica. Questo è stato il primo passo importante, in termini di ricerca, anche per poter sviluppare e diffondere i test (i kit) diagnostici che serviranno a molti altri paesi. In questa fase la Cina stava già svolgendo un monitoraggio intensivo.

21 gennaio: il virus si trasmette fra esseri umani

Il 21 gennaio le autorità sanitarie locali e l’Organizzazione mondiale della sanità annunciavano che il nuovo coronavirus, passato probabilmente dall’animale all’essere umano (un salto di specie, in gergo tecnico), si trasmette anche da uomo a uomo. Ma ancora gli esperti non sapevano (e tuttora l’argomento è discusso) quanto facilmente questo possa avvenire. Il ministero della Salute ha iniziato a raccomandare di non andare in Cina salvo stretta necessità. Nel frattempo Wuhan diventava una città isolata e i festeggiamenti per il capodanno cinese venivano annullati lì e in altre città cinesi, come Pechino e Macao.

In Italia i casi erano pochissimi e tutti provenienti dalla Cina: a partire dal 29 gennaio c’erano due turisti cinesi di Wuhan contagiati, ricoverati allo Spallanzani – uno degli ospedali italiani che saranno protagonisti (loro malgrado) della vicenda del coronavirus. C’era poi un ricercatore italiano positivo al virus e proveniente dalla Cina e un diciassettenne, rimasto bloccato a lungo a Wuhan a causa di sintomi simil-influenzali, non positivo al coronavirus ma ugualmente tenuto sotto osservazione e ricoverato allo Spallanzani. Tutte queste persone sono guarite e sono state dimesse nel mese di febbraio – per ultima, la paziente cinese della coppia malata, il 26 febbraio. I contagi fuori dalla Cina sono ancora molto circoscritti e limitati, con focolai per ogni paese di un manipolo di persone.

30 gennaio: l’Oms dichiara lo stato di emergenza globale

Alla fine di gennaio il rischio che l’epidemia si diffondesse passava da moderato a alto e il 27 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva che era “molto alto per la Cina e alto a livello regionale e globale”. Tanto che nella serata del 30 gennaio l’Oms dichiarava l’“emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” e l’Italia bloccava i voli da e per la Cina, unica in Europa. Ma la situazione in Cina stava già migliorando: pochi giorni dopo, alla data dell’8 febbraio, l’Oms scriveva che i contagi in Cina si stavano stabilizzando ovvero che il numero di nuovi casi giornalieri sembrava andare progressivamente calando.

Febbraio: dare un nome alle cose

L’11 febbraio è arrivato il nome della nuova malattia causata dal coronavirus. Il nome, scelto dall’Oms, è Covid-19: Co e vi per indicare la famiglia dei coronavirus, d per indicare la malattia (disease in inglese) e infine 19 per sottolineare che sia stata scoperta nel 2019. Questo per quanto riguarda la malattia, mentre il virus cambia nome e non si chiama più 2019-nCoV, ma Sars-CoV-2 perché il patogeno è parente del coronavirus responsabile della Sars (che però era molto più letale anche se meno contagiosa).

All’epidemia di Covid-19 si affianca quella dell’informazione, con notizie non sempre veritiere (molte sono fake news). Tanto che ai primi di febbraio proprio l’Oms parla per la prima volta di infodemia, termine nuovo con cui si indica il sovraccarico di aggiornamenti e news non sempre attendibili.

21 febbraio: primi casi in Italia

Venerdì 21 febbraio 2020 è una data centrale per la vicenda italiana legata al nuovo coronavirus. In questa data sono emersi diversi casi di coronavirus nel lodigiano, in Lombardia: si tratta di persone non provenienti dalla Cina, un nuovo focolaio di cui non si conosce ancora l’estensione. Alcuni dei paesi colpiti (Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo ed altri) sono stati di fatto chiusi, un po’ come avviene ora per l’Italia “zona protetta”.

Fuori dalla Cina, il numero di contagiati è molto alto in ItaliaIran e Corea del Sud, anche se per l’Oms quella di Covid-19 non è ancora una pandemia. Tuttavia, fra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo 2020, dopo l’Italia, anche in altri stati (europei e non solo) vengono rilevare un numero crescente di casi e un’epidemia.

4, 8 e 9 marzo: le tre date chiave dei provvedimenti in Italia

Il contagio si è diffuso nel nostro paese, soprattutto nel nord, ma inizia anche in altre regioni. Per questo, mercoledì 4 marzo il governo ha dato il via libera alla chiusura di scuole e università in tutta Italia fino al 15 marzo. Alla data del 4, stando ai dati della Protezione civile i positivi sono circa 2.700 e già c’è qualche caso (decine o qualche unità) in tutte le regioni. Mentre domenica 8 marzo arriva il decreto che prevede l’isolamento della Lombardia, in assoluto la più colpita, e di altre 14 province, che diventano “zona rossa”. Anche anche se la bozza ancora non ufficiale del decreto era stata pubblicata da alcune testate già nella serata del 7.

E infine si arriva all’ultima data (per ora) importante per l’Italia: quella di lunedì 9 marzo. In questa giornata, intorno alle 22, Conte annuncia in televisione di aver esteso a tutto il paese le misure già prese per la Lombardia e per le altre 14 province, tanto che tutta l’Italia diventerà “zona protetta”. Le nuove norma sono contenute nel nuovo decreto Dpcm 9 marzo 2020, entrato poi in vigore il 10 marzo. Di fatto la regola è contenuta nell’hashtag #iorestoacasa, si può uscire solo per comprovate ragioni di necessità come per fare la spesa, per esigenze lavorative, per l’acquisto di farmaci o per altri motivi di salute.

11 marzo: l’Oms dichiara la pandemia

Mentre l’Italia si sta muovendo – per prima in Europa, con il plauso dell’Organizzazione mondiale della sanità – per contenere il contagio, anche a livello globale sta succedendo qualcosa. L’11 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, ha annunciato nel briefing da Ginevra sull’epidemia di coronavirus che Covid-19 “può essere caratterizzato come una situazione pandemica”. dichiarando la pandemia. Ma questo non cambia di fatto le cose, almeno non per l’Italia, come hanno sottolineato le autorità nazionali, che sta già mettendo in atto le migliori misure possibili. L’obiettivo dell’Oms è quello di fare un appello a tutte le nazioni per contrastare la diffusione della Covid-19.

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